tag:blogger.com,1999:blog-23460821851570076772024-03-08T11:38:53.871-08:00chimicagiorgio nebbiahttp://www.blogger.com/profile/12979392991314267930noreply@blogger.comBlogger72125tag:blogger.com,1999:blog-2346082185157007677.post-48200013906801772492014-06-12T10:28:00.001-07:002014-06-12T10:28:41.417-07:00SM 3662 -- Il "re dello zolfo"<div class="MsoNormal">
<i><u>La Gazzetta del Mezzogiorno</u></i>, martedì 10 giugno
2014</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
Giorgio Nebbia <a href="mailto:nebbia@quipo.it">nebbia@quipo.it</a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Cento anni fa moriva a Parigi Herman Frasch, il chimico
americano che ha distrutto l’economia mineraria siciliana dell’Ottocento. Dai
tempi antichi, e poi in tutto il Medioevo e nel corso dell’Ottocento la
Sicilia, con le sue miniere di zolfo, ha occupato la posizione di monopolista
di una delle più importanti materie prime industriali, qualcosa come i paesi
petroliferi oggi. Lo zolfo era già noto dall’antichità. I romani facevano
estrarre lo zolfo dalle miniere siciliane usando schiavi e prigionieri di
guerra, destinati a breve vita per le inumane condizioni di lavoro; i cinesi
avevano scoperto che lo zolfo era un ingrediente necessario della polvere da
sparo. Più tardi gli alchimisti hanno imparato ad ottenere dallo zolfo un
potente liquido corrosivo, il vetriolo, che sarebbe poi stato riconosciuto come
acido solforico, proprio quello indispensabile alla successiva industria
chimica europea per produrre detersivi e altre merci.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
In molte zone della Sicilia lo zolfo si trova nel sottosuolo,
frammisto a solfato di calcio, il gesso, sabbie e altre rocce; all’inizio
dell’Ottocento, quando è aumentata la richiesta di zolfo da parte di Francia e
Inghilterra, i proprietari delle miniere sono stati investiti da un’ondata di
ricchezza, usata male; non sono stati fatti investimenti per migliorare il
processo di escavazione del minerale e di estrazione dello zolfo, operazioni
dannosissime per i minatori e fonti di inquinamento atmosferico. I prezzi
variavano capricciosamente destando la protesta degli importatori inglesi che
addirittura fecero arrivare una flotta militare per imporre al re delle Due
Sicilie di mettere ordine in questa produzione. Anche dopo l’avvento del regno
d’Italia la situazione dell’estrazione e del mercato dello zolfo siciliano
restò disordinata e turbolenta, una sorta di capitalismo selvaggio e
imprevidente.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Intanto dall’altra parte dell’Oceano Herman Frasch, un
giovane chimico di origine tedesca, nato nel 1851 e emigrato a 18 anni negli
Stati Uniti, aveva deciso di cercare una soluzione che permettesse di
recuperare lo zolfo che alcuni cercatori di petrolio avevano trovato nel
sottosuolo della Lousiana, lo stato che si affaccia nel sud degli Stati Uniti,
sul Golfo del Messico. Si trattava di uno strato di zolfo puro, qualche centinaia
di metri sotto sabbie e rocce e acqua; molti avevano tentato senza successo di
raggiungerlo e portarlo in superficie. Partendo dalla sua esperienza di
estrazione del petrolio, con la quale aveva già fatto una certa fortuna, Frasch
applicò la stessa tecnica e nel 1890 brevettò il processo che avrebbe
trasformato gli Stati Uniti da paese importatore di zolfo a paese esportatore
di questa materia strategica.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Lo zolfo è un metalloide giallo solido che fonde a circa 115
gradi Celsius, una temperatura di poco superiore a quella di ebollizione
dell’acqua, cento gradi. Il metodo Frasch consisteva nel far arrivare nel
giacimento sotterraneo di zolfo, due tubi concentrici; in quello esterno veniva
iniettato vapore a circa 150 gradi che faceva fondere, nel sottosuolo, lo
zolfo; la stessa pressione del vapore faceva salire, attraverso il tubo
centrale, lo zolfo fuso fino in superficie dove solidificava come zolfo
purissimo. Gli industriali siciliani ebbero notizia della scoperta di
giacimenti di zolfo negli Stati Uniti ma furono lenti a capire l’enorme
potenziale di questo concorrente; e fecero male perché nel 1905 lo zolfo
americano che sbarcò in Europa costava la metà di quello siciliano.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Frasch creò una sua società, la Union Sulfur Company, in un
paesino della Lousiana che prese il nome di Sulfur, zolfo, una delle poche
città del mondo che hanno il nome di un elemento chimico. Il giacimento di
Frasch si esaurì dopo alcuni anni ma molti altri furono sfruttati con lo stesso
processo. Frasch, ormai ricco, era celebrato come il “re dello zolfo”, uno dei
grandi inventori del Novecento. La produzione di zolfo americano col processo
Frasch aumentò subito rapidamente e invase i mercati mondiali e l’industria
zolfifera siciliana fu colpita a morte; sopravvisse durante il fascismo, grazie
alla politica autarchica, ma le miniere chiusero definitivamente negli anni
cinquanta del Novecento dopo aver raggiunto una produzione massima di mezzo
milione di tonnellate all’anno e aver causato innumerevoli dolori ai lavoratori
e gravi inquinamenti. Ma anche la produzione dello zolfo Frasch declinò fino a
scomparire, dopo un secolo, per la concorrenza dello zolfo ricavato dalla
depurazione del petrolio e del gas naturale, imposta dalle leggi contro
l’inquinamento atmosferico.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
La storia di Frasch e dello zolfo insegna varie cose: la
produzione industriale dipende da materie prime che possono essere tratte
soltanto dalla natura; la natura è un “serbatoio” grandissimo di materie utili
per le necessità umane, ma le sue riserve non durano a lungo e sono destinate
ad esaurirsi. Un processo produttivo è esposto alla concorrenza di altre
innovazioni e una politica industriale deve stare bene attenta ai segni di
scoperte e innovazioni, all’inizio apparentemente insignificanti, ma che si rivelano
poi rivoluzionarie. </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Infine la storia personale di Frasch mostra che il successo
arride alla mente preparata, a chi osserva attentamente il mondo naturale e
industriale circostante e i suoi mutamenti. Auguro a molti giovani chimici di
avere la stessa attenzione e successo del loro collega Frasch.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
giorgio nebbiahttp://www.blogger.com/profile/12979392991314267930noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2346082185157007677.post-54927640479209677652014-02-02T05:44:00.002-08:002014-02-02T08:20:15.956-08:00B. Leoci, Stanislao Cannizzaro, scienziato e politico multiforme<div style="text-align: center;">
<b>Benito Leoci</b>, Università del Salento bleoci@yahoo.it</div>
<br />
La prima volta che incontrai Cannizzaro, o meglio questo nome, fu durante la preparazione per l’esame di Chimica Generale I, così come sarà accaduto a tutti gli studenti dei corsi universitari di chimica. Certamente mi ero imbattuto in questo nome in precedenza, alle scuole medie superiori, ma nella memoria non mi era rimasta alcuna traccia. Fra i libri consigliati allora all’Università di Cagliari, era l’inizio degli anni ’60, vi era “il Bruni”, la cui prima edizione risaliva al 1921. Nella prefazione a questa edizione il Bruni ricordava che nel decidere l’ordine da dare al corso di Chimica Generale (tenere separate o meno la parte teorica da quella descrittiva) si era attenuto all’«esempio e ammaestramento di Cannizzaro e di Ciamician».<br />
<br />
<a name='more'></a><br />
Nella 10° edizione del 1957, da me utilizzata, alle pagine 34-35 viene illustrata la cosiddetta “Regola di Cannizzaro” e cioè il sistema da seguire per determinare il peso atomico degli elementi. Regola che lo stesso Cannizzaro illustra in un suo scritto del 1858 dal titolo “Sunto di un corso di filosofia chimica” (ripubblicato nel 1991 con i tipi della Sellerio editore di Palermo, insieme ad un commento di Luigi Cerruti intitolato “Il luogo del «Sunto»”), che ripete a Karlsruhe due anni dopo, durante un congresso di chimici europei organizzato da Kekulè (lo stesso che durante un sogno immagina come doveva essere la struttura del benzolo: sei scimmie che si tenevano per mano per formare un esagono). Dal Bruni, Cannizzaro viene ricordato anche a proposito di “dismutazioni” o “ossido-riduzioni” e cioè in particolare per la reazione fra l’aldeide benzoica e l’idrossido di potassio, nota anche come la «reazione di Cannizzaro». Tutto qui.<br />
<br />
E’ evidente che dalla lettura di queste scarne note, nessuna curiosità poteva nascere sul conto di questo scienziato, né sul conto delle numerose altre menti, pur ricordate dal Bruni e dagli altri testi di chimica, che nel corso del 18° e 19 secolo avevano contribuito allo sviluppo della chimica. Cosa c’era di notevole ed eclatante nel suggerimento di un sistema utile per individuare gli atomi? Poiché non inquadrato nel contesto storico degli avvenimenti, senza l’evidenza dello stato delle conoscenze scientifiche di quel periodo, senza conoscere le teorie circolanti, i dubbi e le perplessità che attanagliavano i chimici dell’epoca, era difficile nutrire qualsiasi curiosità e valutare in pieno l’importanza della regola di Cannizzaro come anche del lavoro svolto dai suoi contemporanei: da Avogadro a Berthelot, da Berzelius a Dumas, a Kekulè, da Mendeleev, a Leblanc, Liebig, Meyer, tanto per citare i primi che vengono in mente.
Non si trattava (e non si tratta) solo di dare maggiore rilievo alla storia della chimica o delle scienze in generale, come fine a se stessa, ma della necessità di penetrare maggiormente nell’evoluzione e nelle necessità della ricerca, sempre caratterizzata da enorme lavoro e dal totale impegno dei ricercatori oltre che dalla loro fortuna e intelligenza.<br />
<br />
Il secondo incontro con Cannizzaro fu del tutto imprevedibile e casuale. Nel 1966 mi trovavo a San Pietroburgo (l’antico nome riacquistato da poco tempo) quando fui sollecitato a visitare la locale Università statale in quanto attratto da una curiosa notizia: ospitava la più lunga biblioteca del mondo. Fondata nel 1783 accoglieva ben 7 milioni di volumi. Occorreva dare un’occhiata. La visita però fu deludente. Si trattava di un gran numero di scaffali pieni di libri allineati in un corridoio molto lungo. Non era una vera e propria biblioteca. Percorrendo questo corridoio però notai un etichetta su una porta che recava la scritta “Менделéев музей” (Museo di Mendeleev). Chiesi di poterlo visitare ad una signora che era nei pressi, molto stupita del mio interesse.<br />
<br />
Probabilmente non era una richiesta frequente, ma Mendeleev era uno dei miei eroi preferiti. Grazie alla sua tavola periodica avevo potuto memorizzare più facilmente molte nozioni del corso di Chimica Generale e Inorganica.
In una delle stanze dove Mendeleev aveva vissuto e lavorato per oltre 30 anni, un tavolino rotondo coperto da una tovaglia bianca colpì la mia attenzione oltre alle numerose bacheche contenenti i manoscritti dello scienziato, pieni dei simboli degli elementi chimici allora conosciuti: erano i muti testimoni degli innumerevoli tentativi condotti per formulare una tavola degli elementi credibile e razionale. La tovaglia era piena di firme apposte dai visitatori di Mendeleev, collezionate dalla moglie, come spiegò la custode. Fra questi autografi c’era quello di Cannizzaro, unico Italiano della raccolta. Non vi era la data, ma verosimilmente doveva essere stato apposto dopo il congresso di Karlsruhe, quando i due si incontrano accomunati dallo stesso interesse per gli atomi, sia pure per motivi diversi. Il fatto sorprendente è che Mendeleev, al contrario di Cannizzaro, non credeva all’esistenza degli atomi (così come tanti altri del tempo: H. E. Roscoe, W. Ostwald, il grande Dumas, ecc.) nonostante le sue ricerche per ordinarli in una tavola in funzione di alcune loro caratteristiche.<br />
<br />
Ma chi era dunque questo Cannizzaro, che si era spinto fino alla lontana San Pietroburgo da Palermo o da Napoli o Genova, certamente via mare? E perché il suo intervento a Karlsruhe aveva avuto tanto successo e acceso numerosi dibattiti?
Negli anni ’30 del 19° secolo, nel settore della chimica-fisica, allora indistinguibili, nessuno sapeva come configurare molecole ed atomi, pesi atomici e pesi equivalenti. Lo stesso Dalton, che pure aveva suggerito, sulla scia delle intuizioni di Lavoisier, che esistevano tanti tipi di atomi quanti erano gli elementi, ognuno caratterizzato da un peso atomico, non aveva compreso la differenza fra atomi e molecole, sicchè pensava, che la molecola dell’acqua fosse formata da un atomo di idrogeno legato a uno di ossigeno e che per esempio l’ammoniaca fosse formata da un atomo di azoto legato ad uno di idrogeno. Se invece dei pesi si consideravano i volumi le cose cambiavano. Gay-Lussac aveva appena dimostrato che l’acqua, per esempio, era formata da due volumi di idrogeno e uno di ossigeno. Questa differenza fa pensare a Kekulè che esistevano due tipi di molecole: quelle fisiche e quelle chimiche.
Secondo Avogadro, poiché volumi uguali di gas dovevano contenere ugual numero di molecole, derivava che le molecole di idrogeno e di ossigeno erano necessariamente composte da due atomi ciascuno. Dalla loro combinazione si formavano due molecole di acqua composte ciascuna da tre atomi (due di idrogeno e uno di ossigeno).<br />
<br />
Avogadro quindi aveva dato una soluzione al problema, ma nessuno l’aveva capito, tantomeno Dalton. In definitiva in quei primi decenni del 1800, regnava un gran confusione anche perché molti pesi atomici erano errati e di alcuni composti erano state proposte numerose formule. Se si da un’occhiata a un volume scritto da Kekulè nel 1859 (Lehrbuch der organische Chemie), si scoprono ben 19 formule dell’acido acetico, proposte da 12 diversi studiosi, nell’ambito di 6 teorie suggerite dagli stessi. Si erano dunque accumulati molti dati, formulate varie teorie e acquisite diverse conoscenze che occorreva interpretare e ordinare secondo logiche accettabili.
E’ facile quindi comprendere perché Kekulè, nell’autunno del 1859, propone a Karl Weltzien (suo amico e professore di chimica alla “Technische Hochschule” di Karlsruhe) di organizzare un incontro fra i chimici europei per discutere insieme di vari problemi (Definizione delle nozioni chimiche importanti – come quelle che sono espresse dalle parole – atomo, molecola, equivalente, atomo-basico. Esame della questione degli equivalenti e delle formule chimiche. Stabilimento d’una notazione o nomenclatura uniforme).<br />
<br />
All’iniziativa furono associati Charles Adolphe Wurtz (in quel periodo occupava la cattedra di “Farmacia e chimica organica” all’Università di Parigi) e August Wilhelm Hofmann (professore in quel periodo di “Chimica pratica” a Londra). Piria, uno dei più giovani e brillanti scienziati del momento in Italia (si era laureato in medicina a Napoli e aveva studiato chimica con Dumas a Parigi), riceve l’invito da Wurtz che naturalmente accetta coinvolgendo anche Cannizzaro (firmando al suo posto) ignaro di tutto. Piria lo informa successivamente, scusandosi per l’iniziativa. Viene invitato anche M. F. Malaguti che da più di 30 anni era a Rennes (ove insegnava Chimica generale alla Facoltà di Scienze della locale Università).
In definitiva gli Italiani firmatari per accettazione dell’invito erano solo tre su 45, e tutti e tre si consideravano esuli (Piria di origine calabrese viveva a Torino, Cannizzaro di origine siciliana viveva a Genova e Malaguti originario di Pregatto un paese vicino Bologna viveva a Rennes).<br />
<br />
A Karlsruhe giungono 140 scienziati. Mancano però i vertici della chimica inglese e lo stesso Hofmann. Manca Piria, ma c’è Angelo Pavesi (laureato in giurisprudenza, in seguito professore di Chimica farmaceutica a Pavia). La discussione inizia sulla nozione di molecola e atomo e sono invitati a prendere la parola Kekulè e Cannizzaro. Kekulè insiste sulla sua idea dell’esistenza dei due tipi di molecole prima citate. Cannizzaro la respinge: esistono solo le molecole chimiche ed espone il suo sistema di misurazione dei pesi atomici come derivazione della legge di Avogadro. La distinzione fra molecole ed atomi appare ora chiara alla maggioranza dei presenti. Kekulè e pochi altri restano nel dubbio.
Alla fine dei lavori Pavesi distribuisce ai presenti una copia del “Sunto”. Il congresso si chiude con la convinzione dei più che il principale problema all’ordine del giorno era stato risolto, grazie all’intervento di questo oscuro scienziato che non era stato nemmeno invitato dagli organizzatori. Al suo rientro e Gent, Kekulè riceve da Lothar Meyer una lettera con l’invito a prendere atto dell’esattezza delle tesi di Cannizzaro. Ritorna la domanda. Chi era questo studioso che si era trovato a discutere al congresso di Karlsruhe con i maggiori scienziati europei, in quanto inviato da Piria che non lo aveva nemmeno interpellato?<br />
<br />
Come si legge nei suoi appunti autobiografici, che qui riassumiamo, Cannizzaro nasce a Palermo il 1826, ultimo di 9 figli (si noti che Mendeleev era ultimo di 14 figli). Il padre, Mariano, era al momento Direttore Generale della Polizia di Sicilia; l’anno successivo assume la carica di Presidente della Gran Corte dei conti di Sicilia. Durante i suoi studi nel Reale collegio-convitto “Carolino Calasanzio”, Cannizzaro confessa di non aver avuto nessun insegnamento di scienze naturali. Lasciato il convitto il 1841, frequenta fino al 1845 i corsi universitari di medicina, ma segue anche corsi di letteratura e matematica. Alla fine però non consegue alcuna laurea. C’è da pensare che poiché all’Università di Palermo si potevano conseguire solo le lauree in medicina, legge e teologia, Cannizzaro non avendo nessuna vocazione per le stesse rinuncia al possesso del titolo di studio conseguente. Siccome nella stessa Università non vi erano nemmeno laboratori di chimica o di fisiologia, Cannizzaro frequenta prima il laboratorio privato di Michele Fodera, celebre fisiologo e poi si adatta ad allestire un laboratorio di chimica in casa propria (come usavano gli alchimisti medioevali che organizzavano laboratori segreti nei pressi delle loro camere da letto).<br />
<br />
Comunque sia, nella seconda metà del 1845 si ferma a Napoli per seguire un “Congresso degli scienziati italiani”.
Qui conosce Macedonio Melloni, un fisico che poi lo presenta a Piria, giovane trentaduenne, già professore all’Università di Pisa. Forse Cannizzaro non si rende conto che da quel momento la sua vita cambierà per sempre. Piria infatti gli offre il posto di preparatore straordinario nel Laboratorio di chimica dell’Università di Pisa. Qui, nei due anni trascorsi alle dipendenze di Piria, si impossessa dei segreti della chimica. Alla fine di luglio del 1847, tornato in Sicilia, si fa coinvolgere dai convulsi avvenimenti politici di quel periodo: la rivoluzione del gennaio 1948, la caduta di Messina, l’armistizio, la vittoria delle truppe regie. Cannizzaro, che aveva partecipato a diverse fasi di questi avvenimenti, essendo stato condannato a morte, fugge a bordo della fregata Indipendente, rifugiandosi a Marsiglia. Grazie ad una lettera di Piria prende servizio presso un piccolo laboratorio di chimica di Chevreul a Parigi, ove entra in contatto con vari chimici fra cui Regnault. Negli anni successivi Cannizzaro si sposta in vari luoghi che proviamo a riassumere.<br />
<br />
Dal 1851 al 1855 è professore di fisica, chimica e meccanica presso il Collegio Nazionale di Alessandria (allora nota come Alessandria della Paglia) ove riesce ad allestire un efficiente laboratorio chimico. A ottobre del 1855 viene nominato professore di chimica all’Università di Genova, al posto di Piria che si era trasferito all’Università di Torino. Durante la permanenza a Genova pubblica il suo famoso “Sunto”. Realizza anche, non senza difficoltà, un laboratorio chimico. Abbiamo già accennato alla sua escursione a Karlsruhe del 1860. A Genova rimane fino al 1861 quando si trasferisce all’Università di Palermo. Anche a Palermo, quasi come effetto di un destino predisposto, si trova ad allestire, superando mille difficoltà, un laboratorio chimico efficiente e si fa coinvolgere in altre attività: diventa consigliere comunale ed assessore, allestisce scuole tecniche e organizza corsi serali per operai, assume la carica di rettore (dal 1866 al 1868). Si fa candidare alle elezioni dei deputati del nuovo Parlamento italiano, per conto del partito liberale moderato, ma viene trombato per pochi voti. Nel 1870 è fra i fondatori della “Gazzetta Chimica Italiana”.<br />
<br />
Il 1871 si trasferisce all’Università di Roma come professore di chimica e quasi contemporaneamente viene nominato Senatore per meriti scientifici. Allo stesso tempo, ancora una volta, si attiva per realizzare un laboratorio chimico nell’ambito di un istituto, nell’orto di S. Lorenzo in Panisperna. La nomina a Senatore non viene intesa da Canizzaro come un titolo onorifico, sicchè lo si trova impegnato in numerose iniziative, in modo particolare in alcune che risentono della sua passata esperienza. Come è stato messo in evidenza (per ultimo da Paoloni nella sua introduzione alla ristampa del “Sunto” prima citato), le esperienze fatte come allievo del corso di fisiologia di Fodera, le frequenti epidemie di colera a Palermo che lo avevano privato di due fratelli, spiegano la sollecitudine e l’attenzione con le quali si dedica ai problemi della sanità pubblica. I suoi suggerimenti vengono accolti nella legge del 1888 (Legge per la tutela e l’igiene della sanità pubblica) di Francesco Crispi, che resterà in vigore fino al 1978.<br />
<br />
La sua esperienza come organizzatore di laboratori chimici lo portano a proporre l’istituzione di un “Laboratorio Centrale” presso la Direzione della Sanità pubblica del Ministero dell’Interno, affiancato da una rete di “Laboratori Provinciali di Igiene e Profilassi” dipendenti dalle Prefetture (in seguito trasferiti alle Province, sempre a caccia di compiti e poi alle ASL). Il Laboratorio Centrale si trasformerà nel 1932 in Istituto di Sanità Pubblica e poi in Istituto Superiore di Sanità. Instancabile organizzatore, tra il 1883 e il 1886, è tra gli artefici della fondazione dei Laboratori Chimici dei Tabacchi e delle Gabelle (poi trasformati in Laboratori Chimici delle Dogane). Il 1886 il Ministro Magliani istituisce a Roma il primo di questi laboratori, affidandolo alla direzione di Cannizzaro. Negli anni successivi sorgono altri laboratori: il 1887 a Genova, il 1895 a Livorno, il 1896 a Venezia, il 1901 a Milano e Napoli, ecc. Fra i successori di Cannizzaro è da ricordare Villavecchia, che poi si ritrova tra i fondatori della Merceologia in Italia.
Fin qui i tratti principali di Cannizzaro come chimico-patriota-politico.<br />
<br />
A noi preme sottolineare anche altri aspetti del Cannizzaro-professore-scienziato. Per primo sembra utile evidenziare che è del tutto improbabile rilevare errori o sviste nell’opera scientifica di Cannizzaro. Al contrario, da questo esame non si salva quasi nessuno, nemmeno i più illustri. Basta ricordare Newton che credeva nella possibilità della trasmutazione dei metalli (era figlio del suo tempo), il grande Lavoisier che credeva nell’esistenza del calorico, Fermi che non si era accorto di aver realizzato la fissione (anche per colpa di Segrè che aveva diretto le analisi), lo svarione di Pauling che credeva di aver individuata la struttura del DNA, Rutherford che aveva ipotizzato una struttura dell’atomo che non poteva reggere e così via per tanti altri scienziati. Gli errori di questi però sono da definirsi utili in quanto hanno consentito ad altri di correggere il tiro e migliorare le teorie, i modelli. Non ci riferiamo ovviamente agli errori che commettono i cultori della cosiddetta “Scienza patologica” che non danno alcun contributo e anzi servono a confondere le idee agli sprovveduti: i seguaci della chiromanzia, i visionari degli UFO, i praticanti dello spiritismo, ecc. ecc.<br />
<br />
Ebbene Cannizzaro appartiene ad un’altra categoria di scienziati, altrettanto utili, quelli che si potrebbero definire “costruttori”. Questi utilizzano le scoperte o le teorie di altri per unirle e ricavare modelli più solidi o più generali, contribuendo così al progresso della scienza. Fra questi eccelle, probabilmente più degli altri, Niels Bohr che utilizzando le ipotesi, le teorie o le scoperte di altri, nel caso specifico la teoria dei quanti di Planck, i lavori di Balmer e la struttura dell’atomo ideata da Rutherford, ipotizza una conformazione degli atomi in grado di spiegare tutti i fenomeni osservabili. Un lavoro di assemblaggio definito da Einstein “un’enorme conquista”. Per questo nel lavoro di questi scienziati è difficile trovare sviste o errori.<br />
<br />
Un altro aspetto che vogliamo segnalare è l’amore di Cannizzaro per l’insegnamento e quindi la necessità di renderlo più efficace possibile. Per questo era totalmente convinto che gli allievi dovessero apprendere anche l’evoluzione storica della chimica e del lavoro svolto dai protagonisti. L’attenzione di chi sta apprendendo una nuova disciplina deve concentrarsi su tutte le fasi che la stessa disciplina ha attraversato durante la sua evoluzione storica. Nel suo “Sunto” Cannizzaro afferma testualmente: “Per condurre i miei allievi al medesimo convincimento che io ho, gli ho voluto porre sulla medesima strada per la quale io sono giunto, cioè per l’esame storico delle teorie chimiche”. Non sembra che questi concetti siano sempre stati applicati nelle nostre scuole ed è l’ultimo aspetto che riteniamo sia utile sottolineare.<br />
<br />
Ci riferiamo all’attuale situazione in cui versano le Università italiane, soggette da più di 50 anni ad un metodico lavoro di smantellamento. Con l’ultima legge (del 30 dicembre 2010, n. 240) si è probabilmente inferto il colpo di grazia. Chiunque può constatare che se Cannizzaro (e questo vale per la maggior parte degli scienziati italiani prima citati e di altri successivi fino ai giorni nostri) si fosse presentato ad un concorso odierno per ottenere un giudizio di idoneità (si badi non per ottenere una cattedra, ma solo per essere dichiarato idoneo!) non sarebbe stato nemmeno ammesso, non potendo superare le folli “mediane” previste: non ha scritto quasi nulla in lingua inglese, non ha scritto nulla con altri autori, le riviste in cui ha pubblicato non rientrano negli elenchi predisposti e, soprattutto, nessun valore avrebbe avuto il lavoro più importante svolto, rappresentato dal “Sunto” sottoforma di volume. I volumi non devono nemmeno essere presi in considerazione, qualsiasi argomento trattino.<br />
<br />
Annotiamo con tristezza che per quanto attiene la classificazione delle riviste si raggiunge l’assurdo in quanto si invertono i termini: è la rivista che da prestigio e non è la qualità dell’articolo a dare prestigio alla rivista. Se si conoscesse un minimo di storia della scienza si appurerebbe che la maggior parte delle scoperte importanti, quelle che hanno dato un contributo al progresso delle scienze, non è stata mai valutata positivamente al momento della pubblicazione. Si può amaramente concludere che se fossero state ascoltate e applicate le intuizioni di Cannizzaro in tema di insegnamento e si fosse continuato ad applicare i sistemi di assunzione allora in uso, probabilmente il sistema universitario italiano si sarebbe salvato dall’azione dei riformisti che si sono succeduti dal dopoguerra in poi.
giorgio nebbiahttp://www.blogger.com/profile/12979392991314267930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2346082185157007677.post-82571115092782118952014-01-06T10:49:00.000-08:002014-02-15T00:23:19.439-08:00SM 3621 -- Il glutammato e l'EXPO 2015 -- 2014<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Il blog della Società Chimica Italiana, 6 gennaio 2014, <a href="http://ilblogdellasci.wordpress.com/2014/01/06/umami/"><span style="color: #002bb8;">http://ilblogdellasci.wordpress.com/2014/01/06/umami/</span></a></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: center;">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: center;">
Giorgio Nebbia <a href="mailto:nebbia@quipo.it"><span style="color: navy;">nebbia@quipo.it</span></a></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
L’Italia sta correndo a gambe levate verso l’Esposizione mondiale di Milano, l’Expo 2015 che aprirà i battenti fra meno di cinquecento giorni e che si pensa attirerà a Milano e in Italia, dal 1 maggio al 31 ottobre 2015, molti milioni di persone e molti miliardi di euro. Il tema sarà: “Nutrire il pianeta. Energia per la vita” e sottintende che l’Italia esporrà al mondo i suoi successi nel campo dei prodotti alimentari, la principale fonte di esportazione ”di eccellenza”, come la chiamano. E’ una occasione per ricordare che la nutrizione, più ancora che altre attività umane dipende dalla chimica, che gli alimenti “sono chimica” e che la chimica è la protagonista del complesso ciclo produttivo che comincia con Sole, continua nei campi e negli allevamenti zootecnici, passa attraverso le industrie che trasformano vegetali e corpi animali in prodotti alimentari, poi attraversa i processi di conservazione e distribuzione fino ai negozi e alle famiglie e alle mense e che continua ancora con lo smaltimento di milioni di tonnellate ogni anno di rifiuti agricoli, zootecnici, industriali e domestici.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br />
<a name='more'></a><br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Approfittiamone anche noi come Società Chimica Italiana per parlare della centralità della chimica fra in temi dell’Expo e propongo di cominciare con una piccola storia cominciata nel 1908 quando un chimico giapponese si mise a studiare la ragione del particolare gradevole sapore, chiamato umami, di alcune pietanze a base di alghe, fra cui il konbu, tipiche della cucina del suo paese. Gli inizi del ventesimo secolo sono stati molto importanti per il Giappone, uscito da una lunga notte di condizioni quasi medievali per entrare nella società moderna e industrializzata, con fabbriche metallurgiche e meccaniche e chimiche e con università che mandavano i loro studenti e professori a perfezionarsi in Europa.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
E’ stato il professor Kikunae Ikeda (1864-1936) dell’Università di Tokyo a scoprire che il sapore umami era dovuto ad una particolare sostanza, l’acido glutammico, uno della ventina di amminoacidi principali presenti in tutte le proteine. Ikeda pubblicò la sua scoperta in un giornale giapponese in giapponese, ma subito dopo, nel 1912, riferì i risultati dei suoi studi nel corso dell’ottavo Congresso internazionale di Chimica Applicata che vide riuniti a New York tutti i più importanti chimici del mondo.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Nel frattempo Ikeda aveva costituito una società per la produzione industriale dell’acido glutammico in vista della sua addizione, sotto forma di sale di sodio, di glutammato monosodico, come agente esaltatore del sapore, a un gran numero di alimenti. Per molti anni il consumo rimase limitato al Giappone e alla Cina; negli anni trenta del Novecento il glutammato cominciò ad essere conosciuto negli Stati Uniti e, dopo la seconda guerra mondiale, la sua richiesta e la sua produzione si diffusero rapidamente anche in Europa dove cominciavano ad essere immessi in commercio dei “preparati per brodo”, i “dadi”, che richiedevano appunto come integratore il glutammato.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Il glutammato monosodico può essere prodotto con vari processi. Il primo, quello utilizzato da Ikeda, consiste nel trattamento delle proteine della soia, del frumento e del mais con acidi che scompongono le proteine liberando i vari amminoacidi presenti nelle loro molecole. Il glutine, il complesso proteico del frumento e del mais, contiene dal 15 al 20 % di acido glutammico ed è un sottoprodotto di alcune lavorazioni industriali, per esempio della produzione dell’amido. L’acido glutammico viene separato dagli altri amminoacidi e recuperato come sale di sodio molto puro che si presenta come una polvere cristallina simile al sale.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Un secondo processo, che fu seguito per molti anni negli Stati Uniti, in Europa, e anche in Italia, utilizzava come materia prima un sottoprodotto della lavorazione dello zucchero di barbabietola. Dalle barbabietola lo zucchero viene estratto con acqua calda; si ottiene una soluzione da cui si recupero gran parte dello zucchero puro; una parte però resta in una soluzione di colore bruno, viscosa, il melasso; oggi si tratta di archeologia industriale perché gli zuccherifici sono stati chiusi uno dopo l’altro, ma mezzo secolo fa la richiesta di zucchero era così elevata che veniva recuperato anche quello presente nel melasso; restava un liquido contenente la glutammina, l’ammide dell’acido glutammico, OC(NH<sub>2</sub>)-CH<sub>2</sub>-CH<sub>2</sub>-CH(NH<sub>2</sub>)COOH , che poteva essere ulteriormente trattato per separare, con resine a scambio ionico, l’acido glutammico in ragione di circa il 4 percento rispetto al liquido di dezuccherazione. </div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Ma anche questo processo era poco conveniente e intorno al 1950 l’industria giapponese, che praticamente deteneva il monopolio della tecnologia del glutammato, mise a punto un processo di fermentazione; adatti microrganismi, addizionati ad una soluzione di zuccheri, producevano acido glutammico. Si tratta della tecnologia ormai usata in tutto il mondo. Negli stessi anni cinquanta anche in Italia aumentò rapidamente la richiesta di glutammato monosodico che per legge doveva essere aggiunto ai preparati per brodo sotto forma del sale monosodico con una molecola di acqua di cristallizzazione, NaOOC-CH<sub>2</sub>-CH<sub>2</sub>-CH(NH<sub>2</sub>)COOH.H<sub>2</sub>O, in ragione di circa il 13 percento, equivalente al 10 % di acido glutammico. Sorsero così varie fabbriche di glutammato, a Bottrighe nel Veneto, Fontanellato in Emilia, a Casei Gerola in Lombardia; alcune utilizzavano il processo di idrolisi del glutine, altre recuperavano l’acido glutammico dai sottoprodotti dell’industria dello zucchero, che allora era fiorente in Italia, altre lo producevano per via microbiologica, oggi tutte chiuse. </div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Nell’ambito dell’industrializzazione del Mezzogiorno nel 1965 fu costruita a Manfredonia la fabbrica Insud-Ajinomoto che avrebbe potuto utilizzare il melasso, il sottoprodotto dei vicini zuccherifici della Capitanata, e avviare la Puglia sulla via delle biotecnologie, allora ai primi passi. La fabbrica di glutammato, progettata per una produzione di 5000 tonnellate all’anno,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>funzionò dal 1965 al 1977, con vari inconvenienti, fra cui la scoperta che il melasso, la materia prima, prodotta negli zuccherifici pugliesi, non era adatto per la produzione tanto che ha dovuto per anni essere importato dall’estero. Finché, dopo pochi anni, i giapponesi, padroni della tecnologia, si sono presi i loro batteri e sono tornati a casa, lasciando abbandonato alla corrosione uno stabilimento che avrebbe potuto essere di avanguardia: un esempio di impresa industriale avviata, con incentivi di pubblico denaro, senza adeguati studi preventivi del ciclo produttivo e delle materie necessarie.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Per inciso, come esempio di errori di pianificazione industriale, costati pubblico denaro e delusioni di occupazione, si può ricordare che la Cassa per il Mezzogiorno aveva finanziato, oltre alla fabbrica di Manfredonia, un'altra fabbrica di glutammato, della stessa capacità produttiva, 5.000 tonnellate all’anno, a Brindisi (chiusa quasi subito a trasformata in fabbrica di antibiotici).</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Oggi il glutammato usato in Italia viene importato e ormai nel mondo la sua produzione, circa un milione di tonnellate all’anno, è limitata a Giappone, Cina, Taiwan. Negli anni sessanta del secolo scorso il glutammato è stato al centro di polemiche; alcuni studiosi hanno creduto di osservare effetti tossici dell’uso prolungato di glutammato ma i risultati sono rimasti controversi e comunque la quantità che se ne assume con un dado per brodo del peso di 10 grammi è circa un grammo, più o meno la stessa presente nel glutine di 100 grammi di pasta alimentare di grano duro.</div>
giorgio nebbiahttp://www.blogger.com/profile/12979392991314267930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2346082185157007677.post-1112855872863099072013-12-23T08:55:00.000-08:002014-02-15T00:23:48.711-08:00SM 1434 -- La benzina sintetica -- 1989<div class="MsoPlainText">
<i><u><span style="font-size: 12pt;">l'Unità,</span></u></i><span style="font-size: 12pt;"> 29 giugno 1989</span></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoPlainText" style="text-align: center;">
<span style="font-size: 12pt;">Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="font-size: 12pt;">Il carbone è
un combustibile fossile nero e solido, costituito da grandi molecole organiche,
molto complicate, contenenti, in media, un atomo di idrogeno ogni due atomi di
carbonio, insieme a piccole quantità di altri elementi, fra cui zolfo e azoto.
Il carbone è andato bene come combustibile per impianti fissi e per le caldaie
di treni e navi, per i primi due secoli della rivoluzione industriale, fino
alla seconda metà del 1800.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="font-size: 12pt;">Dopo il 1850
il versiliese Barsanti e il tedesco Otto inventarono dei motori più piccoli, a
combustione interna, che potevano essere utilizzati anche su veicoli mobili, ma
che funzionavano soltanto con combustibili liquidi, come l'alcol etilico,
peraltro costoso, oppure con i nuovi composti ricavabili dalla distillazione
del petrolio. Questi ultimi, divenuti disponibili commercialmente dopo il 1870,
sono costituiti da idrocarburi, composti liquidi contenenti circa due atomi di
idrogeno per ogni atomo di carbonio, insieme, come al solito, a vari altri
elementi. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoPlainText">
<br />
<a name='more'></a><br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="font-size: 12pt;">Fra gli
ultimi anni del 1800 e i primi anni del 1900 la richiesta di combustibili
liquidi aumentò rapidamente e il baricentro del potere energetico cominciò a
slittare dal triangolo del carbone (Francia, Germania, Inghilterra) ai paesi
petroliferi (Stati Uniti e Russia).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="font-size: 12pt;">Le crescenti
ambizioni imperialiste della Germania fra la fine del 1800 e nei primi anni del
1900 avrebbero potuto essere realizzate soltanto se la Germania avesse avuto a
disposizione anche una fonte regolare di idrocarburi liquidi. Troppo lontani e
inaffidabili i giacimenti petroliferi russi del Mar Caspio e quelli romeni, non
restava che tentare di trasformare il carbone in idrocarburi.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="font-size: 12pt;">Se la
differenza fra combustibili solidi e quelli liquidi dipendeva principalmente
dalla quantità di idrogeno presente, la via più semplice appariva il
trattamento del carbone con idrogeno, un'operazione che riesce soltanto ad alta
pressione. Ebbene, proprio nei primi anni del 1900 in Germania erano stati
messi a punto dei processi di sintesi chimica sotto alte pressioni e in
presenza di catalizzatori (sostanze che non intervengono nelle reazioni, ma ne
fanno aumentare la velocità e quindi fanno aumentare la resa dei prodotti
cercati).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="font-size: 12pt;">L'idrogenazione
del carbone fu avviata in un momento in cui grandi scienziati collaboravano con
la grande industria per trasferire rapidamente le proprie scoperte sul piano
commerciale e in cui un potere politico autoritario era disposto a finanziare
le realizzazioni delle basi tecnico-scientifiche della imminente economia di
guerra.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="font-size: 12pt;">In questo
ambiente politico-culturale, sulla idrogenazione del carbone si buttò Friedrich
Bergius, un giovanotto di ventisei anni (era nato nel 1884), figlio di un
piccolo imprenditore dell'alluminio, laureato in chimica e reduce dalla
permanenza nei laboratori di Nernst a Berlino e di Haber a Karlsruhe, due
giganti delle sintesi chimiche, premi Nobel, rispettivamente, nel 1920 e nel
1918. Bergius aprì, nel 1920, un proprio laboratorio ad Hannover e cominciò a
scoprire che il trattamento con idrogeno delle frazioni pesanti del petrolio
forniva grandi quantità di quella benzina che era sempre più richiesta dalla
nascente industria automobilistica e aeronautica.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="font-size: 12pt;">Il passo
successivo fu il trattamento con idrogeno del carbone. Al Congresso
internazionale di chimica applicata di New York del 1912 Bergius riferì di
essere riuscito a trasformare il carbone, per idrogenazione sotto pressione, in
idrocarburi e prodotti catramosi liquidi, con una notevole resa di composti
aromatici (molecole in cui sei atomi di carbonio sono uniti ad anello fra
loro). Soltanto nel 1925 sarebbe stato scoperto che il carbone è effettivamente
costituito in gran parte da macromolecole a struttura "aromatica".<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="font-size: 12pt;">Il primo
brevetto di Bergius sulla idrogenazione del carbone porta la data del maggio
1913; l'inventore aveva appena ventinove anni. Nell'estate del 1914, alla
vigilia della prima guerra mondiale, Bergius aveva trovato le condizioni per
avviare la produzione industriale di idrocarburi dal carbone.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="font-size: 12pt;">La
produzione vera e propria si scontrò, negli anni della guerra 1914-1919, con
difficoltà tecniche e mancanza di fondi. L'inflazione della Germania sconfitta
rese ancora più difficile trovare finanziamenti per la "benzina
sintetica"; Bergius, con incrollabile fede, cercò capitali stranieri e
avviò l'idrogenazione del carbone su scala industriale in una fabbrica a
Rheinau nella prima metà degli anni venti del Novecento.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="font-size: 12pt;">Nel 1925 lo
sviluppo su larga scala del processo Bergius fu assunto dalla BASF (Badische
Anilin und Soda Fabrik), uno dei più grandi complessi chimici del mondo; il 9
dicembre 1925 la BASF si fuse con altre sette società chimiche tedesche dando
vita al gruppo IG Farben. Alla IG Farben Bergius potè lavorare con Carl Bosch,
uno degli inventori della sintesi sotto pressione dell'ammoniaca che aveva
assicurato alla Germania, per tutto il periodo della prima guerra mondiale,
concimi e esplosivi ricavati dal carbone.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="font-size: 12pt;">La prima
grande fabbrica di benzina sintetica fu costruita nell'aprile 1927 a Leuna e
nel 1931 era in grado di produrre 300.000 tonnellate di idrocarburi all'anno.
Nello stesso 1931 Bergius e Bosch ottennero il premio Nobel per la chimica.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="font-size: 12pt;">Conquitstato
il potere nel 1933, Hitler capì che il suo progetto imperialista di guerra e di
conquista mondiale aveva bisogno di una potente industria chimica, capace di
produrre esplosivi, concimi, gomma sintetica e benzina sintetica dall'unica
materia prima abbondante in Germania, il carbone. Hitler corteggiò i grandi
capitalisti tedeschi e assicurò elevati profitti a chi avesse favorito i suoi
progetti militari. Nel 1944 funzionavano in Germania dodici stabilimenti di
idrogenazione del carbone con una produzione di oltre tre milioni di tonnellate
all'anno di benzina, fra cui benzina da aviazione ad alto numero di ottano.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="font-size: 12pt;">Ma il
successo tecnico-scientifico e i profitti dei capitalisti complici di Hitler
erano costruiti sul sangue; nel caso delle fabbriche di benzina sintetica ---
come in quelle di benzina sintetica, di armi, di meccanica, di missili --- si
trattava del sangue dei prigionieri e degli ebrei rastrellati in tutti i paesi
occupati e impiegati come mano d'opera schiava.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="font-size: 12pt;">La
conferenza di Potsdam del luglio 1945 vietò ai tedeschi di produrre benzina
sintetica e nell'aprile 1949 fu ordinata la distruzione delle fabbriche
esistenti. In quello stesso 1949 con l'avventura della benzina sintetica si
chiudeva anche la vita del suo inventore Bergius. Alcuni stabilimenti furono
trasformati in raffinerie di petrolio, ma la vera morte della benzina sintetica
fu dovuta alla crescente abbondanza di petrolio a basso prezzo nel mondo, dopo
la seconda guerra mondiale.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="font-size: 12pt;">Oggi l'unica
grande fabbrica di benzina sintetica si trova nel Sud Africa e funziona con un
processo messo a punto nel 1925 dai chimici tedeschi Fischer e Tropsch; esso
consiste nella trasformaziona dapprima del carbone in una miscela dei gas
ossido di carbonio e idrogeno, che sono poi ricombinati con aggiunta di altro
idrogeno e trasformati in idrocarburi liquidi.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="font-size: 12pt;">L'invenzione
della benzina sintetica ebbe un'eccezionale risonanza in tutto il mondo; le
compagnie petrolifere americane scambiarono brevetti, anche durante il
periodonazista, con la IG Farben. Una fabbrica per ottenere benzina sintetica
dall'idrogenazione dei bitumi albanesi fu costruita a Bari nel 1939 dalla
societa' ANIC, il cui nome è, appunto, l'abbreviazione di Azienda Nazionale
Idrogenazione Combustibili.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="font-size: 12pt;">Gli anglo
americani da una parte e i russi dall'altra mandarono in Germania squadre di
scienziati-soldati che affiancavano, o addirittura ancipavano l'avanzata delle
truppe di occupazione per impedire la distruzione delle fabbriche, far
prigionieri i tecnici e per sequestrare la documentazione tecnica che è poi
finita negli archivi americani e, probabilmente, sovietici.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="font-size: 12pt;">Dopo il
1973, quando si ebbe il primo aumento del prezzo del petrolio, il governo
americano ordinò una ricognizione dei documenti dell'industria di guerra
tedesca per cercare eventuali "segreti" nel campo della produzione
della benzina sintetica dal carbone. Un riesame dell'enorme materiale degli
archivi non indicò l'esistenza di particolari innovazioni utilizzabili nella
nuova era di petrolio scarso e costoso. Tuttavia la ricostruzione della storia
della benzina sintetica ha permesso di gettare nuova luce su un dimenticato
capitolo dei rapporti fra potere politico pre-nazista e nazista, scienziati al
"servizio" della patria e degli industriali,<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="font-size: 12pt;">e
capitalismo tedesco.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="font-size: 12pt;">La possibile
esistenza di processi segreti nazisti per la benzina sintetica ha ispirato il
romanzo di Steve Shagan, "La formula", del 1979 (tradotto anche in
italiano da Rizzoli), da cui è stato tratto un celebre film omonimo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="font-size: 12pt;">Un racconto
basato sull'intreccio fra potere economico, scienza e potere militare prima e
durante il nazismo, in Germania, ha ispirato lo sceneggiato televisivo
"Padri e figli", trasmesso anche in Italia nel 1987: una delle grandi
famiglie di capitalisti dell'industria chimica si illude di poter trattare con
Hitler offrendo le proprie invenzioni, fra cui appunto quella della benzina
sintetica, e poi viene travolta e diventa complice di un potere spietato.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="font-size: 12pt;">La storia
dell'idrogenazione del carbone induce a prestare più attenzione a questo
combustibile di cui esistono, nel mondo, riserve per 10 mila miliardi di
tonnellate, un<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="font-size: 12pt;">miliardo
delle quali anche in Italia, in Sardegna.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<br />
<div class="MsoPlainText">
<span style="font-size: 12pt;">Davanti al
trionfo del petrolio la scienza e la chimica del carbone sono passate nel
dimenticatoio e il carbone viene usato in maniera offensiva per l'ambiente. Un
rilancio della cultura, della chimica e della merceologia del carbone, anche di
quello di cattiva qualità come le ligniti sarde, potrebbe aprire nuove vie per
usare bene, in maniera ecologicamente compatibile, un combustibile che è pur
sempre il più abbondante del pianeta.<o:p></o:p></span></div>
giorgio nebbiahttp://www.blogger.com/profile/12979392991314267930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2346082185157007677.post-57007178211225774792013-11-01T09:15:00.000-07:002013-11-01T09:15:02.321-07:00R.Carpignano, La ChimicaMaestra<div class="MsoNormal">
<b>La Chimica<i>Maestra
</i>-</b><b><i><span style="font-size: 11pt;">Didattica della Chimica per futuri
maestri</span></i><o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal">
<b><span style="font-size: 11pt;">di Rosarina Carpignano, Giuseppina
Cerrato, Daniela Lanfranco e Tiziano Pera<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: -51.55pt;">
<span style="font-size: 11pt;">272 pagine - ottobre 2013 - prezzo: 28 Euro<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: -51.55pt;">
<span style="font-size: 11pt;">Editore: Il Baobab, l’albero della ricerca
– e-mail: <a href="mailto:info@baobabricerca.org"><span style="color: black;">info@baobabricerca.org</span></a><b>
<o:p></o:p></b></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm -222.55pt 0pt 504pt; text-indent: -504pt;">
<span style="font-size: 11pt;">Distributore:</span><span style="font-family: Cambria; font-size: 11pt;"> Libreria CORTINA
TORINO srl- Corso Marconi 34/a- 10125 Torino- <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm -222.55pt 0pt 504pt; text-indent: -504pt;">
<span style="font-size: 11pt;"><a href="mailto:info@cortinalibri.it"><span style="color: black; text-decoration: none; text-underline: none;">info@cortinalibri.it</span></a><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>La </i><span style="font-family: 'Century Gothic'; font-size: 10pt;">Chimica<i>Maestra</i></span><i><span style="font-family: 'Century Gothic'; font-size: 10pt;"> è destinato ai futuri
insegnanti che frequentano il Corso di Laurea in Scienze della Formazione
Primaria, ma può essere utile anche a coloro che già operano nelle aule di
insegnamento.<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Il testo si compone di 4 parti. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<u><span style="font-family: 'Century Gothic'; font-size: 10pt;">Parte
1</span></u>:<i> breve introduzione pedagogica a sostegno
dell’idea di centralità dello studente-bambino come cittadino della sua stessa
scuola e della didattica attiva fondata sulla laboratorialità come strumento per
costruire competenza;<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<u><span style="font-family: 'Century Gothic'; font-size: 10pt;">Parte
2</span></u>:<i>
proposta di percorso didattico fondato sui principi e sui fondamenti
della Chimica di cui, oltre agli aspetti teorici, vengono forniti gli sfondi
storici e i contesti di senso;<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<u><span style="font-family: 'Century Gothic'; font-size: 10pt;">Parte
3</span></u><i><span style="font-family: 'Century Gothic'; font-size: 10pt;"> dedicata
ad esperimenti ed esperienze pratiche validate e concretamente
realizzabili, corredate da protocolli,
informazioni e dati utili per accompagnare i bambini a costruirsi un loro
metodo, entro i confini permeabili tra realtà e fantasia (favole, racconti,
problemi sfidanti e situazioni-caso) e per indirizzare gli insegnanti a
raccogliere indizi di competenza dai bambini coinvolti
nell’azione;<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<u><span style="font-family: 'Century Gothic'; font-size: 10pt;">Parte
4</span></u>: <i>vi si trovano le riflessioni sulla
prospettiva culturale promossa nel testo e in grado di orientare la prassi
d’aula in modo coerente con la didattica
per la competenza promossa dalle nuove Indicazioni
MIUR.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i>Conclude il testo una
ricca</i><span style="font-family: 'Century Gothic'; font-size: 10pt;"> <i>Bibliografia e Sitografia. <o:p></o:p></i></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="color: black; font-family: 'Century Gothic'; font-size: 10pt; mso-bidi-font-family: Gautami; mso-fareast-font-family: 'Adobe Ming Std L';"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-tab-count: 1;">
</span></span></i><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="color: black; font-family: 'Century Gothic'; font-size: 10pt;">La
</span></i><span style="color: black; font-family: 'Century Gothic'; font-size: 10pt;">Chimica<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Maestra</i></span><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="color: black; font-family: 'Century Gothic'; font-size: 10pt; mso-bidi-font-family: Gautami; mso-fareast-font-family: 'Adobe Ming Std L';"> </span></i><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="color: black; font-family: 'Century Gothic'; font-size: 10pt;">si propone
come strumento di transizione dalla scuola della Scienza-mito a quella del
bambino scienziato, dove alle verità indiscutibili si sostituiscono le ipotesi
sindacabili e verificabili, valide solo fino</span></i><span style="color: black; font-family: 'Century Gothic'; font-size: 10pt;"> a prova
contraria <i style="mso-bidi-font-style: normal;">e proprie di una Chimica
“viva”, al passo con i tempi</i>.<o:p></o:p></span></div>
giorgio nebbiahttp://www.blogger.com/profile/12979392991314267930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2346082185157007677.post-40386741911281633892013-10-21T00:06:00.002-07:002013-10-21T00:10:10.994-07:00SM 3601 -- Quando la chimica era ingenua -- 2013<div class="MsoFooter">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<i><u>Il blog della Società Chimica Italiana</u></i>, 20
ottobre 2013</div>
<div class="MsoNormal">
<a href="http://ilblogdellasci.wordpress.com/2013/10/20/quando-la-chimica-era-ingenua/">http://ilblogdellasci.wordpress.com/2013/10/20/quando-la-chimica-era-ingenua/</a></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
Giorgio Nebbia <a href="mailto:nebbia@quipo.it">nebbia@quipo.it</a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Quando non erano ancora stati inventati gli omega3, per caratterizzare
gli oli di pesce si seguiva il metodo di Tortelli-Jaffe come segue: “In un
cilindretto a piede, con tappo smerigliato e perfettamente asciutto, si
introducono 1 cm<sup>3</sup> di olio del tutto esente da acqua, 6 cm<sup>3</sup>
di cloroformio, 1 cm<sup>3</sup> di acido acetico glaciale, agitando fino a
soluzione omogenea, quindi 40 gocce di una soluzione al 10 % di bromo in
cloroformio e si agita nuovamente per qualche secondo: gli olii di animali
marini e i loro prodotti di idrogenazione dopo qualche minuto si colorano in verde
con riflessi azzurrini o giallognoli e questa tinta si intensifica sempre più
entro mezz’ora, passando poi al bruno”. Chimica non tanto ingenua, poi, perché
era citata nel <i><u>Chemische Zeitung</u></i>, vol. 39, p. 14-15 (1915) dove
la reazione è interpretata come dovuta alla presenza negli oli di un cromogeno
che, in certe condizioni, si trasforma in una sostanza con un colore
caratteristico. La reazione di Tortelli e Jaffe era citata anche nell’ <i><u>Yearbook
of the American Pharmaceutical Association</u></i>, vol. 4, p. 300 (1915) e in
altri testi del tempo, oltre che in tutti i libri italiani di chimica analitica
applicata e di Merceologia.</div>
<div class="MsoNormal">
<br />
<a name='more'></a><br /></div>
<div class="MsoNormal">
Il “Tortelli” del metodo era il prof. Massimo Tortelli, nato
nel 1859 a Bibbiena (Arezzo); laureato nel 1889; dopo aver prestato servizio
nei Laboratori Chimici delle Gabelle (poi Laboratori chimici delle Dogane),
divenne Direttore del Laboratorio Compartimentale di Genova, carica che tenne
per quasi 20 anni. Nel 1910 vinse il concorso alla cattedra di Merceologia
nell'Istituto superiore di studi economici e commerciali in Genova. Tortelli
elaborò metodi analitici per la caratterizzazione e la scoperta delle
adulterazioni degli olii vegetali più importanti, fra cui quelli di arachide,
di colza (il test di Tortelli e Fortini fu pubblicato nella <i><u>Gazzetta
Chimica Italiana</u></i>, vol. 41, p. 173-182 (1911)), e quello sopra ricordato
per gli oli di pesce. </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Fra i suoi contributi va ricordata l’invenzione del
termoleometro, uno strumento per la misura dell’”indice termosolforico”
definito come l’aumento di temperatura che si osserva facendo reagire acido
solforico concentrato con un olio, un indice più o meno proporzionale al grado
di insaturazione dell’olio. Questo saggio fu descritto nel libretto: Massimo
Tortelli, “Termoleometro, apparecchio atto a scoprire le adulterazioni degli
olii di oliva e pure degli altri olii vegetali e animali”, Feltre, Castaldi,
1904, e si esegue come segue: in un bicchiere di vetro a doppia parete nella
cui intercapedine si è fatto il vuoto, si pongono 20 cm<sup>3</sup> di olio in
cui si immerge uno speciale termometro che, in vicinanza del bulbo, porta due
alette di vetro che lo fanno funzionare anche da agitatore. <a href="http://win.galileilivorno.it/museo_della_chimica/popup/Tortelli_foto.html">http://win.galileilivorno.it/museo_della_chimica/popup/Tortelli_foto.html</a>.
</div>
<div class="MsoNormal">
Al termooleometro si imprime un movimento rotatorio per
circa un minuto finché il termometro indica una temperatura stabile t. Con una
pipetta si misurano 5 cm<sup>3 </sup>di acido solforico concentrato di densità
1,8413, che si lasciano lentamente cadere sull’olio mentre con l’altra mano si
agita di continuo la miscela, servendosi del termoleometro fino a che la
temperatura si ferma per qualche minuto al valore T. La differenza T – t indica
l’”indice termosolforico” che risulta fra 41 e 45 per l’olio di oliva, 78 per
l’olio di cotone, eccetera. </div>
<div class="MsoNormal">
Anche questo lavoro ebbe risonanza all’estero come
dimostrano le citazioni: M. Tortelli, “Estimation of thermal value of fats and
oil”, <i><u>Analyst,</u></i> 1909 da: <i><u>Chemische Zeitschrift</u></i>, <i><u>6</u></i>,
(33); 125, 134, 171, 184; (34), 168 (1907);.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Tortelli scrisse inoltre un “Trattato dei metodi generali di
analisi dei grassi” e un libro sugli “Assaggi delle merci” e collaborò anche
alla “Nuova Antologia”. Erano apprezzate le lezioni per le quali si preparava,
anche negli ultimi anni, con grande scrupolo ed amore, perché fossero sempre
aggiornate. A Tortelli si deve la fondazione a Genova dell’Istituto commerciale
medio, del quale fu per molti anni direttore. Tortelli morì a 71 anni nel 1930.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Il prof. Emilio Jaffe, che collaborò con Tortelli per la
reazione dell’olio di pesce, era nato a Casale Monferrato nel 1883, dopo la
laurea in Chimica e Farmacia nel 1906, prestò servizio al Laboratorio Chimico
della Scuola Agraria di Voghera; entrò poi per concorso nei Laboratori Chimici
delle Dogane e svolse la sua attività di analista nelle sedi di Roma e Genova.
Ma la sua vocazione era l'insegnamento: nell'autunno 1925 riuscì primo nel
concorso alla Cattedra di Chimica e Merceologia dell'Istituto Tecnico Commerciale
“M.Tortelli” di Genova, cattedra che Egli tenne tanto degnamente da meritare
che l'aula di lezione e il laboratorio merceologico dell'Istituto venissero poi
intitolati al suo nome. Oltre ai lavori fatti in collaborazione col prof.
Tortelli studiò le reazioni della trietanolammina con sali di metalli pesanti.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Apprezzato da studenti e colleghi, come ebreo Jaffe fu
sospeso dall’insegnamento in seguito alle infami leggi razziali fasciste quando
aveva 55 anni e subì persecuzioni durante la seconda guerra mondiale. Dopo la
Liberazione riprese l’insegnamento e gli studi e morì a 68 anni nel 1951. In
collaborazione col prof. Luigi Prussia scrisse vari libri di Merceologia per
Istituti tecnici, che ebbero molte edizioni. La più vecchia edizione che ho
trovato è datata 1938. Quando ero assistente con famiglia a carico, curai un
aggiornamento della edizione per Istituti Tecnici Commerciali a indirizzo
mercantile, come si chiamavano allora, pubblicata nel 1966.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Del prof. Luigi Prussia non sono stato capace di trovare
notizie; risulta autore delle dispense di un corso di Chimica analitica
dell’anno accademico 1897-1898, pubblicate a Parma, il che farebbe pensare che
sia nato intorno al 1860-65; una sua pubblicazione sulla ricerca dei derivati
del petrolio negli oli di trementina è datata 1914; potrebbe essere morto negli
anni trenta del Novecento.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
La cosa curiosa è che Tortelli e Jaffe, senza saperlo,
avevano svelato la presenza negli oli di pesce di una sostanza che si sarebbe
rivelata la “vitamina A” (scrivo fra virgolette perché è ben noto come molte
sostanze, idrocarburi non saturi retinoidi e carotinoidi, possano essere dotate
delle proprietà biologiche attribuite alla vitamina A). Le “virtù” dell’olio di
fegato di merluzzo erano note da tempi antichi --- un cucchiaio dello
gradevolissimo olio di fegato di merluzzo era la cura sicura per i bambini un
po’ palliducci --- ma le proprietà della “Vitamina A” sarebbero state
riconosciute soltanto nei primi anni dieci del Novecento e il nome sarebbe
stato assegnato nel 1920.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Negli anni successivi al lavoro di Tortelli e Jaffe, Otto
Rosenheim e Jack Cecil Drummond (<i><u>Lancet</u></i>, <i><u>198</u></i>, 862
(1920)) trattando l’olio di pesce con acido solforico concentrato osservarono
la comparsa di un colore blu di breve durata; l’intensità del colore risultava
proporzionale all’effetto di vitamina A manifestato da tale olio quando
somministrato ai ratti. Nel 1925 gli stessi Rosenheim e Drummond suggerirono di
usare, invece dell’acido solforico, il reattivo di Kahlenberg, tricloruro di
antimonio in cloroformio che provocava nella soluzione una colorazione blu
della durata di due o tre minuti.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Nel 1926 Francis Howard Carr (1874-1969) e Ernest Arthur
Price (<i><u>Biochemical Jouirnal</u></i>, <i><u>20</u></i>, 497-501 (1926) <a href="http://www.researchgate.net/publication/7038681_Colour_Reactions_Attributed_to_Vitamin_A">http://www.researchgate.net/publication/7038681_Colour_Reactions_Attributed_to_Vitamin_A</a>
) perfezionarono il metodo, e la misura dell’intensità del colore blu che si
forma dopo aggiunta di una soluzione di tricloruro di antimonio a sostanze
contenenti vitamina A, per molti decenni fu utilizzata per l’analisi della
concentrazione della vitamina. Una buona rassegna delle origini del “colore
blu” che si forma dalla reazione di vari “acidi di Lewis” con molecole
strutturalmente simili alla vitamina A si trova in : <a href="http://repositories.tdl.org/ttu-ir/bitstream/handle/2346/13047/31295004916192.pdf?sequence=1">http://repositories.tdl.org/ttu-ir/bitstream/handle/2346/13047/31295004916192.pdf?sequence=1</a></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
giorgio nebbiahttp://www.blogger.com/profile/12979392991314267930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2346082185157007677.post-47465775129507889492013-08-19T00:57:00.000-07:002013-08-19T00:57:03.354-07:00SM 3582 -- La bilancia di Westphal<div class="MsoNormal">
<a href="https://ilblogdellasci.wordpress.com/2013/08/18/la-bilancia-di-mohr-westphal/">https://ilblogdellasci.wordpress.com/2013/08/18/la-bilancia-di-mohr-westphal/</a></div>
<div class="MsoNormal">
<!--[if !supportEmptyParas]--> </div>
<div class="MsoNormal">
<o:p></o:p></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
Giorgio Nebbia <a href="mailto:nebbia@quipo.it">nebbia@quipo.it</a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Ho sempre amato la bilancia di Westphal. Forse l’ho vista
per la prima volta in un libro del liceo, poi l’ho ritrovata in qualche
“Laboratorio” di chimica e finalmente l’ho frequentata spesso da assistente
nelle esercitazioni di Merceologia, affascinante nella sua elegante cassetta di
legno, imbottita. Mi affascinavano i pesi, chiamati romanticamente cavalieri,
in tedesco Reitergewichte, la pinzetta per maneggiare i pesi senza sporcarli
con il grasso delle dita, e tutto il funzionamento: il riferimento al principio
di Archimede, che ogni volta immaginavo, e raccontavo, nella vasca da bagno, e
la buona precisione, alla terza cifra decimale, che consentiva buone misure del
peso specifico dei liquidi ma anche di solidi. Doveva piacere anche a Primo
Levi che la cita nel capitolo “Potassio” del suo libro “Il sistema periodico”..</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Nella bilancia di Westphal che si usava alla Merceologia a
Bologna il filo che collegava il braccio mobile al peso, con termometro
incorporato, era del prezioso (negli anni 40 del Novecento) platino, altro
aspetto fascinoso, in modo da poter effettuare misure di peso specifico con
liquidi corrosivi. L’unica curiosità era quel nome, talvolta scritto, anche in
alcuni libri, con due elle, che faceva pensare alla Vestfalia, regione
nord-occidentale della Germania, quella della pace del 1648 che mise fine alla
guerra dei trent’anni, la regione tedesca della Westfalia. Molti libri
indicavano la bella bilancia col doppio nome Mohr Westphal</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Mohr, che fosse quello del “sale”, (NH<sub>4</sub>)<sub>2</sub>Fe(SO<sub>4</sub>)<sub>2</sub>.6H<sub>2</sub>O,
che si maneggia per le titolazioni di ossido-riduzione nel laboratorio del
primo anno ? Si, si tratta proprio di Karl Friedrich Mohr (1806-1879), figlio
di un farmacista nel cui laboratorio aveva imparato a maneggiare
apparecchiature chimiche e si era cimentato con le prime analisi Dopo la laurea
in chimica alla morte del padre dovette dedicarsi agli affari di famiglia che
però, dopo poco, andarono male. Assunse così un lavoro nel laboratorio
universitario e, per le sue competenze, e abilità sperimentali, fu nominato
prima professore aggregato e poi professore ordinario.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Nel 1877, due anni prima della morte, apparve il suo
monumentale trattato di chimica analitica: ”Lehrbuch der chemisch-analytischen
Titrirmethoden”. Fra i suoi contributi va ricordata appunto la bilancia per la
misura del peso specifico con l’elegante sistema di compensazione della
“spinta” del liquido in cui è immerso un peso tarato, rispetto all’equilibrio
dello stesso peso nell’aria. Tale “spinta” viene compensata ponendo dei pesi
tarati, i”cavalieri”, sulle varie tacche del braccio che regge il peso.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
E ancora: a noi oggi sono familiari le burette tarate da cui
il fluido fuoriesce attraverso un rubinetto di vetro. Ma ai tempi di Mohr non
esistevano e Mohr suggerì di applicare all’estremità inferiore della buretta un
tubicino di gomma chiuso con una molletta metallica in modo da far uscire il
liquido in quantità controllate allentando la pressione della “pinza”. Ricordo
dio avere visto anch’io una di questa pinzette che venivano ancora chiamate
“pinze di Mohr”, dai vecchi mitici “tecnici” di laboratorio. Talvolta
diplomati, talvolta autodidatti, impratichiti assistendo i professori
nella,preparazione delle lezioni, vecchi “maghetti” che sapevano fare tutto,
che aiutavano gli studenti e anche i giovani assistenti nelle esercitazioni e
nelle attività di laboratorio..</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Quanto
poi al nome Westphal non si trattava della regione tedesca, ma del tedesco
Georg Wilhelm Westphal, artigiano ed inventore, che nel 1860 aveva fondato a
Celle, città della Bassa Sassonia, la ditta "Georg Westphal
Präzisionstechnik". Westphal fabbricava bilance, strumenti di precisione e
vetreria e la sua ditta era nota anche al di fuori della Germania. Nel 1896, il
periodo di massima floridezza --- era anche un periodo d’oro per la chimica
tedesca --- le officine meccaniche e ottiche Georg Westphal vendettero circa
3000 pezzi e ottennero vati premi e medaglie nelle fiere internazionali di
Vienna, Berlino, Londra, Parigi, Celle, Hannover, Brema.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
In
quel tempo Westphal aveva 29 impiegati ed era il principale fabbricamte tedesco
di bilance e strumenti di precisione della Germania. Alla morte di Westphal nel
1902 l’attività fu continuata dalla vedova e da un collaboratore, Ernst Raute
ma, nonostante venisse conservato il nome prestigioso del fondatore, gli affari
andarono peggiorando. Raute morì nel 1946 a 89 anni, pare portandosi nella tomba
il segreto della taratura di precisione degli strumenti</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Nel 1950 la ditta Westphal fu acquistata dal costruttore di
strumenti di precisione Rudolf Strohauer, poi da altri imprenditori e fu
trasferita a Westercelle dove continuò la fabbricazione di bilance e strumenti
di precisione con le nuove tecnologie, ancora con il nome <span style="background-color: white; background-position: initial initial; background-repeat: initial initial;">Westphal
Präzisionstechnik GmbH & Co</span>.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Ecco risolto il mistero (per me) del nome; se si fosse
trattato della Vestfalia, regione di belle ragazze e coraggiosi cavalieri, non
per niente il suo simbolo è un cavallo bianco, sarebbe stato meglio, ma nella
vita non si può avere tutto..</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
giorgio nebbiahttp://www.blogger.com/profile/12979392991314267930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2346082185157007677.post-7613451379513597522013-07-31T03:14:00.003-07:002013-07-31T03:15:16.639-07:00SM 3578 -- La chimica del riciclo -- 2013<div class="MsoNormal">
<i><u>La Gazzetta del Mezzogiorno</u></i>, martedì 30 luglio
2013 </div>
<div class="MsoNormal">
<o:p></o:p></div>
<div align="center" class="MsoFooter" style="tab-stops: 35.4pt; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<o:p></o:p></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
Giorgio Nebbia <a href="mailto:nebbia@quipo.it">nebbia@quipo.it</a></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Nel film “Il laureato”, di Mike Nichols, del 1967,
considerato uno dei più importanti film della storia, quando il giovane
Benjamin Braddock (un grande Dustin Hoffman) torna a casa dopo la laurea, tutti
si preoccupano del suo avvenire e di come farlo sposare con la figlia del socio
del padre. Il solerte amico di famiglia, il signor McGuire, lo prende da parte
e gli dice: “Benjamin: ti dirò una sola parola: plastica”. Aveva ragione il
signor McGuire; nella plastica, sembravano riposte le fortune del mondo; negli
anni sessanta la produzione mondiale di materie plastiche era di circa 15
milioni di tonnellate all’anno, oggi si aggira intorno a 300 milioni di
tonnellate all’anno, un quarto di queste fabbricate nel solito gigante
industriale cinese.</div>
<div class="MsoNormal">
<br />
<a name='more'></a><br /></div>
<div class="MsoNormal">
La plastica è dovunque, dai sacchetti per la spesa alle
automobili, dal rivestimento dei fili elettrici alle tubazioni per l’acqua e le
fogne, dagli imballaggi che consentono di conservare al freddo gli alimenti, ai
giocattoli, eccetera. “Plastica”, però, è un nome che non dice niente, perché
esistono numerosissimi tipi di materie plastiche, macromolecole sintetiche
costituite da migliaia a milioni di atomi uniti fra loro. Di alcune conosciamo
l’abbreviazione perché la troviamo stampigliata sui relativi manufatti: PE,
polietilene a bassa o alta densità; PP, polipropilene; PET, tereftalato di
polietilene; PV, polivinile; PS, polistirolo. Gli oggetti che usiamo sono
miscele complesse di alcune di queste macromolecole con plastificanti,
coloranti, additivi di vario genere, capaci di adattare ciascuna miscela ai
vari usi.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Benché sia così buona e utile, esiste una diffusa
contestazione e per alcuni ambientalisti plastica è parolaccia. Ciò deriva dal
fatto che i manufatti di materia plastica sono quasi indistruttibili, il che è
desiderabile in molte applicazioni nelle quali si desidera che tubi, fili
elettrici, parti di macchinari siano duraturi, resistenti agli acidi,
inattaccabili dall’acqua e dai batteri. Invece per molte altre applicazioni,
soprattutto negli imballaggi destinati ad una breve o brevissima vita prima di
diventare rifiuti, si tratta di un grosso inconveniente dal punto di vista del
loro smaltimento. Si dice normalmente che, per evitare discariche e
inceneritori, occorre raccogliere i rifiuti separatamente, per qualità
merceologica, in modo da poterli sottoporre a riciclo, a ricostruzione delle
merci originali, e questo viene anche ripetuto per i rifiuti di materie
plastiche.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Il successo della raccolta differenziata è affidato alla
buona volontà dei cittadini ed è fortunatamente crescente anche in Italia, ma
la trasformazione degli oggetti usati di plastica in nuovi oggetti presenta
difficoltà tecnico-scientifiche. “Se”, lo scrivo fra virgolette, fosse
possibile ottenere tutti insieme i rifiuti, per esempio di PET (per lo più le
bottiglie di acqua), o di PE, in via di principio, dopo una pulizia grossolana,
sarebbe possibile farli fondere e trasformarli di nuovo in oggetti commerciali
dello stesso materiale. Purtroppo dei circa 2 milioni di tonnellate di oggetti
di plastica a vita breve (per lo più imballaggi) immessi in commercio ogni anno
in Italia soltanto circa 600.000 tonnellate sono raccolte in maniera
differenziata; circa 300.000 tonnellate sono avviate al riciclo vero e proprio,
cioè alla trasformazione in altri prodotti vendibili, e circa 750.000 sono
bruciati negli inceneritori o nei forni da cemento, come miscele di materie
plastiche diverse, o plasmix. Il resto finisce nelle discariche.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Da questi numeri approssimativi è facile vedere i motivi
della contestazione ambientalista contro le materie plastiche: le discariche
sono sempre più difficili da trovare; la combustione negli inceneritori provoca
inquinamento atmosferico; e poi viene contestata la grande quantità di
petrolio, la materia prima, usata per produrre le materie plastiche, e infine
la resistenza, la non biodegradabilità, delle plastiche quando finiscono nei
campi, nei fiumi, nel mare. Le soluzioni, finora tentate, quella di ”inventare”
delle materie plastiche “verdi”, biodegradabili, capaci di decomporsi in
settimane o mesi, anziché in anni o decenni, o quella di diminuire il peso di
alcuni oggetti di plastica come i sacchetti per la spesa, si sono rivelate
finora dei palliativi.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Nell’attesa di un materiale che sia lavorabile con le stesse
tecniche usate oggi e sia adatto per le stesse applicazioni delle materie
plastiche odierne e che ”scompaia” in pochi giorni quando è buttato via,
proprietà in evidente contrasto fra loro, restano i processi capaci di
trasformare le plastiche miste in qualcosa di vendibile; non saranno più
bottiglie o tubi, ma potrebbero essere prodotti più poveri come pavimenti per
abitazioni o strade, infissi, panchine o tavole, qualcosa insomma che tolga
dalle discariche o dagli inceneritori una parte delle plastiche. Qualche
impresa si sta muovendo: non occorrono grandi impianti, la materia prima, i
rifiuti di plastiche sono disponibili nel Nord e nel Sud d’Italia e sono
oggetto anche in un commercio internazionale, con prezzi fra 100 e 300 euro
alla tonnellata.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
C’è molto lavoro, anche nel Mezzogiorno, per studiosi,
inventori e imprenditori nel campo della chimica e della merceologia del
riciclo, nel nome di un ambiente meno sporco e inquinato.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
giorgio nebbiahttp://www.blogger.com/profile/12979392991314267930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2346082185157007677.post-39651565503213389482013-06-18T00:12:00.001-07:002013-06-18T00:12:27.552-07:00SM 3566 -- Da una trappola all'altra -- 2013<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<i><u>La Gazzetta del Mezzogiorno</u></i>, martedì 18 giugno 2013 <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: center;">
Giorgio Nebbia <a href="mailto:nebbia@quipo.it">nebbia@quipo.it</a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Forse una notizia abbastanza buona. In un recente incontro i presidenti delle due maggiori potenze industriali mondiali, gli Stati Uniti e la Cina, si sono accordati per eliminare gradualmente, da ora al 2050, l’uso degli idrocarburi fluorurati, HFC, una classe di sostanze chimiche che stanno sostituendo i cloro-fluoro-carburi (CFC), responsabili della distruzione dell’ozono stratosferico, ma che si sono rivelate a loro volta responsabili del riscaldamento planetario.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Tutto è cominciato quando, nel 1928, il chimico Thomas Midgley (1889-1944) ha scoperto che certe molecole, nelle quali uno o due atomi di carbonio erano legati ad atomi di cloro e di fluoro, anziché ad atomi di idrogeno, come negli idrocarburi, avevano singolari proprietà tecniche. I CFC, non infiammabili, stabili chimicamente, privi di odore, si sono rivelati utilissimi come fluidi propellenti per i preparati commerciati in confezioni spray, le cosiddette “bombolette”, di deodoranti, di vernici e cosmetici, e come fluidi frigoriferi; anzi il loro uso ha determinato il successo dei frigoriferi domestici, tanto utili per conservare i cibi a lungo, e dei condizionatori d’aria che rendono meno afosa l’aria degli edifici e delle automobili. </div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Inoltre alcuni CFC sono risultati eccellenti per rigonfiare le materie plastiche e trasformarle nelle “resine espanse”, così importanti come isolanti termici per il trasporto dei cibi, come isolanti acustici e termici in edilizia, per produrre materassi, cuscini e poltrone per le case e le automobili. Un trionfo: peccato che, negli anni settanta del Novecento, alcuni studiosi si siano accorti che questi CFC, nel disperdersi nell’atmosfera raggiungono la stratosfera, lo strato di gas che si trova fra 10 e 30 chilometri di altezza, e qui decompongono l’ozono O<sub>3</sub>, l’altra forma del comune ossigeno O<sub>2</sub>. L’ozono stratosferico, pur presente in forma molto diluita, ha la proprietà di filtrare la radiazione ultravioletta biologicamente dannosa UV-B, proveniente dal Sole, impedendole di arrivare sulla superficie della Terra. Questa radiazione UV-B è responsabile di tumori della pelle e di malattie degli occhi negli umani, ma ha anche effetti nocivi su altri cicli biologici, tanto che alcuni pensano che la vita sia comparsa sui continenti e negli oceani, alcuni miliardi di anni fa, quando una parte dell’ossigeno della stratosfera ha cominciato a trasformarsi nel più benigno ozono.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Il chimico messicano Mario Molina e il chimico statunitense Sherwood Rowland (1927-2012) hanno ottenuto il premio Nobel per la scoperta del rapporto fra CFC e diminuzione della concentrazione dell’ozono stratosferico, una scoperta che ha indotto molti governi a vietare l’uso della maggior parte dei CFC con un accordo, il “protocollo di Montreal” del 1987. L’industria chimica si è subito impegnata a cercare dei surrogati, delle molecole nelle quali non fossero presenti atomi di cloro, ma solo atomi di idrogeno e di fluoro. Sono così nati gli idrocarburi fluorurati HFC, prodotti subito su vasta scala a partire dal 1990.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Da una trappola all’altra, però, perché gli HFC sono meno dannosi per lo strato di ozono, ma si comportano come “gas serra” contribuendo al riscaldamento globale e ai mutamenti climatici. Anzi contribuendo moltissimo perché un chilo di HFC trattiene l’energia solare nell’atmosfera come 1000 chili di anidride carbonica CO<sub>2</sub>, l’altro importante “gas serra”. Il “protocollo di Kyoto” del 1997, per il rallentamento dei mutamenti climatici, ha incluso gli HFC fra le sostanze il cui uso deve essere limitato. A questa nuova limitazione si sono opposti molti paesi, specialmente quelli in via di sviluppo o sottosviluppati che temevano l’aumento del prezzo dei frigoriferi e dei condizionatori d’aria se avessero dovuto essere impiegati altri fluidi frigoriferi meno dannosi per l’ambiente, ma più costosi. E’ così cominciata una lunga guerra fra interessi industriali, interessi nazionali, innovazioni chimiche. La Cina e l’India finora sono stati i paesi più contrari all’eliminazione degli HFC; da qui l’importanza del recente accordo fra Cina e Stati Uniti, ricordato all’inizio.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
I due presidenti Xi e Obama hanno spiegato che la graduale eliminazione, da qui al 2050, dell’uso anche degli HFC rallenterebbe i mutamenti climatici come se, nello stesso periodo, nell’atmosfera venissero immessi 80 miliardi di tonnellate di CO<sub>2</sub> di meno (attualmente ogni anno vengono immessi nell’atmosfera “gas serra” equivalenti a circa 30 miliardi di tonnellate di CO<sub>2 </sub>)<sub>. </sub>Un passo avanti, ma i problemi non sono finiti: nei frigoriferi e nelle resine espanse esistenti nel mondo e fabbricati negli ultimi decenni, ci sono ancora grandissime quantità, dell’ordine di milioni di tonnellate, sia dei cloro-fluoro-carburi CFC, vietati da tempo, sia degli idrocarburi fluorurati HFC in crescente uso; questi gas continuano a liberarsi quando i frigoriferi e i condizionatori d’aria sono smantellati e quando le resine espanse finiscono nelle discariche o negli inceneritori.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Da una parte occorre perciò sviluppare nuovi processi di smaltimento di tutti i prodotti che contengono questi gas nocivi; dall’altra parte occorre inventare nuovi agenti che svolgano le stesse funzioni dei gas vietati. Come si vede, nella corsa per evitare le violenze all’ambiente non c’è riposo, specialmente per i chimici e per una buona chimica.</div>
<div class="MsoFooter" style="margin: 0cm 0cm 0pt; tab-stops: 35.4pt;">
<br /></div>
<div class="MsoFooter" style="margin: 0cm 0cm 0pt; tab-stops: 35.4pt;">
<br /></div>
giorgio nebbiahttp://www.blogger.com/profile/12979392991314267930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2346082185157007677.post-81008151242032982042013-05-14T00:01:00.003-07:002013-08-16T03:05:40.018-07:00SM 3552 -- Bussi -- 2013<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<i><u>La Gazzetta del Mezzogiorno</u></i>, martedì 14 maggio 2013</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: center;">
Giorgio Nebbia <a href="mailto:nebbia@quipo.it">nebbia@quipo.it</a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Nel quasi totale disinteresse generale, nei giorni scorsi si è svolto a Santa Maria Capua Vetere (Caserta) un convegno organizzato dall’Osservatorio per le Politiche Ambientali della IIa Università di Napoli sulla ricerca delle fonti, cioè di archivi e documentazioni, per la storia dell’ambiente. Gli studiosi presenti (storici, ma anche chimici) hanno concluso con un appello rivolto alle istituzioni, alle imprese e soprattutto ai privati, a coloro che sono stati attivi nella denuncia e contestazione delle violenze ambientali, perché contribuiscano a salvare le testimonianze di tali eventi. Le persone che sono state attive nei movimenti ecologici e ambientalisti degli anni sessanta e settanta del Novecento sono ormai molto vecchie o sono morte.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br />
<a name='more'></a><br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Alcune fondazioni private, come la Fondazione Micheletti di Brescia, il Centro per l’ambiente e l’archivio Cederna a Roma, già da anni stanno raccogliendo libri e documenti e archivi prima che vengano dispersi o distrutti; gli archivi degli inquinatori o non esistono o sono difficilmente accessibili. Dovrebbero essere lo Stato o gli enti pubblici a raccogliere la documentazione sugli inquinamenti e sulle discariche di sostanze tossiche, tanto più che tali documenti sarebbero di grande utilità sia per le operazioni di difesa dell’ambiente e di bonifica dei siti inquinati, sia per le iniziative della magistratura alla ricerca delle responsabilità. I “casi” da considerare sono numerosi e coprono quasi tutti gli episodi della storia industriale italiana; da quelli celebri come Seveso o Marghera o Manfredonia o Taranto, a molti eventi minori ma altrettanto dannosi per l’ambiente.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Un esempio è offerto dai processi in corso contro i responsabili di una discarica di rifiuti </div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
tossici industriali a Bussi, un piccolo centro abruzzese sul fiume Tirino, un affluente del fiume Pescara. Nelle strette valli del bacino idrografico Aterno-Pescara, che raccoglie le acque dei vicini massicci montuosi e le porta fino al mare, vicino la città di Pescara, sono sorte varie centrali idroelettriche la cui energia (era chiamata il ”carbone bianco” nazionale, in un paese privo di carbone) ha attratto, all’inizio del Novecento, le prime industrie chimiche italiane. Sono così sorti, quasi contemporaneamente, in provincia di Pescara, i poli industriali di Bussi sul Tirino e, a una diecina di chilometri più a valle, di Piano d’Orta, alla confluenza del torrente Orta col Pescara. Per inciso qui ha funzionato, dal 1870 al 1890, una piccola raffineria di petrolio estratto dai giacimenti locali.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
A Piano d’Orta (da non confondere con il Lago d’Orta, in Piemonte, sulle cui rive sorse una fabbrica della fibra artificiale “bemberg”, che ha inquinato il piccolo lago con scarichi di rame e ammoniaca) nel 1901 fu installata una fabbrica di acido solforico partendo dalla pirite della Maremma, e di concimi fosfatici; qui fu installata la prima fabbrica italiana, la seconda nel mondo, del concime azotato calciocianammide. Seguirono molte altre produzioni chimiche, anche di interesse militare, tanto che Piano d’Orta subì 36 bombardamenti durante la seconda guerra mondiale. Gli impianti furono portati via dai tedeschi nel 1944, la fabbrica fu poi ricostruita ma fu chiusa nel 1965 e ora posta sotto sequestro.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Di questa lunga storia di lavoro a Piano d’Orta resta la testimonianza nel nome della Piazza Azoto, credo l’unica al mondo intestata ad un elemento chimico, e nel nome del locale “Teatro Pirite”. Ci furono anche inquinamenti e nel 1909 un agricoltore fece causa alla società chimica perché la sue viti erano danneggiate dai fumi contenenti acido fluoridrico. Una diecina di chilometri più a monte, a Bussi, nei primissimi anni del Novecento, attratte anche qui dalle centrali idroelettriche, furono installate fabbriche elettrochimiche che produssero idrato di sodio e cloro, poi prodotti clorurati come gas asfissianti durante la prima e seconda guerra mondiale, poi concimi artificiali azotati.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Dopo la seconda guerra mondiale a Bussi sono stati prodotti diecine di prodotti chimici, per lo più derivati del cloro e metalli tossici, per milioni di tonnellate. E, purtroppo, molte scorie e residui tossici sono stati smaltiti in due discariche di centinaia di migliaia di metri cubi. La scoperta di queste discariche avvenne nel 2007 ad opera del Corpo Forestale dello Stato e ne sono seguiti denunce e processi e impegni per la bonifica, finora senza esito. Le sostanze tossiche colate da queste discariche hanno inquinato le acque del Pescara e delle falde idriche sotterranee che alimentano gli acquedotti di Chiesti e Pescara e di molti altri paesi; alcuni inquinanti sono prodotti cancerogeni presenti in quantità superiori ai limiti massimi ammessi dalle leggi.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Il “caso Bussi” è stato denunciato anche in importanti trasmissioni televisive nazionali, come quelle di Michele Santoro nel maggio 2008 e di Milena Gabbanelli nel dicembre 2012. Per ora la più grande delle discariche è stata coperta con dei teli, ma i veleni continuano a fuoriuscire e a correre a valle. Per migliori informazioni, anche ai fini delle bonifiche, occorrerebbe conoscere quali prodotti sono stati fabbricati a Bussi e Piano d’Orta del corso di un secolo, quali materie sono state trattate. Studiosi locali hanno raccolto e rese pubbliche molte notizie, ma questa pagina poco nota della storia industriale e ambientale italiana meriterebbe ben maggiore attenzione. Di qui l’importanza del lavoro degli storici, a cui si faceva cenno all’inizio.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
giorgio nebbiahttp://www.blogger.com/profile/12979392991314267930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2346082185157007677.post-16555685670295693702013-04-28T11:37:00.005-07:002013-04-28T11:37:40.499-07:00SM 3548 -- Il giallo del DNA<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<em><u>La Gazzetta del Mezzogiorno</u></em>, domenica 28 aprile 2013</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: center;">
Giorgio Nebbia <a href="mailto:nebbia@quipo.it">nebbia@quipo.it</a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoFooter" style="margin: 0cm 0cm 0pt; tab-stops: 35.4pt;">
Il DNA, acido desosssi-ribonucleico, è una strana molecola formata dalla combinazione di </div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
quattro molecole azotate, dette “basi”, con uno zucchero a cinque atomi di carbonio, il ribosio e con molecole di acido fosforico. Immaginate (i colleghi chimici mi perdonino la grossolanità della descrizione) una lunghissima catena costituita da una successione di molecole di uno zucchero con cinque atomi di carbonio, il ribosio, dotato di tre “ganci” a cui possono attaccarsi, altre molecole. A uno dei ganci si unisce una molecola di acido fosforico attaccata ad un'altra molecola di ribosio, al secondo si aggancia un’altra molecola di acido fosforico a sua volta attaccata a un’altra molecola di ribosio e al terzo gancio è attaccata una delle “basi” che, in un certo senso, penzola fuori dalla catena di molecole di ribosio e acido fosforico.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<a name='more'></a><div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
La natura di questa complicata molecola fu chiarita negli anni venti e trenta del Novecento da vari studiosi, che identificarono le quattro “basi” nelle molecole di adenina (A), timina (T), guanina (G) e citosina (C), solo queste quattro in qualsiasi molecola di DNA estratto dalle cellule di qualsiasi vegetale o animale. Era chiaro che il DNA doveva avere un ruolo importante nei fenomeni vitali ma restava misterioso il modo in cui questa complessa struttura poteva stare insieme. Il chimico americano Linus Pauling studiava da tempo le proteine e aveva suggerito che i vari amminoacidi che le compongono si disponessero in una struttura a spirale, “a elica”, e suggerì che anche le molecola dei vari DNA potessero avere una disposizione “a elica”. Era l’inizio di un’avventura scientifica e anche di un giallo colorato di politica, di gelosie accademiche e di ingiustizie..</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Il 25 aprile 1953, sessant’anni fa, appariva nella rivista scientifica inglese “Nature” un articolo di appena due colonne in cui veniva annunciata la scoperta che le molecole del DNA (acido desossiribo-nucleico), una lunga catena di milioni di atomi attorcigliati a spirale, si dispongono nello spazio in coppia, in forma di “doppia elica”, in cui ciascuna delle molecole azotate, le “basi”, di ciascuna spirale si lega con un’altra base dell’altra spirale. “Doppia elica”, queste due parole sarebbero diventate poi popolarissime perché assicurarono agli scopritori, James Watson e Francis Crick (1916-2004), biologi dell’Università inglese di Cambridge, il premio Nobel e perché furono il titolo di un fortunato libro di Watson, anche se entrarono in un piccolo “giallo” accademico-politico-scientifico.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
A dire la verità già l’anno prima l’americano Linus Pauling (1901-1994) aveva suggerito che le molecole del DNA potessero essere disposte ad elica, anzi che le eliche potessero essere due affiancate, e qualche cosa di simile era emerso dall’esame, con la diffrazione dei raggi X, di una molecola di DNA condotta nel 1951 (le date sono importanti in questo “giallo”) da Rosalind Franklin (1920-1958), una studiosa del King’s College di Londra. La Franklin ne parlò nel novembre 1951 nel corso di una conferenza a cui era presente Watson, un ventitreenne zoologo dell’Università inglese di Cambridge, che ne discusse con il collega Francis Crick, il quale pure si interessava di DNA. Nel maggio 1952 Pauling aveva progettato un viaggio in Inghilterra dove avrebbe potuto incontrare la Franklin, vedere le famose fotografie del DNA ai raggi X e riconoscere per primo l’esistenza della “doppia elica” del DNA.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
E qui nel giallo interviene la politica: Pauling era, oltre che un chimico famoso, anche un attivista della lotta contro le armi atomiche e per i diritti civili; indagato dalla Commissione governativa sulle attività antiamericane era classificato “un comunista” e gli fu perciò negato il visto per l’Inghilterra. Questa stupidità fece perdere agli Stati Uniti e alla scienza mondiale l’occasione di anticipare di un anno la scoperta della vera struttura della molecola della vita. Nel gennaio 1953 Pauling incaricò il figlio, che studiava a Cambridge, di far leggere alla Franklin una bozza della sua idea dell’esistenza della doppia elica. Qui nel giallo si inseriscono problemi di caratteri: la Franklin respinse l’idea di Pauling e continuò le sue analisi del DNA ai raggi X. Da una delle sue nuove fotografie appariva chiara la natura di ”doppia elica” del DNA.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Maurice Wilkins (1916-2004) del King’s College, un collega della Franklin con cui peraltro era in pessimi rapporti, consegnò, a insaputa dell’interessata, la famosa fotografia al collega di Cambridge Watson, che la esaminò con Crick.. Il 17 marzo 1953 la Franklin aveva preparato la bozza di un articolo in cui era descritto il carattere di “doppia elica” del DNA, ma, in questa aperta concorrenza fra gli studiosi delle due Università britanniche, Watson e Crick furono “più svelti” e il 2 aprile inviarono alla rivista “Nature” un articolo dello stesso contenuto, quello che apparve nello storico fascicolo datato 25 aprile 1953. In maniera poco generosa verso gli altri studiosi, se la cavarono con una breve frase: “Siamo stati stimolati dalla conoscenza di carattere generale di un articolo inedito con i risultati sperimentali e le idee dei dottori Wilkins, Franklin e collaboratori del King’s College di Londra”.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
L’articolo della Franklin, col nome del suo studente Gosling, apparve successivamente. Per la scoperta della “doppia elica”, Watson, Crick e Wilkins ricevettero il premio Nobel per la medicina nel 1962. Nella conferenza di accettazione del premio Nobel, Watson e Crick non citarono il lavoro della Franklin e solo Wilkins ne fece un cenno. In questo giallo la pagina finale riguarda la povera Franklin: un po’ perché era ebrea e un po’ perché era una donna, il suo contributo fondamentale alla scoperta della doppia elica è stato messo in ombra ed è stata esclusa dal premio Nobel che avrebbe meritato al pari, e anche più degli altri tre “eroi” di questa storia. La Franklin morì nel 1958, per un tumore forse dovuto all’eccessiva esposizione ai raggi X per tanti anni, durante il suo lavoro di cristallografia.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Voi direte: come si fa a conoscere questi particolari, pettegolezzi e retroscena, pur così importanti trattandosi di una delle più grandi scoperte del secolo scorso ? Fortunatamente Pauling ha conservato tutte le proprie lettere, i manoscritti, gli appunti e li ha donati alla Università dell’Oregon, lo stato americano in cui era nato. E l’Università ha trascritto in forma telematica e reso accessibile a chiunque, in Internet, il gigantesco archivio di Pauling. Un esempio dell’importanza di conservare, catalogare e rendere pubblici i documenti di studiosi, tanto da indurre a pensare quanto sarebbero opportune simili iniziative anche in Italia. Altre notizie sono poi disponibili sulla base dei documenti dei premi Nobel assegnati a Watson, Crick e Wilkins, in rete anche questi grazie alla Fondazione Nobel, e si trovano poi nelle varie biografie dei protagonisti. Che vanno lette con cautela perché la, pur umanissima, debolezza di amplificare il proprio merito anche a scapito di quelli di altri, ha talvolta distorto il racconto dei fatti.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Mi perdonerete se vi ho annoiato con tanti dettagli e tanta chimica, ma le scoperte delle proprietà del DNA hanno davvero avuto una importanza rivoluzionaria. Il DNA contribuisce alla formazione delle proteine fornendo altre molecole “capaci”, con un sorprendente meccanismo, di mettere in un ordine sempre uguale, tutti in fila, per ciascuna cellula di ciascun organismo vivente, e tutti in un ordine diverso da un organismo all’altro, gli amminoacidi che costituiscono le proteine, da quelle del sangue a quelle del glutine della farina a quelle delle ali delle farfalle. Infine ogni essere vivente ha una sua unica molecola.del DNA, così specifica che attraverso l’analisi di come sono disposte le varie “basi”, le quattro molecole azotate legate ad uno zucchero fosforilato, presenti nelle cellule, è possibile riconoscere a chi appartiene anche un pur piccolo frammento di pelle o di saliva, come sanno gli appassionati dei grandi crimini o delle indagini poliziesche. </div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
giorgio nebbiahttp://www.blogger.com/profile/12979392991314267930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2346082185157007677.post-31005894722906240862013-03-20T02:57:00.000-07:002013-03-20T02:57:07.898-07:00Louis Maillard (1878-1936)<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<a href="http://ilblogdellasci.wordpress.com/2013/03/20/chi-gli-ha-dato-il-nome-maillard/">http://ilblogdellasci.wordpress.com/2013/03/20/chi-gli-ha-dato-il-nome-maillard/</a> 20 marzo 2013</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: center;">
Giorgio Nebbia <a href="mailto:nebbia@quipo.it">nebbia@quipo.it</a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
“Me la dia ben cotta”: la pagnotta, o la pizza. “Me la cuocia bene”: la bistecca. Ma stia attento a non scaldare troppo, altrimenti escono quei fumi acri e irritanti, proprio come quelli del latte “bruciato”, quando esce dalla pentola sul fuoco. E poi guardate quella bella signora che si sta spalmando la crema abbronzante sulla pelle. Che cosa hanno in comune il cuoco del ristorante, il pizzaiolo, la massaia distratta e la signora ? Stanno conducendo, senza saperlo, un importante esperimento chimico, quello della reazione di Maillard, la più diffusa e antica della terra, da quando i nostri progenitori, millenni fa, hanno scoperto che la carne scaldata sul fuoco non solo poteva essere conservata più a lungo, ma diventava più appetibile e buona.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Louis Maillard era nato nel 1878 a Pont a Mousson, nella parte francese della Lorena (l’altra parte era stata annessa alla Germania dopo la guerra franco-prussiana del 1870-71). Maillard mostrò fin da giovane interesse per le scienze naturali, per la botanica e la geologia. Nel 1900 fu chiamato a tenere dei corsi di fisica e chimica all’Università di Nancy. Nel 1902 si trasferì all’Univetsità di Parigi come docente e come ricercatore, impegnato specialmente alla fisiologia. Nel <i><u>Journal de Physiologie</u></i> del 1912 apparve il lavoro che lo rese celebre: “Reazioni generali degli amminoacidi con gli zuccheri”.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<a name='more'></a><div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Gli anni successivi Maillard, che apparteneva alla buona borghesia francese, ebbe numerosi riconoscimenti accademici e scientifici. Nonostante i difetti alla vista servì, durante la prima guerra mondiale, come capo dei servizi medici e tossicologici dell’esercito francese. Maillard passò gli ultimi anni della sua vita in Algeria e morì a Parigi nel 1936. Benché gli interessi di Maillard si siano estesi in vari altri campi, è alla “sua” reazione che deve la fama, crescente col passare degli anni a mano a mano che veniva riconosciuto che tale reazione si manifesta in molti fenomeni naturali e commerciali. Esiste una associazione degli amici e estimatori di Maillard, la International Maillard Reaction Sociery, <a href="http://www.imars.org/online">www.imars.org/online</a> che organizza ogni anno delle affollate conferenze.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none;">
E’ stato infatti questo chimico francese a scoprire il meccanismo Louis Maillard scoprì la “sua” reazione nel 1912, scaldando a bagno maria, alla temperatura di ebollizione dell’acqua, una miscela di una parte di glicocolla, il più semplice dei circa 20 amminoacidi presenti nelle proteine, con quattro parti di glucosio, il più semplice degli zuccheri. Maillard osservò che si formava un liquido che diventava giallo e poi assumeva un colore bruno con liberazione di un gas che identificò come anidride carbonica. Si mise allora di buona lena a combinare un gran numero di amminoacidi con molti zuccheri, scaldando le miscele a temperature fino a 150 gradi, variando l’acidità e la quantità di acqua presente e notò che si formano centinaia di composti. Maillard ne identificò vari nel mais abbrustolito, nelle bistecche, nella crosta del pane, nel caffè e nell’orzo tostato e quindi nella birra scura. Il profumo e il sapore, ma anche i fumi sgradevoli derivano dalla reazione fra un gruppo chetonico adiacenmte a un gruppo alcolico: R<sub>1</sub>–CO–CHOH–R<sub>2</sub> con un gruppo amminico H<sub>2</sub>N–R<sub>3</sub>. </div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Secondo una grossolana schematizzazione, si forma dapprima una base di Schiff</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none;">
R<sub>1</sub>–C=N(R<sub>3</sub>)–CHOH–R<sub>2</sub><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che, per la trasposizione di Amadori, si isomerizza in </div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none;">
R<sub>1</sub>–C(NH-R<sub>3</sub>)=C(OH)–R<sub>2</sub>.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Ecco quindi entrati nella reazione di Maillardi altri due chimici, questa volta italiani, Ugo Schiff (1834-1915), per molti anni professore nell’Università di Firenze, uno dei fondatori della Gazzetta Chimica Italiana, e Mario Amadori (1886-1941), professore di chimica farmaceutica nell’Univesità di Modena. Le loro biografie si trovano nel sito curato dal prof. Gianfranco Scorrano che contiene preziose notizie di un gran numero di chimici italiani: <a href="http://www.chimica.unipd.it/gianfranco.scorrano/pubblica/la_chimica_italiana.pdf">http://www.chimica.unipd.it/gianfranco.scorrano/pubblica/la_chimica_italiana.pdf</a>. </div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
La reazione di Maillard ha carattere più generale di quanto si pensi; praticamente in tutti gli alimenti esistono carboidrati e proteine che, in seguito a riscaldamento, danno luogo alla formazione di numerosissimi composti a seconda della temperatura, del contenuto in acqua, del pH, della durata della reazione. Alcuni dei prodotti della reazione di Maillard sono utili nella chimica bromatologica e merceologica per svelare le modificazioni degli alimenti, Ad esempio la presenza di elevate concentrazioni di idrossimetilfurfurolo HMF nel miele svela che è stato riscaldato e la concentrazione della sostanza nel miele commerciale non deve superare 40 mg/kg. L’aroma del celebrato “aceto balsamico” deriva anche lui da una reazione di Maillard.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none;">
Altri, come l’acrilammide H<sub>2</sub>N–CO–CH=CH<sub>2</sub>, sono tossici e cancerogeni e sono responsabili di malattie professionali fra gli addetti alle cucine e ai forni da pane che dovrebbero essere dotati di efficienti impianti di ventilazione e filtrazione, anche per non disturbare i vicini.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none;">
Quanto poi alla signora, il colore scuro si forma dalla reazione di Maillard fra l’agente autoabbronzante, uno dei più diffusi è il diidrossiacetone HO–CH<sub>2</sub>–CO–CH<sub>2</sub>OH, con i gruppi amminici della cheratina della pelle.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Sono debitore di molte notizie al prof. Gorge Kauffman, il noto storico americano della chimica che insegna all’Università dello stato della California, a Fresno, autore fra l’altro di un recente articolo sul centenario, l’anno scorso, della scoperta della reazione di Maillard: <span style="mso-bidi-font-size: 10.0pt;">George B. Kauffman and Jean-Pierre Adloff, “The centenary of the Maillard reaction”, <i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u>The Chemical Educator</u></i>, <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">18</b>, 9-17 (January 25, 2013);<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
giorgio nebbiahttp://www.blogger.com/profile/12979392991314267930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2346082185157007677.post-5595583354948271682013-02-25T01:50:00.002-08:002013-07-31T03:20:20.383-07:00SM 3237 -- Sono orgoglioso di essere un chimico -- 2011<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="mso-fareast-font-family: 'MS Mincho';"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<div style="text-align: center;">
<i><u>Anno Internazionale della Chimica 2011</u></i></div>
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: center;">
<span style="mso-fareast-font-family: 'MS Mincho';">Giorgio Nebbia <a href="mailto:nebbia@quipo.it">nebbia@quipo.it</a><o:p></o:p></span></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="mso-fareast-font-family: 'MS Mincho';"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="mso-fareast-font-family: 'MS Mincho';">Nel parlare comune troppo spesso "chimica" è parolaccia e viene associata a cose sgradevoli: l'inquinamento chimico, gli additivi chimici, la diossina di Seveso, eccetera. Quasi contrapposta a qualcosa di virtuoso che sarebbe "naturale", come gli alimenti naturali (o "biologici"), l'acqua in bottiglia naturale, eccetera.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="mso-fareast-font-family: 'MS Mincho';">L'equivoco e la confusione nascono, a mio modesto parere, da vari fattori. Il primo ha le sue radici nella scuola dove la chimica come disciplina è relegata ad un ruolo secondario ed è spesso insegnata male, senza amore, come dimostra il ricordo angoscioso --- il ricordo delle "formule", spesso incomprensibili --- rimasto a coloro che hanno dovuto subirla per un anno in qualche scuola superiore. Capita così di leggere articoli, scritti da giornalisti certamente </span><span style="mso-fareast-font-family: 'MS Mincho';">bravissimi, che il loro direttore licenzierebbe se non sapessero scrivere correttamente il nome di Freud o di Heidegger, i quali con assoluta sicumera parlano di celle fotovoltaiche al silicone (o di seni artificiali al silicio); o che parlano di una imposta sul carbone quando invece tale imposta è proporzionale al contenuto di carbonio presente nei vari combustibili fossili: petrolio, gas naturale e anche carbone, naturalmente: eccetera.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br />
<a name='more'></a><br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="mso-fareast-font-family: 'MS Mincho';">La seconda fonte di ignoranza chimica va cercata nell'Università dove esistono migliaia di bravissimi professori delle varie branche della chimica, che raramente sono capaci, o hanno voglia, di parlare della chimica alle persone comuni. I più abili comunicatori non vanno al di la di una melensa difesa di ufficio dell'industria: della chimica non si deve parlare male --- essi dicono --- perché tutti noi siamo fatti di sostanze chimiche, dai capelli, al sangue, alla carne (il che e' rigorosamente vero); perché tutti gli oggetti che ci circondano --- il cibo, il cemento, il vetro, gli indumenti --- contengono atomi e molecole chimiche (il che e' vero); perché "alla chimica" si devono medicine e disinfettanti e cosmetici e materie plastiche e transistor e vernici. Ciò che non esclude che molte sostanze in commercio siano state o siano dannose alla salute, siano state o siano fabbricate con processi che inquinano l'atmosfera, </span><span style="mso-fareast-font-family: 'MS Mincho';">le acque e i polmoni dei lavoratori, che lasciano sul terreno residui tossici per decenni.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="mso-fareast-font-family: 'MS Mincho';">La terza fonte di equivoco è rappresentata dalla limitata capacità del mondo imprenditoriale, nel settore della chimica, di parlare con il pubblico, al di fuori di campagne pubblicitarie poco convincenti. I cittadini sentono parlare di fusioni e di divisioni di grandi gruppi chimici (si pensi alle avventure dei gruppi finanziari di Rovelli e di Ursini che hanno costruito con pubblico denaro, nel Mezzogiorno, grandi stabilimenti chimici che non hanno prodotto un </span><span style="mso-fareast-font-family: 'MS Mincho';">solo chilo di merce; si pensi alla commedia, tanti anni fa, della fusione Montedison-Enichem e poi del divorzio, dopo pochi mesi); di privatizzazione delle società chimiche dello stato e di vendita di imprese e marchi che sono state in passato segni di innovazione, di orgoglio, di lavoro, eccetera<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="mso-fareast-font-family: 'MS Mincho';">Come possono i cittadini giudicare che cosa è utile al loro benessere e alla loro salute se nessuno --- governi e industrie e professori universitari --- è capace, o vuole, spiegare che cosa le fabbriche producono, dove, con quali materie, con quali processi, con quali effetti inquinanti ?<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="mso-fareast-font-family: 'MS Mincho';">Merci fondamentali per la vita quotidiana --- l'acido solforico, l'ammoniaca, i concimi, il caprolattame, il fenolo, il carbonato sodico, il cloro, il butadiene eccetera --- circolano intorno a noi, nei camion e nei carri cisterna, sulle strade e le ferrovie, senza che nessuno sappia che cosa sono queste materie, come sono fatte, senza poterle neanche riconoscere. In questo silenzio non c'è da meravigliarsi se, quando un camion è coinvolto in un incidente e sversa </span><span style="mso-fareast-font-family: 'MS Mincho';">nell'aria o sul suolo il suo contenuto, quando avviene un incidente come quello di Seveso o quello di Bhopal, le persone comuni attribuiscano alla "chimica" gli effetti perversi, lo spavento, le morti, le sofferenze.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="mso-fareast-font-family: 'MS Mincho';">La salvezza, la salute dei cittadini, la sicurezza dei lavoratori, dipendono da una rivoluzione culturale che consenta ai cittadini di appropriarsi della conoscenza sugli oggetti --- che sono "chimici", anzi sono "tutto chimici" --- che sono intorno a noi, ma che restano muti o che nessuno vuole far parlare. In tale rivoluzione culturale un ruolo fondamentale ha la scuola e hanno i chimici --- sono laureato anch'io in chimica e ne sono orgoglioso e ho la presunzione di riuscire a capire alcune cose <i>proprio</i> perché sono un chimico --- che forse possono ricuperare un orgoglio "di classe" e la voglia di spiegare anche il contenuto storico, sociale, e non solo formale o strutturale, della chimica.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="mso-fareast-font-family: 'MS Mincho';">Un ruolo importante potrebbe avere l'editoria. Ci sono in commercio, a parte i libri "di testo" spesso tutt'altro che entusiasmanti, pochi libri italiani di chimica "popolare". Eppure i grandi chimici del passato si sono fatti un punto di onore di spiegare i risultati dei loro studi in forma accessibile al pubblico. Vorrei ricordare, a solo titolo di esempio, le "Lettere sulla chimica" del grande Justus von Liebig (si, proprio l'inventore dell'estratto di carne, oltre che lo scopritore delle leggi della nutrizione dei vegetali che hanno aperto le porte all'industria dei concimi e all'aumento della produttività agricola), pubblicate a puntate e tradotte in tutte le lingue e con un titolo classicheggiante ricalcato sulle "Epistulae ad familiares" di Cicerone.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="mso-fareast-font-family: 'MS Mincho';">Avremo un giorno una riforma in cui la chimica sarà riconosciuta come disciplina anche "umanistica" ? Forse, se ciò avvenisse, tanti problemi di inquinamento, di incidenti, di frodi, si farebbero più rari e "chimica" smetterebbe di essere (per tanta gente) una parolaccia. <o:p></o:p></span></div>
giorgio nebbiahttp://www.blogger.com/profile/12979392991314267930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2346082185157007677.post-83988071646809223452013-02-10T01:55:00.002-08:002013-02-10T02:07:05.284-08:00Courtois e la scoperta dello iodio<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: center;">
Giorgio Nebbia <a href="mailto:nebbia@quipo.it">nebbia@quipo.it</a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Quando ero ragazzo una ferita veniva disinfettata con spennellature di tintura di iodio, un liquido di colore rosso che imparai a conoscere meglio quando studiai chimica. Lo iodio, con peso atomico 127, uno degli alogeni che si combinano volentieri con i metalli alcalini, dalla parte opposta della tabella di Mendeleev, è stato scoperto per caso da Bernard Courtois (1777-1838) nel 1811.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<a name='more'></a><br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Courtois era figlio di un fabbricante di salnitro, l’importante ingrediente della polvere da sparo, molto richiesta nel secolo delle grandi guerre e rivoluzioni, e il figlio Bernard, dopo aver studiato chimica, si mise al lavoro nell’impresa del padre. Esisteva in quel tempo una richiesta di carbonato di sodio necessario per la sbianca dei tessuti; la materia prima era costituita dalle ceneri delle alghe che si depositavano sulle rive del mare in Normandia. Dopo il lavaggio delle ceneri con acqua per estrarre il carbonato di sodio, restavano dei residui da smaltire. Il giovane Courtois, nel trattare tali rifiuti con acido solforico, osservò che si sollevava una nuvola di vapori violetti che, a contatto con una lastra fredda, lasciavano depositare bei cristallini di colore scuro di aspetto quasi metallico. A Courtois sembrava impossibile di aver scoperto un nuovo elemento ed era troppo povero per poter condurre in proprio altri esperimenti; chiese così l’aiuto di Charles Bernard Desormes (1777–1862), suo futuro cognato, che, in collaborazione con Nicolas Clément (1779–1841), condusse altre ricerche e poté annunciare la scoperta dello iodio alla comunità scientifica.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Courtois si dedicò per qualche tempo alla fabbricazione di derivati dello iodio di cui, nel frattempo, erano state scoperte le proprietà disinfettanti tanto che l’Accadenia Reale di Parigi gli assegnò un premio per il contributo al miglioramento della salute. Courtois morì in miseria in un ospizio nel 1838. Le ricerche chimiche intanto avevano mostrato che lo iodio aveva proprietà simili a quelle del cloro; nel 1814 Joseph Louis Gay-Lussac (1778–1850) descrisse tali proprietà e chiamò il nuovo elemento iodio, dal nome greco del colore violetto dei suoi vapori. Un campione del nuovo elemento arrivò anche a all’altro grande chimico Humphry Davy (1778-1829) che, alla Royal Society di Londra, ne rivendicò la scoperta. Ne seguì una lunga lite fra il francese Gay-Lussac e l’inglese Davy sulla priorità di tale scoperta, anche se tutti e due riconobbero che il povero Courtois era stato il primo a isolarlo.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Bel presto le proprietà disinfettanti dello iodio ne fecero un prodotto di grande importanza commerciale. Lo iodio è poco solubile in acqua, è solubile nelle soluzioni di iodio e ioduro di potassio, è solubile in molti solventi organici, ciascuno dei quali fornisce soluzioni di colore diverso. L’acqua di mare contiene circa 50 mg di iodio per metro cubo; varie alghe marine concentrano lo iodio nel proprio organismo e si prestano come materie prime per l’estrazione dell’elemento, proprio come aveva fatto Courtois.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Lo iodio ha vari isotopi. Il più importante è quello di peso atomico 127; lo iodio-131 si forma come prodotto di fissione dell’uranio; ha tempo di dimezzamento di otto giorni; l’isotopo trova impiego per il trattamento del tumore alla tiroide. La produzione mondiale di iodio si aggira sulle 29.000 tonnellate all’anno; la maggior produzione (circa 18.000 t/anno) è quella cilena che lo estrae dai sottoprodotti della lavorazione dei nitrati; segue il Giappone con circa 10.000 t/anno. Lo iodio trova impiego come integratore per alimenti animali, nella produzione degli schermi a cristalli liquidi, come mezzo di contrasto per raggi X. Il principale derivato commerciale dello iodio è lo ioduro di potassio.<br />
<br />
Per notizie e curiosità su altri elementi si veda: <a href="http://www.musilbrescia.it/minisiti/la_chimica_in_italia/">http://www.musilbrescia.it/minisiti/la_chimica_in_italia/</a></div>
giorgio nebbiahttp://www.blogger.com/profile/12979392991314267930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2346082185157007677.post-64977751865584692532013-01-29T00:35:00.001-08:002013-07-31T03:22:00.092-07:00SM 3522 -- La lunga linea bianca -- 2013<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: center;">
Giorgio Nebbia <a href="mailto:nebbia@quipo.it">nebbia@quipo.it</a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Ricordate il film di John Ford del 1955 “The long gray line”, tradotto in italiano come “La lunga linea grigia” ? La lunga fila grigia era quella degli allievi dell’accademia militare americana di West Point e a me è sempre venuto in mente di far parte anch’io di una “lunga fila bianca” di chimici in camice bianco, quelli che mi hanno preceduto, persone che in parte ho conosciuto, di cui ho sentito parlare, i cui nomi ho trovato associati a qualche reazione o apparecchiatura o libro. Credo che quella del chimico sia una delle poche professione in cui “l’arte” viene trasferito attraverso i decenni mediante l’insegnamento diretto o quello indiretto offerto dai libri e dalle riviste.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<a name='more'></a><div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Qualsiasi chimica o chimico, laureato o diplomato, che lavori nelle Università o insegni nelle scuole, o si occupi di analisi del latte o del petrolio, o operi nei laboratorio dei servizi di igiene, o negli zuccherifici o nelle fabbriche, dovunque sia, si porta dietro l’eredità di migliaia di altri camici bianchi che si sono comportati come lui.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Chi vuole sapere qualcosa dei suoi antenati chimici italiani ha ora l’occasione di soddisfare la sua curiosità grazie al lavoro fatto dal prof. Gianfranco Scorrano dell’Università di Padova che ha messo in rete le biografie, in gran parte tratte dai necrologi, di oltre seicento chimici italiani, come apparvero nelle riviste chimiche del passato: <a href="http://www.chimica.unipd.it/gianfranco.scorrano/pubblica/la_chimica_italiana.pdf">http://www.chimica.unipd.it/gianfranco.scorrano/pubblica/la_chimica_italiana.pdf</a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Molti sono i necrologi tratti dal “Giornale di Chimica Industriale ed Applicata”, pubblicato a partire dal 1919 e poi divenuto, dal 1935, “La Chimica e l’Industria”, giornale ufficiale della Società Chimica Italiana. La lettura delle biografie dei chimici permette di dare uno sguardo ad un secolo e mezzo della stessa storia d’Italia, passata attraverso due guerre mondiali, il fascismo e la Resistenza, l’attuale età repubblicana. I nomi di molti chimici sono quelli di autori di testi su cui hanno studiato e si sono documentate intere generazioni, come “il Bruni”, “il Molinari”, “il Villavecchia”, il grande dizionario di Merceologia e di Chimica Applicata, le enciclopedie scritte da Michele Giua in parte durante la carcerazione imposta dal regime fascista all’autore, attivo nella Resistenza..</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Alcuni chimici erano Ebrei e sono stati allontanati dal loro insegnamento o dal lavoro in seguito alle infami leggi razziali del fascismo. Alcuni si sono adattati o hanno collaborato col fascismo. Alcuni chimici come Avogadro, Ciamician, Betti, Ginori Conti e altri, sono stati nominati senatori in tempi in cui era il re a nominare i componenti del Senato, persone che avrebbero portato in Parlamento le loro competenze scientifiche.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
In occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia qualcuno aveva proposto di ricostruire la presenza dei chimici in Parlamento, ma il progetto è abortito. A dire la verità dopo la Liberazione la presenza di chimici alla Camera o al Senato non è stata abbondante, benché le due Camere discutano continuamente norme in cui “la chimica” è sempre più presente, dalle leggi per la lotta all’inquinamento a quelle sulla qualità dei prodotti alimentari, cosmetici e industriali. E di chimica si parla sempre più spesso anche nei grandi mezzi di comunicazione, talvolta con asinate che vengono da chi pretende di parlare di chimica senza saperne niente. </div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
A chi vuole sapere di più sulla storia dei chimici raccomando anche la monumentale raccolta di scritti del prof. Luigi Cerruti dell’Università di Torino <a href="http://www.minerva.unito.it/Storia/Storia_Indice.htm">http://www.minerva.unito.it/Storia/Storia_Indice.htm</a> e le commemorazioni, apparse in molte riviste italiane dal 1895 al 1918, di 55 chimici italiani raccolte dalla prof. Nicoletta Nicolini dell’Università Roma La Sapienza in: <a href="http://w3.uniroma1.it/nicolini/0_elenco.html">http://w3.uniroma1.it/nicolini/0_elenco.html</a>.</div>
giorgio nebbiahttp://www.blogger.com/profile/12979392991314267930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2346082185157007677.post-11146549506086106922013-01-27T10:44:00.002-08:002013-01-27T10:44:32.520-08:00La chimica dello sterminio<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u><span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">La Gazzetta del Mezzogiorno</span></u></i><span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">, 2 febbraio 1993</span><span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"> <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none; text-align: center;">
<span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Giorgio Nebbia <u><span class="Hyperlink"><span style="color: blue;">nebbia@quipo.it</span></span><o:p></o:p></u></span></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none; text-align: center;">
<span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none; text-align: center;">
<span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
La ricomparsa in superficie di un movimento nazista, che manifesta oggi la sua ideologia di violenza in forma rumorosa e visibile, induce a chiedersi in che cosa esso possa attrarre soprattutto dei giovani. Chi incanta oggi i ragazzi con un sogno neo-"nazista", capace di spingerli all'assalto di ebrei, immigrati, persone di colore, presenta l'epoca hitleriana come il <span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">periodo del trionfo della tecnica e dell'ordine, della moneta stabile e di riforme sociali in cui anche i lavoratori "stavano bene", il periodo di un "socialismo" realizzato all'insegna di una "nazione" forte, efficiente, organizzata, bianca, ariana. In questo quadro riesce facile aizzare i naziskin contro le persone appartenenti ai gruppi che allora si opponevano od erano estranei al grande disegno di un "nuovo ordine": ebrei, comunisti, zingari, omosessuali, neri, testimoni di Geova, diversi.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">In realtà il nazionalsocialismo hitleriano era una forma di capitalismo nel quale gli imprenditori potevano permettersi di fare "star bene" i lavoratori, tedeschi e "ariani", "grazie" sia ai profitti assicurati dalle protezioni accordate dal governo ad una produzione, principalmente di carattere militare, ben remunerata, sia, negli anni quaranta, alla disponibilita' di mano d'opera schiava a prezzo zero, costituita dai "nemici": deportati, ebrei, prigionieri di guerra, abitanti dei territori occupati.<o:p></o:p></span></div>
<span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><a name='more'></a><div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
</span><div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">La "raffinata" macchina economica e militare nazista era basata sulla disponibilita' di grandi risorse naturali. Prima di tutto una terra estesa e fertile sfruttata da aristocratici e proprietari terrieri da cui provenivano anche i quadri della burocrazia statale e dell'esercito. La seconda importante fonte di ricchezza era rappresentata dalle risorse minerarie, soprattutto di carbone e minerali di ferro; una delle zone minerarie importanti, la Saar, era stata assegnata alla Francia con il trattato di pace dopo la I guerra mondiale (1914-1918), ma era tornata alla Germania nel 1935, poco dopo l'avvento di Hitler al potere (1933).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">La lunga tradizione della chimica industriale tedesca aveva dimostrato che il carbone non solo rappresentava una fonte di energia abbondante e sicura, ma poteva essere usato per la trasformazione dei minerali di ferro in acciaio, per la produzione di ammoniaca sintetica, coloranti, materie plastiche, gomma sintetica, perfino petrolio.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Quando Hitler salì al potere con l'obiettivo di disporre in breve tempo di acciaio, autoveicoli, carri armati, cannoni, armi, aerei, carburanti, per la conquista "del mondo", trovò una struttura industriale ferita dalla crisi, ma perfettamente in grado di fornire i macchinari e le merci richieste dal regime nazionalsocialista.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Il caso del cartello della chimica è significativo. L'industria chimica tedesca aveva già dato il suo contributo alla guerra mettendo a punto, nel 1910, un processo per la fabbricazione sintetica dell'acido nitrico (occorrente per gli esplosivi), che liberava la Germania dalla necessità di importare nitrati dal Cile.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Durante la I guerra mondiale l'industria chimica aveva fornito alla Germania esplosivi, gomma sintetica, carburanti, gas asfissianti, materiali; l'industria chimica era pronta, fra la prima e la seconda guerra mondiale, a servire il nuovo padrone, tanto più che Hitler prometteva agli industriali sovvenzioni e protezione e un mercato sicuro, rappresentato dal governo stesso.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Negli anni venti i tre grandi gruppi chimici tedeschi --- Bayer, Hoechst e BASF (Badische Anilin und Sodafabrik) --- decisero di unirsi in un grande cartello fondato il 25 dicembre 1925, chiamato "comunità di interessi" (Interessengemeinschaft, o, più brevemente, I.G. Farben o I.G.). Il primo presidente fu il chimico Karl Bosch, l'inventore, nel 1910, del processo di sintesi dell'ammoniaca e dell'acido nitrico. La I.G. aveva l'obiettivo di operare sui mercati internazionali come monopolio e di perfezionare nuovi processi per la fabbricazione di gomma sintetica, fibre sintetiche, materie plastiche, benzina dal carbone.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">La I.G. comprese il vantaggio (per se) della salita al potere di Hitler e contribuì con 400.000 marchi alle sovvenzioni, in tutto due milioni di marchi, date, il 20 febbraio 1933, dagli industriali tedeschi al partito nazista. Soldi ben investiti, che furono largamente ripagati; il </span><span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">capitale della I.G. passò da poco più di un milione di marchi, nel 1926, a 3100 milioni di marchi nel 1943. Per seguire bene i propri affari Krauch, uno dei consiglieri di amministrazione della I.G., entrò nella organizzazione del piano economico quadriennale diretta dal gerarca nazista Goering.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">I risultati si fecero ben presto sentire: con i soldi del governo nazista furono costruite fabbriche per la produzione di benzina sintetica per idrogenazione del carbone e di gomma sintetica col processo butadiene-sodio, la Buna. La localizzazione delle fabbriche di benzina sintetica e di gomma sintetica fu decisa vicino ai campi di prigionia e di concentramento sulla base di accordi, presi dai dirigenti della I.G. con le SS, che prevedevano l'utilizzazione, come </span><span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">lavoratori-schiavi, di ebrei e di altri deportati, almeno fino a quando erano in condizione di lavorare; dopo venivano eliminati.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Il più grande stabilimento di gomma sintetica fu insediato a Monowitz, accanto al campo di concentramento di Auschwitz, descritto da Primo Levi che vi fu deportato dai tedeschi nel 1944.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Viene fatta circolare, fra i giovani neo-fascisti e neo-nazisti, l'idea che i campi di sterminio non siano mai esistiti: non solo sono esistiti, ma sono stati costruiti e fatti funzionare da imprese industriali, con perfetta anche se allucinante, logica imprenditoriale e con lauti profitti, proprio in contrasto con l'immagine di un nazionalsocialismo romantico o anticapitalista che viene ancora fatta circolare.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Quando gli anglo-americani hanno occupato la Germania sono riusciti a raccogliere milioni di pagine di documentazione sull'industria e sull'economia tedesca; da tale documentazione si puo' conoscere chi forniva le camere a gas e i forni crematori, con relative fatture e corrispondenza.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">In un primo tempo il gas velenoso immesso nelle camere a gas era l'ossido di carbonio proveniente dal tubo di scappamento di un motore a scoppio. Ma le prime camere erano "troppo piccole" per la molta gente che si doveva uccidere; allora furono ordinate camere a gas più grandi, usando sempre ossido di carbonio.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">A questo punto il fattore limitante era rappresentanto dalla lentezza dell'effetto tossico dell'ossido di carbonio e il numero di condannati che potevano essere sterminati risultava ancora "troppo basso" rispetto ai programmi. E sto parlando di esseri umani, con le loro grida, col loro dolore, con la loro disperazione.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Le SS pensarono allora di ricorrere all'acido cianidrico, un gas usato come pesticida sotto il nome di "Zyklon B", fabbricato dalla società Degesch, del gruppo IG Farben. Il Zyklon B, nella sua applicazione come pesticida, era addizionato con un agente chimico il cui odore acuto avvertiva le persone che era in corso la disinfestazione con una sostanza altamente tossica. Le SS chiesero alla Degesch di fornire il Zyklon B senza odore e la Degesch fu dapprima riluttante non per scrupolo morale --- sapeva che le SS lo avrebbero usato per sterminare migliaia di persone al giorno --- ma perché possedeva un brevetto per la miscela di acido cianidrico e additivo, e non per l'acido cianidrico da solo. Se il governo si fosse messo ad acquistare acido cianidrico altre ditte avrebbero potuto fornirlo in concorrenza con la Degesch. D'altra parte la I.G. Farben, pur davanti al rischio di questa concorrenza, non poteva scontentare cosi' importanti clienti e non esitò a fornire l'acido cianidrico anche per </span><span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">i campi di concentramento <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">All'ingegneria dell'olocausto contribuirono non solo gli imprenditori e i capitalisti tedeschi, ma anche imprese di vari paesi, Italia compresa. Nel marzo 1942 a Roma i dirigenti della I.G. Farben firmarono un accordo con un consorzio di imprese edili italiane, il "Gruppo italiano", </span><span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">per la costruzione degli edifici; le imprese fornivano anche la mano d'opera.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Ciascuno di noi, purtroppo, ha parlato e scritto, in questi anni, troppo poco di questo terribile passato.Anche i vincitori della seconda guerra mondiale hanno delle responsabilità nell'aver lasciato sopravvivere i germi della violenza nazista. Dopo il grande processo ai criminali di guerra del 1945-46, a Norinberga si svolsero altri processi ai principali complici del regime nazionalsocialista. I dirigenti e i responsabili della I.G. Farben --- Ambros, Duerrfeld, Buetefisch, Schmitz, Krauch, ter Meer --- furono processati nel 1947-48: tutti dichiararono di non sapere niente del genocidio e di avere svolto solo il loro mestiere di industriali. Tutti ebbero lievi condanne. Le più severe, otto anni di carcere ciascuno, furono inflitte a Ambros e Duerrfeld, ma nel 1951 tutti gli imputati erano in libertà e alcuni tornarono in posizioni di responsabilità nell'industria tedesca e internazionale. Otto Ambros fu impiegato come consulente da alcune industrie americane.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Questo perdono e oblio generale fu il frutto perverso della guerra fredda in Europa; anche i criminali di guerra e i complici del regime nazista potevano servire contro il comunismo. L'albero su cui è nato, dopo anni di incubazione, ha ripreso a dare altri frutti e sono sotto i<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">nostri occhi oggi, e portano ancora lugubri svastiche e teschi.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div align="left">
</div>
giorgio nebbiahttp://www.blogger.com/profile/12979392991314267930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2346082185157007677.post-30745930944258645252013-01-22T10:43:00.000-08:002013-01-22T10:43:01.779-08:00Chimici e parlamento<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<i><u>La Gazzetta del Mezzogiorno</u></i>, martedì 22 gennaio 2013 <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: center;">
Giorgio Nebbia <a href="mailto:nebbia@quipo.it">nebbia@quipo.it</a> <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Migliaia di persone sono candidate alle prossime elezioni per le due camere del Parlamento nazionale e per alcuni parlamenti regionali. E’ bello che così tante persone desiderino mettere le proprie competenze al servizio dei più nobili compiti della vita civile: scrivere ed approvare le leggi, specialmente quelle che stabiliscono come va speso il pubblico denaro, esercitare con interpellanze e interrogazioni il controllo sul comportamento del governo e delle pubbliche amministrazioni.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
I candidati e gli eletti mettono a disposizione del paese e degli elettori le competenze e le esperienze della loro vita professionale: avvocati e operai, disabili e atleti, medici e scrittori, attori e agricoltori, professori e artigiani. E chimici ? Quanti chimici sono stati inseriti nelle liste elettorali, quanti verranno eletti ? Eppure i chimici hanno esperienze culturali e professionali, tratte dal lavoro nelle Università, nelle fabbriche, nei laboratori statali e privati, e avrebbero tante cose da dire in un Parlamento e anche nelle.assemblee delle amministrazioni locali.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Il Parlamento deve preparare, discutere e approvare un gran numero di leggi che hanno moltissimi aspetti chimici: si pensi all’adeguamento delle norme italiane alle direttive e ai regolamenti europei, ai rapporti dell’Italia con organismi internazionali e con i problemi del commercio internazionale. Se si legge la Gazzetta Ufficiale della Repubblica, che riporta e rende pubblico il risultato di tutte le norme approvate dal Parlamento, si vede che almeno un quinto di tali norme riguarda aspetti chimici: si parla di qualità della benzina, di prezzi dei carburanti, della composizione dei detersivi, della qualità dell’alluminio adatto per la fabbricazione delle pentole, delle sostanze ammesse o vietate come additivi dei cosmetici o degli alimenti o nei prodotti medicinali, dei concimi e pesticidi usati in agricoltura, dei pericoli a cui sono esposti i lavoratori quando maneggiano solventi o esplosivi, delle precauzioni necessarie nel trasporto delle sostanze corrosive o infiammabili, dei processi per diminuire l’inquinamento e per lo smaltimento dei rifiuti, eccetera. Sto parlando di norme che regolano l’economia, la quale a sua volta è basata sul commercio di “cose chimiche”.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
L’importanza dei chimici in Parlamento e nelle assemblee elettive è stata riconosciuta in tutti i 150 anni della storia politica italiana. Alla nascita del regno d’Italia esisteva una Camera composta di deputati eletti (peraltro per molti decenni soltanto da una piccola parte della popolazione ed erano escluse le donne), provenienti in gran parte dalle classi agiate e dalle professioni liberali. Il Senato era invece costituito da persone nominate dal re; fra queste figurarono molti chimici come Stanislao Cannizzaro, Giacomo Ciamician (che é stato anche consigliere comunale a Bologna), Emanuele Paternò, dei quali si ricordano gli interventi nella discussione di problemi chimici relativi alle norme doganali, alla qualità del fosforo da impiegare nei fiammiferi, all’igiene nelle fabbriche, alle leggi sanitarie, eccetera.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Tutto questo è continuato fino al fascismo quando il Parlamento elettivo è stato chiuso e sostituito, per alcuni anni, dalla Camera dei fasci e delle corporazioni i cui componenti erano nominati dal governo fascista, e nella quale figurarono vari chimici, spesso espressioni dei gruppi di interessi, delle loro corporazioni, il che non escludeva che si occupassero di problemi della chimica e dell’industria. Si possono ricordare Giuseppe Bruni, Luigi Cambi, Felice De Carli, Pier Giovanni Garoglio (studioso di oli e grassi), Angelo Tarchi, Guido Donegani che, pur essendo laureato in ingegneria, era il presidente della più grande industria chimica italiana ed era già stato eletto nella Camera dei Deputati prima del fascismo. Nel periodo fascista il Senato praticamente non contava niente.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
La vita è rinata dopo la Liberazione: nell’assemblea costituente fu eletto il chimico Michele Giua che era stato incarcerato molti anni per opposizione al fascismo e che fu rieletto varie volte al Senato in cui intervenne spesso sui problemi di sua competenza. Per quanto ne so negli anni successivi la presenza dei chimici è stata molto scarsa, da contare sulle dita delle mani. Eppure sono stati gli anni del vivace dibattito sul contenuto di fosforo dei detersivi, sui pesticidi, sulle caratteristiche dell’acqua potabile, sul contenuto di piombo delle benzine; sull’inquinamento delle falde idriche provocato dalle discariche di rifiuti tossici; furono gli anni dell’incidente al reattore di Chernobil e della contaminazione radioattiva degli alimenti, degli incidenti nelle fabbriche chimiche dell’ACNA in Liguria, della Farmoplant in Toscana, di Marghera, nel Veneto. E non si parla di chimica anche adesso, anche in Puglia, con l’inquinamento da diossine, PCB, benzopirene, con le emissioni di mercurio dalle centrali termoelettriche ? Sono certo che i chimici, se saranno eletti, potranno dare un contribuito, proprio in quanto chimici, al miglioramento delle leggi da cui dipendono l’ambiente, l’economia, il lavoro, cioè la vita. </div>
giorgio nebbiahttp://www.blogger.com/profile/12979392991314267930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2346082185157007677.post-76167848878294750402013-01-14T02:12:00.005-08:002013-01-14T02:12:59.151-08:00SM 2863a -- Breve storia dei fiammiferi -- 2007<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u>Chimica News</u></i>, n. 19, settembre 2007 --- <i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u>Inquinamento</u></i>, <i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u>49</u></i>, (96), settembre 2007</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none; text-align: center;">
Giorgio Nebbia <a href="mailto:nebbia@quipo.it">nebbia@quipo.it</a></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
La storia dei fiammiferi è lunga e complicata, fatta di piccole e grandi invenzioni che davano vita spesso a piccole e grandi imprese industriali. Questa storia comincia nel 1827 con l'invenzione, da parte dell'inglese John Walker, del fiammifero a sfregamento (un bastoncino di legno con una capoccia contenente una miscela di solfuro di antimonio e di clorato di potassio), seguita, tre anni dopo, dal perfezionamento, dovuto a Sauria, Kammerer, e al geniale inventore ebreo di Fossano, in Piemonte, Sansone Valobra, consistente nella sostituzione del solfuro di antimonio con una miscela di zolfo e fosforo bianco. Valobra impiantò a Napoli la prima fabbrica di fiammiferi italiana e inventò, successivamente, anche i fiammiferi con lo stelo di cera, i “cerini”. La storia finisce nel 1994 con la chiusura, per riduzione del mercato, dell'ultima grande fabbrica inglese di fiammiferi, la famosa Bryant & May di Liverpool.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
Di certo l'invenzione del fiammifero ha avuto conseguenze rivoluzionarie e liberatorie: ciascun individuo poteva accendere lampade e fuochi senza dover dipendere da altri, portando con se la fiamma, come ben dice il nome italiano del prezioso bastoncino di legno. Con la produzione dei fiammiferi nacque inoltre un importante segmento del "sistema di fabbrica" ottocentesco italiano, con i relativi problemi, primo fra tutti lo sfruttamento dei lavoratori, donne, uomini e ragazzi, particolarmente grave in un'industria che trattava sostanze altamente pericolose e tossiche come il fosforo bianco e lo stesso zolfo.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
Al lettore curioso raccomando la lettura del libro della prof. Nicoletta Nicolini, dell’Università di Roma, intitolato: “Il pane attossicato. Storia dell’industria dei fiammiferi in Italia”, pubblicato da una difficilmente accessibile “Documentazione Scientifica Editrice”, di Bologna (non c’è neanche l’indirizzo), uno degli innumerevoli libri sommersi in cui finisce tanta parte della pur preziosa ricerca anche storico-scientifica del nostro paese.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
I primi fiammiferi industriali erano costituiti da bacchettine di legno morbido con una delle estremità ricoperta, come si accennava prima, di zolfo e fosforo bianco che si accendeva per sfregamento su una superficie ruvida. Il velenoso fosforo bianco veniva assorbito dagli operai, per lo più ragazze e bambini, durante la lavorazione consistente nell’immersione dei bastoncini in una miscela liquida contenente il fosforo. </div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
Negli anni cinquanta e sessanta dell’Ottocento, quando la struttura delle manifatture di fiammiferi era arretrata e artigianale, medici generosi e attenti alla salute pubblica come Bellini e Zambelli avevano scritto e denunciato la pericolosità dell'uso del fosforo bianco nelle fabbriche dei fiammiferi e nei fiammiferi che arrivavano al pubblico, ma potenti interessi finanziari avevano spiegato per decenni al potere politico che sarebbe stato altamente lesivo degli interessi italiani sostituire il fosforo bianco col fosforo rosso, che pure, in altri paesi, era prodotto e usato per i fiammiferi più "sicuri". La scusa è sempre la stessa: l’impiego nel ciclo produttivo del fosforo rosso, più costoso, avrebbe danneggiato --- sostenevano gli imprenditori --- gli stessi operai perché sarebbero aumentati i costi di produzione e molte fabbriche sarebbero state costrette a licenziare molti dipendenti. Gli stessi interessi riuscirono ad evitare che le fabbriche di fiammiferi fossero incluse fra le industrie “insalubri”, da localizzare nelle periferie, quando nel 1887-89 fu emanata la prima legge italiana sulla tutela dell’igiene e sanità. Portavoce degli interessi economici fu, negli anni settanta e ottanta dell’Ottocento, il grande chimico Emanuele Paternò, cattedratico, massone, senatore, presidente dei laboratori e delle Commissioni sanitarie che decidevano o davano consigli al governo.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
Davanti all'innegabile pericolosità dei fiammiferi al fosforo bianco i paesi industriali erano arrivati, all’inizio del Novecento, ad un accordo internazionale che, difendendo la salute, ponesse, nello stesso tempo, sullo stesso piano di concorrenza, i molti produttori di fiammiferi. Alla convenzione di Berna del 1906 aderì anche l’Italia, ma l’adeguamento dell’Italia ai relativi impegni venne rimandata fino al luglio 1915; il “provvidenziale” (per gli industriali dei fiammiferi) scoppio della prima guerra mondiale indusse il governo a rimandare a tempi migliori una legge così “secondaria”, come quella da cui dipendeva la salute di migliaia di lavoratori e di milioni di compratori di fiammiferi ! E poiché c’era sempre qualcosa da fare, più importante, la legge che vietava l'uso nei fiammiferi del fosforo bianco, entrò in vigore nel 1924 (diciotto anni dopo la convenzione di Berna).</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
Per un intero secolo i fiammiferi sono stati prodotti in centinaia di fabbrichette, sparse nel territorio italiano, con accesso ad un limitato mercato locale, escluse dalle grandi correnti di importazione o esportazione. La storia e le statistiche delle fabbriche dei fiammiferi offre uno spaccato, piccolo, ma molto significativo, della transizione da una fase artigianale di manifatture tecnicamente e commercialmente arretrate, alla formazione di gruppi più grandi di fabbricanti di fiammiferi, quando, nella seconda metà dell’Ottocento, gli imprenditori di maggiori dimensioni ampliano i propri interessi, dalla seta, ai cotonifici, alla meccanica, all'industria chimica, alla fabbricazione dei fiammiferi, appunto, ai giornali, alle banche, e possono, con un peso adeguato, con le giuste amicizie di logge e salotti, trattare col governo per ottenere facilitazioni, dazi contro le importazioni, protezioni, favori.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
I piccoli produttori cercarono di consorziarsi contro i grandi gruppi, ottennero, in un lungo scontro negli anni 1894-1898, qualche ascolto da qualche distratto parlamentare, ma furono gradualmente esclusi dalla produzione e dal commercio dei fiammiferi. Le cose peggiorarono con l’introduzione, nel dicembre 1894, di una “tassa” sui fiammiferi, resa urgentemente necessaria per sanare il deficit del bilancio che si stava ingrandendo a causa della costosa guerra d’Africa. Contro tale tassa intervennero gli industriali che minacciarono la chiusura delle fabbriche e i lavoratori attuarono uno sciopero.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
Il Parlamento non poté approvare o bocciare il decreto fiscale perché il re lo tenne chiuso nel cassetto fino alle elezioni del maggio 1895, vinte da Crispi. La prima reazione violenta alla tassa sui fiammiferi si era intanto calmata e il Parlamento discusse, nel luglio e agosto, il decreto legge fiscale; il resoconto del dibattito parlamentare --- dettagliatamente analizzato nel libro della prof. Nicolini --- è interessante non tanto per le sue conclusioni (la tassa sui fiammiferi c'è e resta), ma perché consente di dare uno sguardo allo scontro fra i parlamentari "rappresentanti" dei vari gruppi di pressione.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
Intanto si verificano grandi eventi: in concomitanza col dibattito sulle tasse, le truppe italiane vittoriose annettono il Tigrè alla colonia Eritrea: gran rigurgito di orgoglio nazionale e nuove spese per la guerra. L'entusiasmo dura poco: il 7 dicembre 1895 c'è la sconfitta dell'Amba<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Alagi; il 22 gennaio 1896 viene abbandonata Macallè e il 1 marzo gli italiani sono sconfitti ad Adua: nuove spese. La<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sventurata guerra d'Africa si conclude alla fine del 1896 con una pace con l'Abissinia, lasciandosi alle spalle dolori, lutti, lacerazioni sociali e altre voragini nel bilancio statale.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
I piccoli artigiani produttori di fiammiferi tentano ancora di consorziarsi per chiedere al governo una diminuzione della tassa sui fiammiferi, ma il governo ha disperato bisogno di altri soldi da rastrellare con altre tasse: nel maggio 1898 reprime nel sangue, con i cannoni di Bava Beccaris, la protesta dei lavoratori di Milano contro il caro-pane; per quanto riguarda i fiammiferi non trova di meglio, nel dicembre del 1898, che aumentare ulteriormente la già contestatissima tassa.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
Questa volta scatta la serrata dei produttori. La straordinaria ricostruzione del dibattito parlamentare, degli scioperi e delle serrate attraverso i verbali delle sedute, i resoconti della stampa e i rapporti di polizia, la storia dei tentativi per far nascere il "consorzio" fra piccoli produttori di fiammiferi, o il cartello dei grandi produttori uniti nella società "Fabbriche riunite", offrono un quadro ben preciso della società italiana all'alba del ventesimo secolo,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dei suoi vizi, corruzioni e stupidità. Le grandi avventure internazionali, la concorrenza e lo scontro fra giganti finanziari e industriali finiscono così per influenzare la vita e il destino di piccoli inconsapevoli fiammiferai siciliani o marchigiani o piemontesi, protagonisti della "storia minore", ai quali la tassa sui fiammiferi fa aumentare di qualche lira i costi di produzione e fa diminuire gli utili.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
La lettura del libro offre, infine, l'occasione per riconoscere che la crisi di questa prima industrializzazione italiana, abituata ad invocare il protezionismo governativo attraverso dazi sulle importazioni e leggi compiacenti, anche se danneggiavano la salute dei cittadini, ha le<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sue radici nell'ignoranza, oltre che nell'avidità. L'autrice mette bene in evidenza l'arretratezza, nell’Ottocento, degli studi di chimica pura e di chimica industriale, la povertà di accademie e centri di cultura tecnico-scientifica, che già fiorivano in Francia, Inghilterra, Germania, Austria, Russia. L'avidità e l'ignoranza sono state le vere cause delle morti nelle fabbriche e dei fallimenti industriali.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
Il prezzo che una società paga per questa povertà di cultura imprenditoriale e tecnica è il fallimento delle imprese. Nel caso dei fiammiferi la miopia degli imprenditori fino ai primi decenni del Novecento portò al ritardo nelle innovazioni tecniche che si stavano diffondendo nel mondo dove il fosforo rosso sostituì il fosforo bianco, i vecchi fiammiferi furono sostituiti da quelli di sicurezza, o “svedesi” nei quali la capocchia del fiammifero è (ormai si può dire, era) formata da una miscela di sostanze ossidanti, come clorato di potassio, zolfo e resina e si accendeva per sfregamento su una listarella di carta ruvida incollata alle pareti esterne delle scatole e contenente una pasta di fosforo rosso e trisolfuro di antimonio.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
L'apparentemente limitata storia della produzione dei fiammiferi in Italia, fino alla prima metà del Novecento, ha così una sua morale di carattere generale e valida ancora oggi. Produrre merci è sempre stata un'operazione complicata e può essere svolta soltanto se si diffonde una cultura delle merci e dei processi produttivi. E' la conoscenza che dissolve i fantasmi oscuri della paura: la paura delle popolazioni verso la "fabbrica" che non si sa che cosa produce, quali fumi butta nell'aria, la paura dei lavoratori che non sanno che cosa maneggiano e quali pericoli affrontano, la paura degli imprenditori verso qualsiasi richiesta di riforme e di progresso.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
Se dunque gli imprenditori vogliono continuare a produrre merci --- merci che occorrono, che soddisfano bisogni umani, che spesso sono liberatorie, come sono stati liberatorii i fiammiferi<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nel secolo e mezzo passato --- devono aumentare la propria cultura e devono imparare a parlare al pubblico e ai lavoratori, non col linguaggio furbesco della pubblicità, ma con quello di una cultura industriale, capace anche di essere orgogliosa, quando occorre, della propria bravura e intraprendenza.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
Questa cultura del fare, del produrre, deve entrare anche nelle aule universitarie, non per preparare fedeli e silenziosi servitori del potere finanziario, ma per diffondere capacità critica, senso del servizio alla collettività, sia nella pubblica amministrazione, sia nelle fabbriche. La stessa cultura dovrebbe spingere i legislatori ad essere meno pavidi e prudenti nello scrivere le leggi da cui dipendono la salute e la sicurezza dei cittadini e spingere i pubblici amministratori ad essere un po' più coraggiosi nel farle rispettare.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-pagination: none;">
<br /></div>
giorgio nebbiahttp://www.blogger.com/profile/12979392991314267930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2346082185157007677.post-56886238730116198672012-12-27T10:39:00.002-08:002012-12-27T10:39:22.348-08:00La scoperta del glutammato<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u>La Gazzetta del Mezzogiorno</u></i>, domenica 27 aprile 2008.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: center;">
Giorgio Nebbia <a href="mailto:nebbia@quipo.it"><span style="color: #002bb8;">nebbia@quipo.it</span></a></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
“Il caso aiuta la mente preparata” e grandi scoperte possono avvenire anche a tavola. La nostra storia comincia con un professore di chimica che nel 1908, cento anni fa, si è messo a studiare la ragione del particolare gradevole sapore, chiamato umami, di alcune pietanze a base di alghe, fra cui il konbu, tipiche della cucina giapponese. Gli inizi del ventesimo secolo sono stati molto importanti per il Giappone, uscito da una lunga notte di condizioni quasi medievali per entrare nella società moderna e industrializzata, con fabbriche metallurgiche e meccaniche e chimiche e con università che mandavano i loro studenti e professori a perfezionarsi in Europa.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
E’ stato il professor Kikunae Ikeda (1864-1936) dell’Università di Tokyo a scoprire che il sapore umami era dovuto ad una particolare sostanza, l’acido glutammico, un amminoacido. Gli amminoacidi sono composti chimici fondamentali: tutte le proteine, le molecole che sono alla base della vita, sono costituite da amminoacidi combinati insieme con un processo che i chimici chiamano “condensazione”; gli amminoacidi utilizzati per la sintesi delle proteine sono una ventina e le innumerevoli proteine esistenti in natura, dappertutto, dal pane al sangue, alle ali delle farfalle, alla fibra della seta, eccetera, differiscono per il numero e il tipo di amminoacidi e per la maniera in cui si trovano uniti fra loro. Una delle cose più straordinarie della natura è che in ogni istante, a milioni di tonnellate al giorno, in tutti gli esseri viventi si formano delle proteine, tutte diverse fra loro ma sempre le stesse in ciascuna parte di ciascun organismo, con processi e con una velocità che nessun laboratorio chimico sa riprodurre.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
L’acido glutammico, scoperto dal prof. Ikeda come responsabile del sapore umami, si trova in tutte le proteine, in quantità maggiore o minore. Ikeda pubblicò la sua scoperta in un giornale giapponese in giapponese, ma subito dopo, nel 1912, riferì i risultati dei suoi studi nel corso dell’ottavo Congresso internazionale di Chimica Applicata che vide riuniti a New York tutti i più importanti chimici del mondo. Nel frattempo Ikeda aveva costituito una società per la produzione industriale dell’acido glutammico in vista della sua addizione, sotto forma di sale di sodio, di glutammato monosodico, come agente esaltatore del sapore, a un gran numero di alimenti.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Per molti anni il consumo rimase limitato al Giappone e alla Cina; negli anni trenta del Novecento il glutammato cominciò ad essere conosciuto negli Stati Uniti e, dopo la seconda guerra mondiale, la sua richiesta e la sua produzione si diffusero rapidamente anche in Europa dove cominciavano ad essere immessi in commercio dei “preparati per brodo”, i “dadi”, che richiedevano appunto come integratore il glutammato.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Il glutammato monosodico può essere prodotto con vari processi. Il primo, quello utilizzato da Ikeda, consiste nel trattamento delle proteine della soia, del frumento e del mais con acidi che scompongono le proteine liberando i vari amminoacidi presenti nelle loro molecole. Il glutine, il complesso proteico del frumento e del mais, contiene dal 15 al 20 % di acido glutammico ed è un sottoprodotto di alcune lavorazioni industriali, per esempio della produzione dell’amido. L’acido glutammico viene separato dagli altri amminoacidi e recuperato come sale di sodio molto puro che si presenta come una polvere cristallina simile al sale.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Un secondo processo, che fu seguito per molti anni negli Stati Uniti, in Europa, e anche in Italia, utilizzava come materia prima un sottoprodotto della lavorazione dello zucchero di barbabietola. Dalle barbabietola lo zucchero viene estratto con acqua calda; si ottiene una soluzione da cui si recupero gran parte dello zucchero puro; una parte però resta in una soluzione di colore bruno, viscosa, il melasso; oggi si tratta di archeologia industriale perché gli zuccherifici sono sati chiusi uno dopo l’altro, ma mezzo secolo fa la richiesta di zucchero era così elevata che veniva recuperato anche quello presente nel melasso; restava un liquido che poteva essere ulteriormente trattato per separare l’acido glutammico che conteneva in ragione di circa 4 percento.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Ma anche questo processo era poco conveniente e intorno al 1950 l’industria giapponese, che praticamente deteneva il monopolio della tecnologia del glutammato, mise a punto un processo di fermentazione; adatti microrganismi, addizionati ad una soluzione di zuccheri, producevano acido glutammico. Si tratta della tecnologia ormai usata in tutto il mondo. Negli stessi anni cinquanta cominciarono a diffondesi anche in Italia i preparati per brodo e la richiesta di glutammato monosodico aumentò rapidamente. Sorsero così varie fabbriche di glutammato, a Bottrighe nel Veneto, Fontanellato in Emilia, a Casei Gerola in Lombardia; alcune utilizzavano il processo di idrolisi del glutine, altre recuperavano l’acido glutammico dai sottoprodotti dell’industria dello zucchero, che allora era fiorente in Italia, altre lo producevano per via microbiologica, oggi tutte chiuse.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Nell’ambito dell’industrializzazione del Mezzogiorno nel 1965 fu costruita a Manfredonia la fabbrica Insud-Ajinomoto che avrebbe potuto utilizzare il melasso, il sottoprodotto dei vicini zuccherifici della Capitanata, e avviare la Puglia sulla via delle biotecnologie, allora ai primi passi. La fabbrica di glutammato funzionò dal 1965 al 1977, con vari inconvenienti, fra cui la scoperta che il melasso, la materia prima, prodotta negli zuccherifici pugliesi, non era adatto per la produzione tanto che ha dovuto per anni essere importato dall’estero. Finché, dopo pochi anni, i giapponesi, padroni della tecnologia, si sono presi i loro batteri e sono tornati a casa, lasciando abbandonato alla corrosione uno stabilimento che avrebbe potuto essere di avanguardia: un esempio di impresa industriale avviata, con incentivi di pubblico denaro, senza adeguati studi preventivi del ciclo produttivo e delle materie necessarie.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Per inciso, come esempio di errori di pianificazione merceologica, costati pubblico denaro e delusioni di occupazione, si può ricordare che la Cassa per il Mezzogiorno aveva finanziato, oltre alla fabbrica di Manfredonia, un'altra fabbrica di glutammato, della stessa capacità produttiva, 5.000 tonnellate all’anno, a Brindisi (chiusa quasi subito a trasformata in fabbrica di antibiotici).</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Oggi il glutammato usato in Italia viene importato e ormai nel mondo la sua produzione, circa un milione di tonnellate all’anno, è limitata a Giappone, Cina, Taiwan. Negli anni sessanta il glutammato è stato al centro di polemiche; alcuni studiosi hanno creduto di osservare effetti tossici dell’uso prolungato di glutammato ma i risultati sono rimasti controversi e comunque la quantità che se ne assume con un dado per brodo del peso di 10 grammi è poco più di un grammo. E’ comunque un secolo che il glutammato è stato protagonista di una storia merceologica, di innovazioni produttive, di scontri industriali e di monopoli.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
giorgio nebbiahttp://www.blogger.com/profile/12979392991314267930noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-2346082185157007677.post-54492895116196168252012-08-05T15:40:00.001-07:002013-07-31T03:27:03.672-07:00SM 2866b -- Sono un nipote di Ciamician anch'io -- 2010<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: center;">
Giorgio Nebbia</div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: center;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><a href="mailto:nebbia@quipo.it">nebbia@quipo.it</a><o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u>L’Università come “famiglia” di studio e ricerca</u><o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="mso-bidi-font-style: italic;">Dal 16 al 18 settembre 2007 si è tenuto nell’Istituto Chimico dell’Università di Bologna un convegno in occasione del 150° anniversario della nascita del grande chimico Giacomo Ciamician (1857-1922) al quale è appunto intestato lo stesso Istituto Chimico. Gli atti sono stati pubblicati di recente, purtroppo difficilmente ottenibili (1) e il convegno è stato una occasione per ripercorrere alcune pagine della storia dell’Università e della chimica italiane, e anche per ricordare alcuni eventi della nascita dell’interesse per l’energia solare in Italia.<i><o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Ogni studioso, in particolare ogni chimico, conduce ricerche e si occupa di qualche argomento influenzato da altri studiosi. L’analisi delle “genealogie” culturali e scientifiche aiuta a comprendere i rapporti accademici, scientifici e anche umani --- simpatie e antipatie, gelosie, ricerca di priorità di una scoperta --- che legano la vita di chi lavora nei laboratori e nelle biblioteche. Ciò è tanto più vero quando ci si riferisce ad una grande personalità scientifica e testimone della vita civile del suo tempo, come Giacomo Ciamician (1857-1922).</div>
<a name='more'></a><div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<a href="http://www.blogger.com/null" name="OLE_LINK1">Anche la mia vita di chimico e di docente (ormai in pensione da molti anni) si è intrecciata, alla lontana, con il grande studioso bolognese. Sono nato (a Bologna) nel 1926, cioè pochi anni dopo la morte di Ciamician, e ho iniziato la mia vita di chimico da studente nel 1946, nel laboratorio dell’Istituto di Merceologia dell’Università di Bologna che era diretto da Giuseppe Testoni (1877-1957) (già anziano, così sembrava a me che avevo 20 anni, ma lui di anni ne aveva appena 69), che era stato un allievo di Ciamician e che era stato chiamato, nel 1926, alla cattedra di Merceologia dell’Università di Bari, dove avrei insegnato anch’io, anni dopo, la stessa materia. Nell’Istituto di Bologna era assistente (aveva allora 40 anni) Walter Ciusa (1906-1989) che nel 1948 sarebbe stato incaricato (sono costretto a usare termini, “Istituto”, “assistente”, “professore incaricato” e simili che sono stati cancellati dal vocabolario dell’Università) di Merceologia nell’Università di Bari dove sarebbe stato chiamato come ordinario nel 1949.</a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="mso-bookmark: OLE_LINK1;">Nel frattempo mi ero laureato (alla fine del 1949) in chimica a Bari discutendo una tesi sugli orbitali molecolari con Riccardo Ciusa (1877-1965), che insegnava chimica farmaceutica e chimica organica a Bari, altro allievo di Ciamician, di cui era stato assistente per molti anni a Bologna, e che era padre di Walter Ciusa di cui a mia volta sarei stato assistente per molti anni. Come si usava (in genere) allora, Ciusa padre volle che il figlio, chimico anche lui, insegnasse una disciplina diversa dalla sua e fu appunto assunto come assistente da Testoni.</span></div>
<span style="mso-bookmark: OLE_LINK1;"></span><br />
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<a href="http://www.blogger.com/null" name="OLE_LINK2">Si può immaginare che nelle conversazioni con i due Ciusa e con altri emergevano continuamente ricordi di Ciamician, di come si viveva nel suo laboratorio, di come Ciamician preparava e svolgeva le lezioni con una liturgia che è sopravvissuta per molti anni. Quando ero giovane si usava ancora il nome di “sacrestia” per un locale, retrostante l’aula delle lezioni, in cui gli assistenti e i tecnici preparavano gli esperimenti che “il professore” avrebbe condotto davanti agli studenti.</a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="mso-bookmark: OLE_LINK2;">In quegli anni cinquanta del Novecento erano ancora vive persone che si erano laureate con (o erano state assistenti di) Ciamician, per lo più sparse per l’Italia; a sua volta Ciamician era <a href="http://www.blogger.com/null" name="OLE_LINK3">“figlio” degli studiosi e degli interessi scientifici del suo tempo. Come è stato ricordato da </a></span><span style="mso-bookmark: OLE_LINK3;">molti altri, Ciamician era nato nel 1857 a Trieste (allora parte dell’Impero austriaco) da famiglia di origine armena ed aveva studiato nelle scuole superiori dove la chimica era insegnata da Augusto Vierthaler che era anche un noto cultore di Merceologia, autore, con Giuseppe Carlo Bottura, di un trattato (Torino, UTET, 1875) che si trova in qualche biblioteca di Merceologia ancora oggi.</span></div>
<span style="mso-bookmark: OLE_LINK3;"></span><br />
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Lo studioso americano John Andraos, nel tentativo di ricostruire l’ “albero di Liebig”, propone una genealogia che lega Ciamician da una parte a Hugo Weidel, di Vienna, e dall’altra a Dumas, Piria e Cannizzaro. Di Cannizzaro Ciamician fu effettivamente assistente dal 1880 al 1887.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u>La “carriera” universitaria dei tempi andati<o:p></o:p></u></i></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
La ricostruzione di una genealogia di allievi di Ciamician offre anche l’occasione per un breve sguardo ad un mondo scomparso di rapporti accademici, ma anche umani, La “carriera” universitaria, dagli ultimi decenni dell’Ottocento fino alla prima metà del Novecento, era regolata dalla legge Casati che prevedeva vari livelli: si cominciava con la posizione di “assistente”, un impiego --- il numero di posti assegnati a ciascuna “cattedra” era limitato --- che si otteneva in seguito ad un concorso, non ricordo se nazionale o locale, e che, dopo un paio di anni di servizio, diventava stabile, di assistente “ordinario”.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Il ruolo degli assistenti è stato abolito nel 1980 con la “legge 382”. Esisteva anche una posizione di “assistente volontario”, mi pare senza limite di<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>numero, non retribuita, che talvolta apriva la porta al concorso per diventare assistente di ruolo. Gli assistenti volontari non avevano particolari obblighi e il titolo, in alcune professioni, era usato per far credere di avere un qualche prestigio universitario.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Molto importante era la “libera docenza”, una qualifica che si otteneva con un concorso pubblico nazionale per titoli ed esami; se un assistente di ruolo non otteneva la libera docenza entro dieci anni di servizio, era trasferito d’ufficio ad un posto di insegnante di ruolo in una scuola secondaria superiore. Il possesso della libera docenza era titolo per ottenere un insegnamento universitario “per incarico”, talvolta retribuito (poco), e dava diritto ad ottenere l’assegnazione di un “corso libero”, non retribuito e che gli studenti non erano tenuti a seguire; a dire la verità il titolo di “libero docente”, che consentiva di qualificarsi come “professore”, era molto ambito dai medici che con esso si presentavano ai pazienti con maggiore prestigio (e più elevate parcelle). Si perdeva il titolo di “libero” docente quando si era promossi professori di ruolo; la libera docenza è stata abolita nel 1980.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
La maggior parte degli insegnamenti universitari, sempre fino agli anni sessanta del Novecento, era affidata “per incarico”, a liberi docenti o assistenti di ruolo o anche a professori di ruolo come carico didattico aggiuntivo, con un piccolo compenso; nei primi anni dopo la Liberazione i professori di ruolo erano circa tremila.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
In tutti i decenni di attività di Ciamician e dei suoi allievi “una cattedra” universitaria si otteneva con un concorso nazionale, una dura competizione tanto che si usava dire che ”si vinceva” la cattedra; la commissione giudicatrice era costituita da cinque membri, professori di ruolo della disciplina o di discipline “affini”. Non ricordo come la commissione fosse nominata prima del, e durante il, fascismo, ma dopo la Liberazione la commissione era eletta dai colleghi delle stesse discipline. La commissione proponeva, a maggioranza o all’unanimità, una “terna” di vincitori; per alcuni concorrenti non inseriti nella terna dei vincitori la commissione poteva anche esprimere un giudizio di ”maturità” didattica e scientifica, di cui spesso tenevano conto (una specie di assicurazione sul futuro) le commissioni giudicatrici dei concorsi successivi. Il primo della terna dei vincitori aveva il diritto (e il dovere) di essere chiamato nella Università che aveva bandito il concorso e in tale Università doveva restare almeno tre anni; gli altri due inseriti nella terna cercavano di essere chiamati da altre Università. Mi sono soffermato su questi dettagli perché spiegano la mobilità che incontreremo anche nel caso degli allievi di Ciamician che hanno diffuso la sua maniera di essere in tante Università italiane. </div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Per una breve rassegna degli allievi di Ciamician<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>mi è stato utile un articolo scritto da Gino Secchi, che si era laureato a Bologna credo nell’ultimo anno di vita e di insegnamento di Ciamician, che vinse il concorso alla cattedra di Merceologia a Verona, negli anni sessanta, dopo aver lavorato a lungo nell’industria, e che ha scritto una affettuosa biografia di Ciamician pubblicata negli atti del II Convegno dei Chimici d’Italia, tenuto a Milano nell’ottobre 1962, con una dettagliata bibliografia degli scritti di Ciamician che aveva trovato nell’Istituto Chimico di Bologna.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Un breve sguardo agli altri allievi di Ciamician offre anche l’occasione per vedere l’influenza che il fascismo ebbe sugli eventi accademici. Tali allievi furono assistenti o diventarono professori universitari proprio nei due decenni dal 1922 al 1945 e le vicende di alcuni di essi sono descritte in un articolo “I chimici e il regime fascista” di Luigi Cerruti che considero il massimo conoscitore italiano di storia della chimica Luigi Cerruti <a href="http://www.minerva.unito.it/storia">www.minerva.unito.it/storia</a> e i cui scritti ho utilizzato in molte occasioni per questo articolo. Molto utili sono stati anche gli scritti di Nicoletta Nicolini e la sua “prosopografia di chimici italiani”, in: <a href="http://w3.uniroma1.it/nicolini">http://w3.uniroma1.it/nicolini</a>.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u>Alcuni “allievi” di Ciamicia</u></i>n</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Non inserirei fra gli allievi Raffaello Nasini (1854-1931), coetaneo e genero di Ciamician, che operò a Padova e fu più “fratello” accademico che allievo di Ciamician.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Fra quelli che si possono considerare allievi, la figura che emerge maggiormente è quella di Paolo Silber (1851-1932) che è stato collaboratore di Ciamician nel lungo proficuo lavoro sulla fotochimica oltre che su molte altre sostanze naturali, dal 1890 al 1914, quando Silber tornò in Austria. Silber tornò, dopo la prima guerra mondiale, in Italia ma non mi risulta che abbia ripreso la ricerca universitaria.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Degli “allievi” di Ciamician ricorderò soltanto alcuni con i quali ho avuto rapporti diretti o indiretti per aver studiato sui loro libri; in tali rapporti e libri credo si possa riconoscere l’impronta che Ciamician aveva lasciato, come rigore mitteleuropeo, precisione di esposizione e ampiezza di interessi, da quelli della chimica sperimentale a quelli per le applicazioni pratiche, “merceologiche”, direi, dei loro studi. Qui di seguito elenco in ordine alfabetico i nomi che ho trovato, fra quelli che figurano come autori di lavori insieme a Ciamician, scusandomi in anticipo per le molte omissioni di allievi e allievi-di-allievi, una genealogia che molti meglio di me potranno utilmente correggere, ampliare e completare:</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Angelo Angeli (1864-1931)</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Giuseppe Antonio Barbieri (1880-1956)</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Giovanni Battista Boeris (1867-1946)</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Giuseppe Bruni (1873-1946)</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Livio Cambi (1885-1968)</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Riccardo Ciusa (1877-1989)</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Felice Garelli </div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Bruno Ghetti</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Magnanini</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Luigi Mascarelli (1877-1941)</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
G.M. Piccinini</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Giuseppe Plancher (1870-1929)</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Ciro Ravenna (1878-1944)</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Enrico Rimini (1874-1917)</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Giuseppe Testoni (1877-1957)</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Carlo Umberto Zanetti (1861-1921)</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
A giudicare dalle date di nascita di questi studiosi, Ciamician aveva radunato intorno a se un gruppo di giovanotti che nel primo decennio del Novecento (quando Ciamician aveva un quarantina d’anni ed era nella stagione più proficua della sua vita) avevano una ventina d’anni meno del loro “maestro”. Anch’io avevo venti anni di meno del professore di cui sono stato assistente e questo era (è) forse una buona differenza di età per imparare a lavorare. </div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u>Angelo Angeli </u></i>(1864-1931), laureato in Chimica nel 1891, fu nominato nel 1904 professore di Chimica farmaceutica a Palermo dove ebbe per assistenti Matteo Spica (1863-1924) e Francesco Angelico, divenuto nel 1917 professore di Chimica farmaceutica a Messina e poi a Palermo.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u>Giuseppe Antonio Barbieri</u></i> (1889-1956) si era laureato con Ciamician nel 1904, libero docente nel 1906, era stato professore di Chimica Generale a Ferrara dal 1908 al 1925; nel 1925 si trasferì al Regio Istituto Superiore di Agraria (poi Facoltà di Agraria) di Bologna dove ebbe per assistente, fra gli altri, Carlo Ferrari che di Barbieri scrisse un necrologio.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u>Giovanni Battista Boeris</u></i> (1867-1946) dopo avere lavorato con Ciamician su alcuni problemi di chimica organica nell’ultimo decennio del 1800, diventò professore a Parma e nel 1905 fu chiamato a Bologna a insegnare Mineralogia.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u>Giuseppe Bruni</u></i> (1873-1946) fu uno studioso, guida di numerosi scienziati e autore di un celebre trattato (chiamato dagli studenti familiarmente “il Bruni”) su cui si sono formati tantissimi chimici.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Fra gli allievi di Bruni si possono ricordare Giorgio Renato Levi (1895-1965) assistente di<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Bruni dal 1921, poi chiamato a Pavia al posto di Giorgio Errera che era stato “dispensato” dal servizio per non aver presto nel 1929 il giuramento di fedeltà al fascismo. Levi aderì al fascismo e ne ebbe onori e incarichi, il che non gli evitò di essere dispensato dal servizio in seguito alle leggi razziali. Levi emigrò e ritornò in Italia dopo la Liberazione. Di Levi è stato allievo Renato Curti Magnani (1895-1965) che ha insegnato Merceologia (sempre quella !) a Pavia e ha avuto per successore Vincenzo Riganti, altro merceologo. Altri allievi di Bruni sono stato Giulio Natta (premio Nobel) professore di chimica industriale a Milano, e Mario Rollier (1909-1980), valdese, figura preminente nella Resistenza, nella cui abitazione fu fondato il Movimento Federalista Europeo nel 1943.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u>Livio Cambi </u></i>(1885-1968); si era laureato nel 1906 con Ciamician e divenne poi assistente di Angeli a Firenze nel 1908. Ebbe incarichi accademici e, avendo aderito al fascismo, anche cariche nelle attività produttive.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Ho già citato <i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u>Riccardo Ciusa</u></i> (1877-965) che è stato assistente di Ciamician fino al 1922. Nel 1924 vinse il concorso alla cattedra di Chimica farmaceutica della Facoltà di Medicina, appena costituita a Bari, dove ha insegnato fino alla pensione, credo nel 1957. A Bari ebbe come assistenti Angelo Mangini (1905-1988), poi trasferito a Padova e poi a Bologna dove creò una vivace scuola di chimici nella Scuola di chimica industriale; Martino Colonna, che seguì Mangini a Bologna; Luigi Musajo (1904-1974) che divenne professore di Chimica farmaceutica a Modena, poi a Padova. Rimasero con Ciusa a Bari Margherita Minchilli (con la quale discussi una delle “tesine”, come era uso quando mi sono laureato nel 1949), la prof. Maria Di Fonzo (la Minchilli e la Di Fonzo erano chiamate affettuosamente da Ciusa “le ragazze” dell’Istituto di Chimica Farmaceutica di Bari) e molti altri che sono, quindi, riconducibili a Ciamician. Fra gli allievi di Mangini si possono ricordare (cito quelli che ho conosciuto personalmente) Renato Andrisano (1916-1978), che si era laureato a Bari con Riccado Ciusa nel 1940 e che fu chiamato a Bologna da Mangini; e poi Giuseppe Leandri (che insegnò per alcuni anni a Bari prima di essere chiamato di nuovo da Mangini a Bologna), P.E. Todesco e molti altri.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u>Bruno Ghetti</u></i>; l’ho trovato citato soltanto come autore di un libro di “Lezioni” di Ciamician.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u>Luigi Mascarelli</u></i> (1877-1941) si è laureato nel 1900, ha ottenuto la libera docenza nel 1907 e nel 1913 è stato chiamato come professore di Chimica farmaceutica a Cagliari; da questa sede fu trasferito a Torino nel 1918 dove si occupò anche di consulenze industriali.<span style="mso-fareast-font-family: 'MS Mincho';"> Non ho trovato lavori di Ciamician in cui figura anche il suo nome.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Drammatica è la storia umana di <i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u>Leone Maurizio Padoa</u></i> (1881-1944) ben ricostruita dal prof. Valerio Marchetti<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>negli atti del convegno del 2004 in ricordo dello stesso prof. Padoa. Nato a Bologna, Padoa fu assistente di Ciamician dal 1905 al 1920 quando, vincitore di concorso, fu chiamato come professore straordinario a Cagliari da cui fu chiamato all’Università di Padova nel 1921. Nel 1924, come professore ordinario, fu chiamato alla cattedra di chimica industriale a Bologna. Qui comincia l’intricata storia politico-amministrativa del prof. Padoa. Nel 1925, forse neanche senza particolare convinzione, aveva firmato il “Manifesto” redatto da Benedetto Croce, in risposta al “Manifesto” di Giovanni Gentile approvato al congresso degli intellettuali fascisti. Per questo gesto gli venne ritirata la tessera del partito fascista, ma nel 1931 non si sottrasse al giuramento di fedeltà al regime, sottoscritto da tutti i professori universitari ad eccezione di undici (fra cui il già ricordato Giorgio Errera (1860-1933). Gli anni trenta furono segnati per Padoa da una lunga controversia, amministrativa, relativa alla costruzione della nuova sede della Facoltà di Chimica industriale di Bologna, alimentata da un assistente Celestino Ficai (1894-1971) “ottimo fascista”, protetto e sostenuto da Achille Starace; nel 1936 Padoa fu sospeso dall’insegnamento; nel 1937 la sospensione fu revocata ma Padoa fu<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>trasferito all’Università di Modena; poi fu dispensato dall’insegnamento dopo le leggi razziali del 1938, poi fu reintegrato in servizio e poi nel 1941 fu definitivamente sospeso dall’insegnamento e si dedicò alla famiglia e alla cura della sua campagna. Nei successivi anni tempestosi visse a Bologna fino all’aprile del 1944 quando fu prelevato dalle SS naziste, trasferito nel campo di concentramento di transito di Merano poi in quello di Auschwitz dove fu assassinato.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u>Giuseppe Plancher </u></i>(1870-1929) è stato assistente di Ciamician dal 1895 al 1906; libero docente in Chimica Generale nel 1900 fu chiamato nel 1906 come professore straordinario di Chimica farmaceutica nell’Università di Palermo. Nel 1907 si trasferì da Palermo<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>a Parma (anche allora, evidentemente, i cattedratici cercavano di venire via dalle sedi meridionali per trasferirsi vicino a casa, nel Nord) nel 1920 passò alla Cattedra di chimica farmaceutica di Bologna dopo la morte del titolare Leone Pesci. Charrier, che ha scritto la sua biografia nel 1929, ci tenne a ricordare che Plancher, come sindaco di Fontevivo parmense, assicurò la più viva opposizione alla marea socialista paurosamente avanzante e si pose fin dai primi tempi nei ranghi del fascismo del cui regime fu sempre convinto e fedele seguace (applausi a).</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Drammatica fu anche la storia di <i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u>Ciro Ravenna</u></i> (1878-1944); molti lavori di Ciamician dal 1909 in avanti portano anche il nome di Ravenna; si tratta in genere di lavori sulle componenti organiche di piante e vegetali: Ravenna vinse il concorso alla cattedra di Chimica agraria di Pisa; fu licenziato in seguito alle leggi razziali nel 1938 e si dedicò, con passione e dignità, all’insegnamento di corsi universitari<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nella Scuola Ebraica di Via Eupili, a Milano (come è noto, per il vergognoso decreto 1390 del 5 settembre 1938 gli Ebrei non potevano frequentare né insegnare in scuole pubbliche); durante la Repubblica di Salò Ravenna fu catturato dai tedeschi e deportato ad Auschwitz dove fu assassinato, come era successo a Padoa. </div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Di <i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u>Giuseppe Testoni</u></i> (1877-1857) ho già fatto un breve cenno: non so quanto a lungo sia stato a lavorare con Ciamician; nella bibliografia pubblicata da Secchi non vedo nessun lavoro col suo nome); Testoni vinse il concorso alla cattedra di Merceologia di Bari nel 1928 e rimase in quella Università fino al 1931; insegnò poi due anni a Trieste, dal 1931 al 1933 e infine fu trasferito a Bologna dove ha insegnato Merceologia dal 1933 al 1947, avendo come assistente Walter Ciusa. Per quel poco che ricordo Testoni era un alto grado della massoneria.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Abbastanza curiosamente nessun di questi allievi ha coperto la cattedra di Chimica a Bologna; il successore di Ciamician fu Mario Betti (1875-1942) che veniva da Firenze e Genova, a cui successe Giovan Battista Bonino (1899-1985) e poi vennero altri fino a Vincenzo Balzani che ha ripreso l’interesse di Ciamician per la fotochimica e l’energia solare.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u>La prima età dell’oro dell’energia solare (1850-1915)<o:p></o:p></u></i></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Molti altri hanno esposto i contributi scientifici di Ciamician. Fondamentali sono gli studi sul pirrolo, la strana molecola che la natura ha voluto, non è chiaro perché, mettere come pietra miliare della vita vegetale e animale nella clorofilla e nell’emoglobina.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Spero che il lettore mi perdonerà se mi soffermerò un poco di più sul contributo dato da Ciamician all’energia solare, anche perché, forse sollecitato da quello che sapevo di Ciamician, il tema ha attratto anche me per molti anni. Ciamician è giustamente considerato come padre dell’energia solare, soprattutto per i suoi contributi alla fotochimica e alla comprensione della fotosintesi, ben illustrati nella sua prolusione all’anno accademico 1903-1904, nella conferenza tenuta a Parigi nel 1908 e in quella tenuta alla riunione dell’ottavo congresso di chimica applicata a New York nel 1912, pubblicata in inglese nella rivista americana <i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u>Science</u></i> (del 27 settembre 1912) e in francese nella rivista <i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u>Science</u></i> di Bologna. Con questi contributi Ciamician si è inserito di autorità nel clima dei fermenti scientifici internazionali del tempo, secondo cui proprio dal Sole avrebbero potuto aprirsi nuove strade per risolvere i problemi umani, specialmente quelli dell’energia e dell’inquinamento.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Gli anni in cui Ciamician scriveva sulle prospettive dell’energia solare si potrebbero considerare la prima “età dell’oro” di questa fonte di energia. Alla fine del XIX secolo la società industriale dipendeva dal carbone, usato in quantità così rilevante da far temere l’esaurimento delle sue riserve, un po’ come adesso l’energia solare risorge sul timore dell’esaurimento delle riserve di petrolio. Di una possibile futura scarsità del carbone aveva parlato l’economista inglese Stanley Jevons (1835-1882) nel libro ”The coal question”, pubblicato nel 1865 e 1888 (una terza edizione sarebbe apparsa nel 1906).</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Al Sole come fonte di energia stavano guardando in tanti, sia come surrogato del carbone, sia nella prospettiva di sviluppo di attività economiche nelle colonie africane.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Nel 1863 il fisico italiano Antonio Pacinotti (1841-1912) aveva pubblicato le sue prime osservazioni sull’effetto fotovoltaico e termoelettrico, di cui suggerì l’applicazione per la produzione di elettricità dal Sole.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Il francese August Mouchot (1825-1912) negli anni 60 e 70 dell’Ottocento costruì delle macchine con le quali, mediante specchi, produceva vapore che alimentava un motore; tale invenzione riscosse una grande attenzione in tutto il mondo; nel 1866 la macchina fu mostrata a Napoleone III che<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>assegnò un premio all’inventore; una versione perfezionata fu presentata all’Esposizione Universale di Parigi del 1878. Su un altro piano, non ingegneristico, Lev Tostsoi (1828-1910) nel 1873, in un “ragionamento” inserito nei “Quattro libri di lettura”, una delle grandi opere di pedagogia popolare dello scrittore russo, aveva scritto: “Il Sole è calore” e aveva spiegato che dal calore del Sole vengono la legna e il carbone, l’erba e il cibo, il vento e l’acqua che muovono i mulini.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Nel 1872-74 l’ingegnere Charles Wilson aveva costruito nell’altopiano cileno un grande distillatore solare capace di ricavare 4000 litri di acqua dolce al giorno dalle acqua salmastre esistenti sul posto per distillazione col calore solare. Il distillatore, che assicurò acqua potabile agli operai che lavoravano nelle miniere di salnitro, rimase in funzione fino al 1907 ed era un modello “a tetto inclinato” che è rimasto il migliore, fino adesso, pur con nuovi materiali da costruzione, per la produzione di acqua dolce dal mare o dalle acque salmastre con l’energia solare. </div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Nello stesso 1884 l’americano John Ericsson (1803-1889) aveva costruito un motore solare che aveva attratto molta attenzione in tutto il mondo.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Addirittura lo scrittore di fantascienza Kurt Lasswitz (1848-1910) aveva scritto un romanzo, “Auf zwei Planeten”, nel 1897 in cui si parlava dell’uso dell’energia solare.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Negli stessi anni il fisico Friedrich Kohlrausch (1840-1910) aveva indicato, nel libro “Die Energie der Arbeit” del 1900, l’elettricità ottenuta concentrando il calore solare su macchine termiche, come la fonte di energia che avrebbe liberato “l’uomo” dalla fatica del lavoro.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Il primo decennio del Novecento fu pieno di fermenti e di invenzioni; è del 1903 la prima conferenza di Ciamician, sulla chimica dell’avvenire. Vale la pena di riprodurne alcune righe per mettere a fuoco bene il contributo di Ciamician in relazione ai molti autori, molti dei quali chimici, che hanno trattato il tema dell’energia solare negli anni successivi.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Appare evidente che la civiltà moderna --- </i>disse Ciamician<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> --- non deve appoggiarsi sopra una sola sorgente d’energia: il carbone fossile. Esso non rappresenta che un’infinitesima parte dell’energia solare, che la terra ha ricevuto nelle passate epoche geologiche e che queste hanno accumulato e conservato alla nostra.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">“L’industria ha già incominciato, grazie alla elettrotecnica, a valersi, con la utilizzazione su larga scala delle forze idrauliche, anche dell’energia solare attuale, ma questa va per il resto quasi completamente dispersa e soltanto le piante sono in grado di immagazzinarne una piccolissima porzione. Il problema dell’impiego dell’energia raggiante del sole si impone e s’imporrà anche maggiormente in seguito, per cui l’agricoltura avrà sempre un valore economico di prim’ordine”.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Dopo aver passato in rassegna molti successi della chimica organica sintetica Ciamician continuava: “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il compito più degno dell’industria del nuovo secolo è tentare di imitare i processi vegetali anziché mettersi in concorrenza con essi, Chissà che in avvenire non sia possibile mandare in effetto delle reazioni fotochimiche, come sarebbe la seguente: gli ultimi prodotti della combustione, i rifiuti che le fabbriche mandano<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nell’aria, sono l’anidride<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>carbonica e il vapore acqueo. Dato un opportuno catalizzatore si dovrebbe potere, con la partecipazione dell’energia solare, trasformarli in metano ed ossigeno i quali, bruciando, ridarebbero, naturalmente, in forma di calore tutta l’energia acquistata dal sole. Quando un tale sogno fosse realizzato le industrie sarebbero ricondotte ad un ciclo perfetto, a macchine che produrrebbero lavoro colla forza della luce del giorno, che non costa nulla e non paga tasse !”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Queste parole anticipano e testimoniano il vivace fermento scientifico e intellettuale degli anni di Ciamician. Nel 1909 J.J. Thomson (1856-1940) nella relazione iniziale del Congresso della British Association a Winnipeg, parla del Sole da cui un giorno l’umanità potrà trarre l’energia necessaria alle sue attività. “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Quando verrà questo giorno i nostri centri di attività industriale saranno forse trasportati nei roventi deserti del Sahara</i>”.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
August Bebel (1840-1913) nella 50a edizione del suo libro “La donna e il socialismo”, del 1909, parla a lungo di un mondo socialista in cui l’energia solare sostituirà la fatica umana e cita Kohlrausch e Thomson. Negli stessi anni si moltiplicano le notizie di invenzioni e macchine solari, attribuite a Clarence Kemp, Aubrey Eneas, Charles Tellier, H.E. Willsie, Frank Shuman (1862-1917) e tanti altri. Nel 1903 Charles Henry Pope (1841-1918) pubblicò un libro intitolato: “Solar heat. <span lang="EN-GB" style="mso-ansi-language: EN-GB;">Its practical applications”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Di tutto questo fermento si sente il riflesso nella celebre e citatissima conferenza di Ciamician del 1912 che rappresenta una specie di manifesto delle soluzioni dei problemi energetici e umani, gli stessi con cui ci stiamo confrontando oggi. “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">L’energia solare non è distribuita in maniera omogenea; vi sono paesi privilegiati e altri che son meno favoriti dal clima. I primi diventeranno prosperi se saremo capaci di utilizzare l’energia del Sole; i paesi tropicali avrebbero così accesso allo sviluppo e la civiltà ritornerebbe così nei paesi in cui è nata. Dove la vegetazione è abbondante la fotochimica può essere utilizzata dalle piante con coltivazioni razionali e la radiazione solare può essere usata a fini industriali. Nelle regioni desertiche, inadatte alle coltivazioni, la fotochimica potrà essere messa al lavoro a fini utili. Nelle terre aride potranno nascere colonie industriali senza fumo e senza camini, selve di tubazioni di vetro si estenderanno nelle pianure e dovunque si eleveranno edifici di vetro nel cui interno potranno svolgersi quei processi fotochimici che finora erano un ben guardato segreto delle piante, ma che l’ingegno e l’attività umana avranno saputo mettere al lavoro in modo che diano frutti anche più abbondanti di quelli della natura, perché la natura non ha fretta mentre hanno fretta gli uomini. E se in un futuro lontano le riserve di carbone si esauriranno completamente, la civiltà non ne sarà rallentata perché durerà fino a che il Sole risplende !”</i> E Ciamician concludeva questo suo scritto con le parole: <i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="mso-fareast-font-family: 'MS Mincho';">"Se la nostra nera e nervosa civiltà, basata sul carbone, sarà seguita da una civiltà più quieta, basata sull'utilizzazione dell'energia solare, non ne verrà certo un danno al progresso e alla felicità umana ! La fotochimica del futuro non potrà essere rimandata a tempi troppo lontani; l’industria farà bene a utilizzare fin da adesso tutte le fonti energetiche che la natura offre. Finora sono state utilizzate soltanto le fonti energetiche fossili; non sarà il caso di cominciare a fare un miglior uso dell’energia raggiante ?”.<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Il pensiero e l’opera di Ciamician sono continuate nelle centinaia di “allievi”, diretti e indiretti, sparsi per l’Italia, alcuni dei quali forse non si rendono neanche conto di quanto Ciamician abbia influenzato coloro che da lui hanno imparato a sperimentare e insegnare e di quale debito essi abbiano con il lontano studioso. Nello stesso modo le migliaia di persone che operano oggi --- e opereranno in futuro --- nel campo dell’energia solare probabilmente non si rendono conto di quanto anch’essi siano “allievi” dell’intuizione e della preveggenza espresse da Ciamician nei suoi scritti di oltre un secolo fa.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoFooter" style="margin: 0cm 0cm 0pt; tab-stops: 35.4pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
(1) Margherita Venturi (a cura di), “Ciamician, profeta dell’energia solare, Atti del convegno storico-scientifico in occasione della celebrazione del 150° anniversario della nascita di Giacomo Ciamician (1857-1922), Bologna, Università, Istituto chimico G. Ciamician, 16-18 settembre 2007”, Milano, Fondazione Eni Enrico Mattei, s.d. (ma 2009)</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i><br style="mso-special-character: line-break;" /></i></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
giorgio nebbiahttp://www.blogger.com/profile/12979392991314267930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2346082185157007677.post-80453092323422506482012-07-09T23:50:00.005-07:002013-08-16T03:06:45.567-07:00SM 3547 -- Azoto amico e nemico -- 2011<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<i><u>La Gazzetta del Mezzogiorno</u></i>, martedì 10 luglio 2012</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<i><u>Fertilizzanti</u></i>, <i><u>15</u></i>, (3), 16-17 (2013)<br />
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: center;">
Giorgio Nebbia <a href="mailto:nebbia@quipo.it">nebbia@quipo.it</a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Un recente studio pubblicato nella rivista americana “Science” ha richiamato l’attenzione su un aspetto ecologico sottovalutato: l’inquinamento dell’aria e delle acque<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dovuto ai composti dell’azoto. Strano elemento questo azoto; il nome (da due parole greche, ”a”, negazione, e “zoo”, vita) dice che, come gas, non ha niente a che fare con la vita, eppure molti suoi composti sono presenti, anzi essenziali, in tutte le forme della vita e altri sono fonti di danni alla salute. L’azoto allo stato di gas è il principale componente dell’atmosfera che ne contiene l’80 percento; l’ossigeno è il restante 20 percento; in tutti gli organismi viventi l’azoto si trova per lo più sotto forma di molecole nelle quali è combinato con gli altri elementi essenziali: carbonio, idrogeno, ossigeno.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<a name='more'></a><br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
L’azoto, così come si trova nell’atmosfera, è un gas inerte e si combina con altri elementi soltanto con reazioni chimiche o biologiche alquanto complicate. Per esempio l’azoto atmosferico si combina con l’ossigeno, trasformandosi in ossidi di azoto, durante le scariche elettriche, i fulmini, dei temporali, a temperature di migliaia di gradi. Ho parlato di ossidi di azoto, al plurale, perché i prodotti di combinazione dell’azoto con l’ossigeno sono almeno cinque, con differenti rapporti fra azoto e ossigeno. Gli ossidi di azoto gassosi sono trascinati a terra dalle piogge e si disperdono nel terreno da dove i composti dell’azoto sono assorbiti dalle piante e trasformati in molecole solide, gli amminoacidi e poi in proteine che sono i prodotti di combinazione di vari amminoacidi (una ventina quelli più comuni). I nomi di alcuni sono anche abbastanza noti quando si parla delle diete: lisina, metionina, triptofano, eccetera. Azotate sono anche le quattro “basi” (adenina, cistina, guanina, timina) presenti nel DNA, la sostanza fondamentale per l’intera vita.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Per facilitare la vita vegetale la natura ha predisposto che le piante di un’intera famiglia, le leguminose (fagioli, piselli, soia, acacie, eccetera), siano capaci, grazie ad alcuni batteri presenti nelle loro radici, di utilizzare direttamente l’azoto atmosferico per “costruire” le proprie proteine. Una parte delle piante diventa nutrimento per gli animali (fra cui gli stessi esseri umani) i quali scompongono le proteine vegetali e ne utilizzano gli amminoacidi per costruire altre proteine, nel caso umano quelle del sangue, della carne, dei capelli, eccetera. </div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Nella trasformazione delle proteine alimentari nel corpo animale si formano dei prodotti azotati “di rifiuto” che si ritrovano nell’urina e negli escrementi. L’acido urico, che ha preso questo nome perché è stato isolato per la prima volta, nel 1773, dall’urina, è un composto azotato; l’ammoniaca che si trova negli escrementi, è un gas in cui l’azoto è combinato con l’idrogeno. I prodotti azotati degli escrementi animali e quelli che si formano dalle spoglie dei vegetali alla fine del loro ciclo vitale, si disperdono nel terreno e nelle acque dove sono ulteriormente trasformati in altre sostanze, fra cui i nitrati, che possono essere assorbiti dai vegetali e rientrano così nei cicli naturali. Una parte va perduta nei mari e le perdite sono reintegrate dagli ossidi di azoto formati dalle scariche elettriche dei temporali.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Tutte le cose sono andate abbastanza bene, con cicli relativamente chiusi, fino a quando la popolazione umana è rimasta abbastanza limitata. Con la rivoluzione industriale dell’Ottocento, con l’aumento del benessere e della popolazione, è aumentata anche la richiesta di alimenti e si sono cominciati a osservare i segni della scarsità dell’azoto nel terreno. Il chimico tedesco Justus Liebig (1893-1873) nella metà dell’Ottocento suggerì di aggiungere azoto, di “concimare”, il terreno con i nitrati che si trovavano nel Cile, ma anche questi si esaurirono dopo pochi decenni. I chimici Fritz Haber (1868-1934) e Carl Bosch (1874-1940), intorno al 1910 inventarono un sistema per trasformate l’azoto atmosferico in ammoniaca sintetica che poteva essere utilizzata per la produzione di concimi: oggi si producono 500 milioni di tonnellate di concimi azotati sintetici all’anno.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Più umani, più concimi, più cibo, più allevamenti animali hanno fatto arrivare nei terreni, nei mari, nell’aria, una grande quantità di composti azotati di rifiuto: un gas come l’ossido nitroso ha l’effetto di alterare il clima; il flusso di crescenti quantità delle molecole azotate dei rifiuti umani e zootecnici, nei fiumi e nei mari ha fatto aumentare alghe e organismi indesiderabili (un fenomeno noto come eutrofizzazione) che tolgono ossigeno alle acque, vere e proprie fonti di inquinamento. Come se non bastasse, alle alte temperature che si hanno nella combustione del petrolio, gas, carbone, si formano ossidi di azoto che sono veri e propri inquinanti dell’atmosfera, dannosi alla salute e responsabili anche loro dei mutamenti climatici. Ciò si verifica in particolare nei motori a scoppio a benzina o diesel nei quali il combustibile è bruciato ad alta temperatura con aria, il cui ossigeno e azoto reagiscono fra loro con formazione di inquinanti atmosferici.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Tutti volti negativi dell’elemento più indispensabile per la vita, al punto che le agenzie internazionali chiedono che vengano posti dei limiti alle emissioni nell’ambiente di composti dell’azoto da parte delle attività umane. Ci sarà bisogno di più controlli, di più laboratori e di più chimici.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
giorgio nebbiahttp://www.blogger.com/profile/12979392991314267930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2346082185157007677.post-26520080767323025532012-04-06T09:51:00.001-07:002012-04-06T09:51:21.768-07:00La Merceologia e la Chimica: cugine o sorelle ?<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
In: P.Riani (a cura di), “Fondamenti metodologici ed epistemologici, storia e didattica della chimica. Massa-Carrara 2003-2004”, Pisa, Dipartimento di Chimica e Chimica industriale, 2005, p. 218-242</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<a href="http://www.fondazionemicheletti.it/altronovecento/articolo.aspx?id_articolo=16&tipo_articolo=d_saggi&id=236">http://www.fondazionemicheletti.it/altronovecento/articolo.aspx?id_articolo=16&tipo_articolo=d_saggi&id=236</a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: center;">
Giorgio Nebbia <a href="mailto:nebbia@quipo.it">nebbia@quipo.it</a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Cugine o sorelle ? Quelle di cui stiamo cercando la parentela sono la merceologia e la chimica, due discipline, ma, direi, due modi di vedere il mondo, abbastanza imparentate anche se l'allontanamento si è fatto più visibile nel mondo accademico e col passare del tempo.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Fin dai tempi più antichi gli esseri umani hanno sentito la necessità di soddisfare i propri bisogni --- cibo, acqua, difesa del corpo contro il freddo, abitazione, movimento --- con oggetti materiali tratti dalla natura. Si trattava di vegetali o animali, di fibre tessili, di pietre, di sale ricavato dal mare; a mano a mano che le società umane si sono organizzate e che sono aumentati i bisogni, l'estrazione e trasformazione dei corpi della natura si sono fatte sempre più raffinate. D'altra parte ciascuna persona non poteva sapere tutto del mondo delle cose, però ciascuna ha raccontato ad altre quanto sapeva e ha appreso da altre le conoscenze sulla natura; forse è stato proprio questo scambio continuo che ha caratterizzato l'evoluzione degli esseri umani verso forme sempre più simili a quelle che conosciamo oggi.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<a name='more'></a><div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
In gran parte le conoscenze riguardavano le proprietà dei corpi della natura. Nello stesso tempo un numero crescente di persone doveva approvvigionarsi di alcuni oggetti o materiali da altre persone o da altri luoghi ed è nata una società basata sugli scambi. Dapprima scambi basati sul baratto --- cibo in cambio di sale, pelli in cambio di schiavi, eccetera --- poi mediati da un nuovo ente, il denaro. Qualsiasi società di cui ci sono arrivate testimonianze conosceva e registrava scambi di materia in cambio di materia o di denaro, o inventari dei beni materiali che una persona o una comunità possedeva.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
La scienza e la filosofia si occupavano di molte altre cose importanti --- l'esistenza di una divinità, il moto dei pianeti, i diritti delle persone --- ma il mondo è sempre andato avanti con il progredire e col diffondersi delle conoscenze degli oggetti e con i loro scambi. Per semplicità chiamerò "merci" i beni fisici, materiali, tratti dalla natura e trasformati col lavoro umano in oggetti utili, tralasciando il modo in cui venivano scambiati.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Chiamerò merceologia la conoscenza dei corpi materiali, fisici, tratti dalla natura, trasformati e usati dagli esseri umani. Tale conoscenza poteva essere cercata e perfezionata per fini di pura curiosità, per fini pratici, per fini di scambi e di arricchimento, poteva essere rivolta a beni essenziali, come il cibo o i materiali da costruzione di una abitazione, o poteva essere rivolta a oggetti del tutto inutili o frivoli, come pietre preziose o profumi o droghe o tessuti o pelli di lusso che parlavano un linguaggio non di necessità, ma di prestigio o piacere, erano segnali di potenza e di ricchezza.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Sta di fatto che, dai tempi più antichi, le conoscenze delle cose pratiche e utili si trovano in tutte le società organizzate. Qui di seguito eviterò qualsiasi giudizio sul grado di "civiltà" delle comunità che incontreremo. Le opere "scientifiche", geografiche, mediche, giuridiche, sono anch'esse costrette ad utilizzare e sono fonti di conoscenze merceologiche perché le malattie si curano con erbe o radici, perché le controversie giudiziarie si riferiscono in gran parte a scambi merceologici.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Si potrebbe fare una utile ricerca per trovare nelle fonti storiche le conoscenze del tempo in cui sono state scritte. Ci sono alcuni testi che rappresentano per il merceologo una fonte di continue sorprese: la "storia naturale" di Plinio si può considerare una vera e propria enciclopedia merceologica; la "Materia medica" di Dioscoride è una raccolta delle conoscenze di piante e animali che sono stati riconosciuti utili a curare malattie: praticamente di tutti i corpi offerti dalla natura.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Oggetti materiali sono stati usati nei riti religiosi come offerte alle divinità, come ornamenti dei sacerdoti; ce ne sono innumerevoli prove nella Bibbia e nei relativi commenti, soprattutto nella cultura ebraica; quali tipi di incenso erano adatti per le cerimonie, quali tipi di mirra erano adatte per la conservazione dei cadaveri, eccetera.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Già in questa prima fase nasce una delle attività di maggiore interesse, anche se trascurata negli studi seri: quella delle falsificazioni e frodi nello scambio delle merci. Il trasporto delle merci in zone lontane era faticoso e costoso e ben presto qualcuno ha scoperto che era possibile guadagnare di più miscelando merci pregiate con altre meno pregiate e che un acquirente poco esperto poteva essere facilmente ingannato.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Le frodi potevano essere svelate con saggi empirici, ma qualche volta richiedevano metodi più sofisticati. Si cita sempre il caso di Archimede che svela l'inganno dell'orefice del suo ospite Gerone che aveva confezionato con metalli più vili una corona che avrebbe dovuto essere d'oro; Archimede svelò l'inganno misurando il peso specifico della corona con quella di una equivalente massa di oro puro, scoprendo, così si dice, uno dei principi fondamentali della fisica.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Notizie sulle falsificazioni e frodi si trovano in Plinio, Dioscoride, nella Bibbia e probabilmente in molti altri testi antichi che meriterebbero di essere esplorati alla ricerca di testimonianze di una delle più antiche attività delittuose.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Una nuova ondata di conoscenze merceologiche si ha con la diffusione del mondo e della cultura islamica la cui religione non scoraggiava le attività commerciali, ma ne regolava la moralità; nel loro movimento dalle coste atlantiche dell'Africa alle isole dell'Oceano Pacifico, dall'Europa all'Africa centrale, avendo la Mecca in Arabia come doveroso punto di attrazione religiosa, i "fedeli" conoscevano un maggiore numero di oggetti e avevano crescenti occasioni di commerci e dovevano regolare la qualità di quanto compravano.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Le frodi nell'Islam era considerate una forma di peccato e lo stato aveva quindi dei propri uffici e funzionari addetti alla repressione delle frodi; i funzionari utilizzavano dei metodi fisici --- il confronto fra pesi specifici --- ma anche dei saggi che erano già "chimici" per distinguere le merci genuine da quelle sofisticate. Fortunatamente ci sono pervenuti numerosi trattati e manuali che permettono di dare uno sguardo su questa mondo in cui la merceologia incontra una chimica ancora ai suoi primi passi.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Ma è intorno al Cinquecento che le conoscenze merceologiche si fanno più raffinate e che un crescente numero di scienziati e tecnici cercano di capire come le materie della natura vengono trasformate e secondo quali "leggi" che cominciano ad essere leggi "chimiche". La massa di informazioni chimico-merceologiche aumenta rapidamente di anno in anno, principalmente nel campo della metallurgia, sia sotto la spinta di ottenere metalli tecnici più adatti per armature, cannoni, spade, sia sotto la spinta di ottenere metalli preziosi possibilmente evitando le complicate operazioni di estrazione. dei metalli genuini.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
La conquista delle "Americhe" fece affluire in Europa non solo le merci tradizionali delle lontane Indie, scoperte ora nelle nuove terre, ma anche merci del tutto nuove, come la patata, il pomodoro, il tabacco, e una gran massa di metalli preziosi. E' dal Cinquecento in avanti che anche le conoscenze chimiche si raffinano, essenzialmente a fini merceologici per migliorare i processi di trasformazione dei prodotti naturali e per sventare le sofisticazioni e le frodi.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Fino al Seicento non compare la parola chimica in senso moderno e neanche la parola merceologia come disciplina scientifica, anche se i primi due secoli della chimica vedono la nuova scienza impegnata a risolvere problemi pratici, merceologici, a capire come è possibile perfezionare processi di produzione delle merci.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Nel corso del Settecento l'interesse degli intellettuali è rivolto alla comprensione dei processi di trasformazione delle materie naturali in merci: il più importante esempio è offerto dall'"Enciclopedia" che intende parlare di arti e mestieri, cioè di processi di produzione e trasformazione delle materie naturali e delle merci. L'opera a cui si attribuisce la spinta per le trasformazioni culturali più importanti della società e la nascita della società moderna e democratica è un'opera tecnico-merceologica.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Nel Settecento si moltiplicano i dizionari e le enciclopedie merceologiche, comincia a comparire, negli scritti tedeschi, la parola Warenkunde, o scienza delle cose, delle merci, la merceologia, insomma, e la stessa parola compare per la prima volta nel titolo di un libro scritto dall'economista, intellettuale e studioso tedesco Johann Beckmann (1739-1811) nel 1793.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
E' interessante notare che i primi scrittori di merci erano economisti e storici e non chimici e da qui merceologia e chimica sembrano camminare su due piani poco comunicanti, benché i chimici continuino ad occuparsi di prodotti di commercio e i merceologi abbiamo sempre più bisogno di strumenti e conoscenze chimiche per descrivere e conoscere le merci e per svelare le frodi.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Altrettanto curioso è il fatto che, quando diventano insegnamento nelle scuole superiori o nell'Università, la chimica venga accolta fra le discipline "naturalistiche" e la merceologia finisca fra gli insegnamenti economici; come insegnamento la merceologia compare nelle scuole commerciali europee --- Germania, Austria, Italia anche Russia --- spesso insegnata da chimici. Ugualmente curioso è il fatto che la merceologia non figura, neanche come nome proprio, nelle lingue francese e anglosassoni, tanto che per parlarne occorre ricorre a perifrasi --- commodity science, science des merchandises --- che non rendono giustizia del contenuto culturale della merceologia, tanto più che in inglese commodities, goods e merchandises hanno diversi significati pur rientrando tutte e tre le parole nel termine italiane "merci", che si tratti di petrolio, zucchero, semi oleosi, oggetti utili, benzina, conserva di pomodoro o scarpe.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Mentre è facile riconoscere la storia, tutta in salita, delle discipline chimiche nelle scuole e nelle università, la storia della merceologia fra le discipline economiche ha avuto alterne e non felici vicende.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
La merceologia è oggetto di insegnamento nelle prime scuole superiori di commercio ad Anversa nel 1852, e a Parigi nel 1861. Ad Anversa si insegnava storia naturale dei prodotti commerciali e merceologia ed esisteva un laboratorio chimico e un museo merceologico. A Parigi venivano impartiti corsi di chimica applicata, fisica applicata, materie prime e prodotti commerciali, meccanica industriale.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Cominciano a comparire i primi libri riconducibili a interessi merceologici. Il prof. Karl Hassak (1861-1929) a partire dal 1886 insegnò merceologia nell'Accademia commerciale di Vienna dove fondò un centro per la raccolta e lo scambio del materiale geografico-merceologico. E' interessante notare gli intrecci della merceologia con la geografia, oltre che con la chimica. Nel 1896 Hassak passò ad insegnare nell'Accademia commerciale di Graz di cui divenne direttore nel 1907. Vari trattati di merceologia di Hassak furono tradotti anche in italiano e divennero testi standard a partire dai primi anni del Novecento. Ancora nell'Ottocento appaiono i primi trattati di merceologia e si ha la creazione delle prime cattedre di questa disciplina in Russia.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Del resto tutti i trattati di economia, dalla fine del Settecento in avanti, cominciano con un capitolo intitolato "Le merci"; è così anche per "Il Capitale" di Kal Marx (1818-1883) che fin dall'edizione del primo libro del 1867, proprio nel primo capitolo parla della merceologia sottolineando che le merci hanno un valore d'uso e un valore di scambio. Del valore d'uso, scrive Marx, si occupa "ein eigener Disziplin, der Warenkunde", la merceologia, appunto, del valore di scambio si occupa lui stesso nella lunga critica dell'economia e del valore nella società capitalistica.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Il primo ingresso della merceologia in Italia come materia di insegnamento si ebbe nelle scuole medie superiori ad opera di Arnaudon, professore presso l'Istituto Tecnico di Torino. Egli ottenne che nel 1869 la merceologia venisse introdotta come materia obbligatoria nei programmi degli Istituti tecnici, ma la mancanza di musei merceologici e di laboratori chimici fece sì che l'insegnamento scadesse e che la materia fosse eliminata dai programmi delle scuole medie; soltanto con la fine dell'Ottocento la disciplina è stata di nuovo introdotto negli Istituti tecnici e nelle Scuole commerciali.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Nel frattempo alle prime Scuole superiori di commercio straniere seguirono, nella seconda metà dell'Ottocento, varie simili scuole in Italia. La Scuola superiore di commercio di Venezia fu fondata nel 1868, quella di Genova nel 1884, quella di Bari nel 1886. Le scuole superiori di commercio si proponevano di preparare degli operatori economici e commerciali in grado di affrontare la società del tempo: è il periodo in cui in Italia, con alcuni decenni di ritardo rispetto ai paesi stranieri, nasce la società capitalistica e operaia e l'intraprendere ha ancora il carattere di improvvisazione e di avventura.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Non fa meraviglia, quindi, che le discipline "pratiche" avessero un ruolo importante; le conoscenze naturalistiche necessarie per riconoscere le merci, per svelare le frodi, rispondevano alle esigenze della nuova classe mercantile. In queste prime scuole superiori di commercio la merceologia era insegnata per due o tre anni; per lo più ispirata al modello tedesco, aveva carattere essenzialmente strumentale e descrittivo; di ciascuna merce venivano descritti gli aspetti botanici e mineralogici e venivano messe in rilievo le proprietà atte alla classificazione a fini doganali, le falsificazioni e frodi. Spesso le cattedre erano dotate di laboratori chimici che talvolta venivano messi a disposizione degli operatori economici per controlli e analisi.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Nel 1885 il prof. Giuseppe Novi (820-1906) scrisse a Napoli un lungo saggio che raccomanda l'istituzione di una scuola superiore per lo studio dei prodotti commerciali e delle risorse naturali destinata ad insegnare ad una nuova classe di operatori economici e di commercianti come far fronte ad un mondo in continua evoluzione. Novi suggeriva anche l'istituzione di un museo merceologico sotto la responsabilità di un professore di merceologia, coadiuvato da professori di geografia, storia ed economia dei prodotti di commercio.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Comunque<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>per tutto il XIX secolo, nei paesi in cui è stata<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>praticata e insegnata, la Merceologia non si è discostata dalla originale impostazione descrittiva: una specie di botanica, zoologia o mineralogia delle merci. I musei merceologici erano delle collezioni di campioni di prodotti commerciali, essenzialmente di origine naturale; i laboratori si occupavano della caratterizzazione delle merci e di svelarne le frodi attraverso i metodi resi disponibili dalla chimica e dalla fisica.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
In Italia, per esempio, il Laboratorio Centrale e quelli<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>periferici<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dell'amministrazione delle Dogane sono stati importanti centri di ricerca merceologica<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e molti loro funzionari --- a cominciare dal primo direttore Vittorio Villavecchia (1859-1937) del Laboratorio centrale di Roma --- sono poi passati a insegnare Merceologia nelle Università.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Una importante svolta negli studi economici si è avuta all'inizio del Novecento quando il termine "economico" si è andato ad affiancare a quello "commerciale" per caratterizzare gli studi superiori in Italia. Alle materie pratiche, fra cui dominava la merceologia, si sono affiancate quelle teoriche economiche; venivano fondate in questo periodo la Libera Università commerciale Luigi Bocconi di Milano nel 1902, e le Scuole superiori di commercio di Torino (1905), di Roma (1906), Palermo (1918), Catania (1919), Napoli (1920), Trieste (1923, ma preesistente come scuola con ordinamento speciale fin dal periodo austroungarico), Firenze (1926) Bologna (1929), eccetera.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Col prevalere delle discipline economiche e aziendalistiche l'insegnamento della merceologia veniva ridotto da biennale ad annuale. A mano a mano che le Scuole superiori di commercio, agli inizi del XX secolo, si sono trasformate in Facoltà universitarie economiche, alla merceologia sono stati lasciati spazi sempre più ristretti e la disciplina è stata spesso considerata marginale nei nuovi indirizzi di studio. La durata dell’insegnamento diminuì da tre, a due, a un solo anno di corso, proprio in un periodo in cui la merceologia era (sarebbe stata) destinata ad assumere nuova crescente<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>importanza, di fronte alla grande rivoluzione merceologica del XX secolo: l'invenzione dei processi di fabbricazione dei concimi<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>per via artificiale dalla calce e dal carbone (calciocianammide); con la sintesi dell'ammoniaca e la produzione dei suoi derivati partendo dall'idrogeno dell'acqua e dall'ossigeno dell'aria; con l'invenzione delle prime fibre tessili artificiali (cellulosa<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>modificata) e poi sintetiche, e dei primi tipi di gomma sintetica; con i nuovi metalli; con i nuovi carburanti derivati dal petrolio, eccetera.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
A differenza delle altre discipline che si sono adeguate alle nuove esigenze e ai nuovi tempi, la merceologia restava legata alla sua impostazione originale; questo era dovuti anche al fatto che le merceologia dell'epoca era dominata da una figura di grande rilievo e prestigio, quella già ricordata di Vittorio Villavecchia al quale si deve fra l'altro un celebre "Dizionario di merceologia" la cui prima edizione risale al 1896 e l'ultima, in quattro volume, al 1929-1932. Villavecchia tenne, come si è accennato, per vari decenni contemporaneamente la cattedra universitaria di merceologia nell'Università di Roma e la direzione del Laboratorio chimico centrale delle Dogane e restò legato --- e legò i suoi allievi e successori --- ad una tradizione tipicamente descrittiva, come se la merceologia avesse come principale scopo quello di insegnare a risolvere problemi di classificazione delle merci.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
La seconda svolta negli studi economici si ebbe fra la prima e la seconda guerra mondiale; la grande crisi degli anni trenta del Novecento portò gli studiosi di problemi economici a occuparsi prevalentemente degli aspetti monetari e finanziari e si fece più profonda la crisi della merceologia, ormai ridotta comunque nelle università italiane ad insegnamento annuale ed ebbe spazi sempre più ristretti nelle Facoltà di Economia e Commercio, secondo la nuova denominazione assunta, a partire dal 1935, dalle antiche Scuole superiori di commercio.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
La merceologia rimase, fino alla recente riforma, come insegnamento negli Istituti tecnici commerciali, triennale, con laboratori chimici, negli Istituti ad "indirizzo mercantile", sempre di meno, e come materia annuale negli Istituti a indirizzo "amministrativo".</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
La vera grande svolta negli studi merceologici si è però avuta dopo la seconda guerra mondiale: alle merci ottenute dai prodotti naturali, o attraverso limitate trasformazioni dei prodotti naturali, si sono affiancate, in numero crescente, delle<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>merci artificiali o sintetiche, anche del tutto nuove, fabbricate attraverso<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>profonde<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>modificazioni fisiche o chimiche delle risorse naturali.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
La merceologia non poteva più accontentarsi della descrizione dei prodotti naturali e delle merci da essi derivati, ma doveva affrontare lo studio della fabbricazione, dei caratteri e delle proprietà dei nuovi materiali e del loro valore commerciale. La ricerca del "valore" delle nuove merci presupponeva l'esame e la conoscenza dell'intero ciclo produttivo di trasformazione delle materie prime nei prodotti intermedi e nei numerosi manufatti commerciali.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Dalla raffinazione del petrolio si formano, per esempio, delle frazioni di "virgin nafta" che vengono poi trasformate industrialmente, per cracking, in varie altre sostanze, alcune adatte per la produzione di olefine (materie prime per le materie plastiche); altre adatte per la produzione della gomma sintetica; altre dotate di proprietà solventi o utilizzate come materie di base per detersivi, eccetera. Oltre al petrolio --- merce naturale --- anche queste numerose materie intermedie sono "merci",<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>così come sono merci le materie plastiche, i detersivi sintetici, i solventi, ciascuna delle quali merci richiede nuove tecniche di analisi e di indagine.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Con l'aumento del numero delle merci è aumentata anche la complessità dei prodotti oggetti di studio. Un manufatto di gomma naturale era, alla fine del XIX<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>secolo, una merce relativamente "semplice"; un copertone di gomma odierno è una merce "complessa" costituita da diversi tipi di gomma naturale e sintetica miscelati fra loro, da additivi, da materiali di rinforzo, eccetera.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
E' diventato così sempre più difficile presentare agli studenti o al pubblico un quadro complessivo della scienza<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>merceologica, o attrezzare dei laboratori merceologici. Nell'insegnamento ci si è dovuti per lo più limitare a trattare la trasformazione di alcune materie prime in alcune merci semplici intermedie, escludendo la gran parte delle merci "complesse" che raggiungono e interessano l'operatore economico e il consumatore.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
La maggior parte dei corsi universitari di merceologia, per esempio, è costretta a trattare, della siderurgia, i processi che partono dai minerali e arrivano ad alcuni manufatti di acciaio di prima trasformazione o intermedi, trascurando del tutto lo studio o la descrizione delle lamiere, della banda stagnata, delle carrozzerie di automobili, delle pentole, e dei mobili, che pure sono tutte merci "complesse", costituite da numerosi<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>differenti parti, di grande importanza.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Fino alla fine degli anni sessanta del Novecento gli insegnanti di merceologia erano prevalentemente chimici, così come chimici erano in gran parte i docenti di merceologia nelle scuole secondarie superiori. In queste ultime i chimici hanno trovato sempre meno gratificazione, con corsi di dimensioni ridotte con "libri di testo" spesso scadenti<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e superati, e molti docenti hanno cercato di migrare verso insegnamenti di chimica in Istituti in cui avere maggiori soddisfazioni culturali.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
In molti Istituti tecnici sono scomparsi i laboratori chimici, costosi e poco apprezzati dai presidi, e a poco a poco sono anche diminuiti i docenti di educazione chimica, sostituiti nell'insegnamento da laureati in scienze naturali che di chimica e merceologia sapevano ben poco. Non solo: nei corsi di laurea in chimica non è quasi mai stata insegnata merceologia per cui i chimici che hanno insegnato merceologia, negli Istituti tecnici o nelle Università, hanno dovuto imparare per proprio conto, talvolta bene, talvolta male, quel tanto o poco di merceologia che dovevano insegnare.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Nello stesso tempo lo spazio della merceologia nelle Facoltà di studi economici si è sempre ristretto; per molti docenti della Facoltà la merceologia era "chimica", era "troppo chimica" per gli studenti e i laboratori chimici di ricerca erano inutili spese sottratte ad altri impieghi più utili ai fini degli studi economici.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Al punto che dal 1970 è stato sempre più difficile trovare laureati in chimica che avessero voglia di affrontare la carriera universitaria in merceologia e l'insegnamento è stato affidato ad un numero crescente di laureati in economia che di merceologia sapevano quel poco che avevano imparato all'università e che mancavano delle basi culturali, che necessariamente sono chimiche e naturalistiche, indispensabili per insegnare merceologia.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
L'ultimo colpo al divorzio definitivo fra chimica e merceologia si è avuta con la riforma della scuola superiore del 1996 e con la totale eliminazione dell'insegnamento della merceologia dagli Istituti tecnici commerciali riformati e la segregazione della merceologia in poche scuole professionali o in pochi indirizzi degli Istituti tecnici femminili. Ironicamente anche la cugine o sorella chimica spariva come nome, relegata in una equivoca "Scienza della materia" con programmi che pure dovrebbero avere un contenuto "tecnico" e merceologico. Un gran pasticcio in questa gran moda di cambiare nomi consolidati con altri che non si sa che cosa significhino esattamente.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Eppure si stanno realizzando le condizioni culturali e tecnico-scientifiche che mostrano che la stretta integrazione fra discipline chimiche e merceologiche sarebbe essenziale per risolvere molti dei problemi della società contemporanea..</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
I segni della svolta, per chi li avesse voluti intendere, c'erano già fin dagli anni cinquanta del Novecento quando il prof. Walter Ciusa (1906-1990) dell'Università di Bologna ha suggerito che il vero ruolo della merceologia consisteva nello studio e nell'analisi dei cicli produttivi con cui le materie prime vengono trasformate in materie intermedie e nelle merci finali, dei rendimenti di trasformazione, della destinazione dei vari prodotti.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
A titolo di esempio lo studio tradizionale della merce "cereali" consisteva nell'esaminare i vari tipi di frumento, il processo di macinazione, la qualità degli sfarinati e delle merci finali derivate: pane e pasta alimentare. L'analisi dell'intero ciclo produttivo mette in evidenza l'intero ciclo di formazione dei vegetali, il bilancio fisico e chimico di materia richiesta per la coltivazione, e poi i caratteri e le utilizzazioni dei sottoprodotti e co-prodotti della trasformazione dei cereali: i vari tipi di amido e derivati, materie prime per molte merci che vanno dalle colle, all'alcol etilico impiegato come carburante in miscela con la benzina. A fianco dell'amido si ottengono concentrati proteici utilizzabili come mangimi o come materie prime per sostanze plastiche.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Il ragionamento può essere facilmente esteso con l'analisi dei numerosi cicli produttivi di interesse economico, dai minerali all'acciaio e all'alluminio, dal petrolio a tutti i derivati prima ricordati e del destino di ciascuno di essi nella grande circolazione di materia che attraversa l'economia di ogni paese.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
A partire dal 1964 hanno cominciato ad essere istituite delle cattedre universitarie autonome<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>"Tecnologia dei cicli produttivi" o dei "processi produttivi". Lo studio dei processi di produzione e di uso delle merci ha permesso di affrontare alcuni interessanti problemi. Per esempio per ciascun processo produttivo viene (dovrebbe essere) analizzato il “bilancio" o la contabilità in unità fisiche di massa e di energia. Vari processi produttivi sono così confrontati sulla base della quantità di materia e di energia che consente di ottenere la stessa unità della stessa merce, o di merci differenti (per es.: tessuti, detersivi, adesivi) in grado di svolgere le stesse funzioni.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
E' evidente che questo cammino può essere fatto soltanto sulla base di accurate conoscenze chimiche, l'unica scienza che si occupa di bilanci materiali, che rappresenta una specie di "ragioneria" o contabilità dei processi e della natura. Eppure proprio negli insegnamenti di chimica è cresciuto il fastidio per il carattere materiale e utile dei processi e si è accentuata la distanza fra merceologia e chimica, proprio quando aumentavano le occasioni di incontri e di fusione.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
L'analisi del bilancio materiale dei processi e dei cicli produttivi, di trasformazione della natura, consente di sviluppare delle scale di "valori" indipendenti dal costo o dal prezzo monetari considerati dall'economia tradizionale. "Vale" di più, per esempio, una merce che svolge la stessa funzione con minore consumo di energia o con minore consumo di petrolio o di altre materie prime. In un certo senso viene così ricuperato quel concetto di "valore<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>d'uso" che Marx nel "Capitale" aveva<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>riconosciuto come fine dell’indagine della merceologia.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Considerazioni simili sono state proposte per correlare il prezzo monetario degli alimenti col loro "contenuto" di valore energetico o di proteine, col che è possibile stabilire quali alimenti forniscono energia e<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>proteine al minimo prezzo monetario.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
L'importanza della nuova impostazione della merceologia appare ancora maggiore alla luce della crescente attenzione per i problemi ambientali. L'inquinamento dell'aria, dell'acqua o<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>del suolo, sono per lo più dovuti all'immissione, in tali corpi riceventi naturali, dei sottoprodotti o delle scorie della produzione e dell'uso delle merci. Per conoscere gli effetti negativi di tali scorie sull'ambiente e per affrontare i relativi rimedi (depurazione, riciclo, eccetera), occorre<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>avere delle informazioni dettagliate sulle quantità di materia e di energia che<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>complessivamente "attraversano" ciascun ciclo produttivo.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
La merceologia, in quanto scienza degli oggetti destinati al commercio, all'uso umano, si occupa principalmente della quantità di materia e di energia che porta all'unità di peso di merce considerata; è però facile estendere l'analisi comprendendo anche la quantità e la composizione sia delle materie che si "acquistano" dalla natura senza pagare alcun prezzo monetario, sia dei sottoprodotti che non vengono "venduti" per denaro a nessuno e che vengono reimmessi senza alcuna spesa nell'ambiente.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Estendendo correttamente il concetto di "merce" a tutto quello che viene scambiato, indipendentemente dal fatto che sia scambiato con l'intermediazione del denaro, si può ben dire che la merceologia si può (si deve) occupare anche degli scambi di "merci" o beni fisici non associati allo scambio di denaro e può redigere una contabilità fisica, naturale, di tali scambi e pertanto della circolazione complessiva della materia e dell'energia dalla natura, ai processi di produzione e di consumo, fino al loro ritorno nella natura sotto forma di merci usate, residui, scorie, rifiuti: della circolazione, cioè, natura---merci---natura.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Ad esempio nella fabbricazione dell'acciaio occorre certamente del minerale di ferro, del carbone o del petrolio, e del calcare; quattro merci che il produttore acquista in cambio di denaro. Ma il funzionamento dell'altoforno (l'impianto che trasforma il ferro del minerale nella ghisa) e il funzionamento del "convertitore" (il dispositivo che trasforma la ghisa in acciaio) sono possibili soltanto se l'impianto "acquista" anche, pur non pagando per esso alcun prezzo, l'ossigeno dall'aria atmosferica. Nel corso del processo inoltre si formano sottoprodotti e scorie solide, liquide e gassose che vengono immesse nell'ambiente circostante peggiorandone la qualità.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Più in generale, le scorie e i rifiuti di ogni attività di produzione e di consumo sono sostanze costituite di materia e potenzialmente portatrici anche di energia. Esse possono essere vere "merci negative" in quanto fonti di alterazione dei corpi riceventi naturali in cui vengono gettate, fonti, cioè, di inquinamento. Oppure una parte delle scorie e dei rifiuti può essere<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ricuperata e può diventare "materia seconda" con cui fabbricare nuove merci, uguali o praticamente uguali a quelle che si ottengono con le "materie prime" tradizionali.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Non a caso ormai nel parlare comune --- e anche in alcune disposizioni legislative --- si parla di qualità o di composizione "merceologica" dei rifiuti. I processi di riciclo, cioè di trasformazione della carta usata in carta nuova, del vetro usato o degli imballaggi di ferro o di alluminio in nuova carta, vetro, ferro, alluminio, sono dei veri processi produttivi come quelli che partono dal legno o dalla sabbia o dai minerali.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Ma, ripeto ancora una volta, nessuna "valutazione", cioè espressione del "valore", di una merce o di un processo può essere fatta senza una adeguata conoscenza degli aspetti chimici delle materie, tutte, sia dotate sia prive di valore monetario, ma tutte dotate di valore fisico, materiale.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
La merceologia ha un ruolo importante anche nell'informazione e nell'educazione dei consumatori. Nelle abitazioni e nella vita quotidiana entrano innumerevoli merci, ciascuna con un nome e con caratteristiche stabilite da leggi; tali leggi, da alcuni anni a questa parte,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sono in genere uguali per tutti i paesi dell'Unione europea.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Col crescere del mondo delle merci diventa sempre più difficile per il commerciante conoscere che cosa vende; a maggior ragione per il consumatore non specializzato diventa sempre più difficile capire e "leggere" le etichette degli oggetti che trova nei negozi. In un certo senso si può dire che le merci "parlano", con le loro etichette, ma che il consumatore fa<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sempre più fatica a comprendere il messaggio che riceve.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Da qui l'importanza di una informazione ed educazione merceologica dei consumatori, che sono poi tutta la popolazione di un paese. Con la riforma del 1977 nella scuola secondaria inferiore è stato introdotto l'insegnamento di "Educazione tecnica", triennale obbligatorio, che prevedeva nei suoi programmi una vasta parte<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di informazioni sugli oggetti e sulle merci<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>con cui lo studente viene e verrà a contatto. Tale educazione avrebbe dovuto aiutare i cittadini a comprendere meglio e a distinguere fra i numerosi messaggi pubblicitari che lo raggiungono attraverso i grandi mezzi di comunicazione.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Sfortunatamente, benché un numero crescenti di riviste a larga tiratura e anche di<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>enciclopedie popolari si occupino di problemi di alimentazione, tessuti, detersivi, cosmetici, eccetera, manca una rivista dedicata proprio alla divulgazione nel campo merceologico (la "Rivista di merceologia" ha carattere scientifico e limitata tiratura) e manca una "enciclopedia merceologica" (se si eccettua un rifacimento, molto tecnico, pubblicato da Hoepli in 7 volumi, apparsi negli anni 1971-1977, del "Dizionario di<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>merceologia", di V. Villavecchia, la cui<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>quinta<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e ultima edizione risale agli anni trenta del Novecento).</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Da<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>qualche anno a questa parte si è anche sviluppato un filone di interesse per gli aspetti<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>più<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sociali delle operazioni di produzione e di uso delle merci; in qualche Università sono stati istituiti degli insegnamenti di "Tecnologia sociale" (un termine usato anche con un secondo significato, completamente diverso, di uso di strumenti tecnici nell'indagine sociologica). Nell'ambito degli studi merceologici il termine "Tecnologia sociale" è stato usato nel senso indicato nel 1934 da Lewis Mumford (1895-1990) nel libro: "Tecnica e cultura", cioè come studio degli effetti sociali dei processi di produzione e consumo delle merci e delle relative innovazioni, ma poi anche questo termine è stato abbandonato nelle Università italiane.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Rientra in questa linea l'esame degli effetti ambientali, già ricordati, dell'irrazionale smaltimento dei rifiuti, degli effetti del pericolo di esaurimento delle riserve di risorse naturali (petrolio, carbone, acqua, foreste, animali), rinnovabili o non rinnovabili, in seguito all'eccessiva produzione delle merci, dei rapporti fra disponibilità di alimenti e popolazione, eccetera.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
La merceologia, quando è stata insegnata e studiata soprattutto nelle Scuole secondarie e nelle Facoltà di carattere economico e commerciale, è strettamente legata a, e fornisce la base per, altre discipline come la geografia economica e la stessa storia economica, la tecnica commerciale e industriale e delle ricerche di mercato, la chimica analitica applicata, la chimica industriale e anche certi campi delle scienze ingegneristiche. Benché ormai praticamente espulsa dalle scuole secondarie superiori e in via di estinzione anche nelle Università, la scienza merceologica avrebbe ancora molte cose da studiare e da insegnare.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
I<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>problemi dell'energia presuppongono la descrizione e la valutazione sperimentale dei caratteri dei principali combustibili fossili come<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>carbone, petrolio, gas naturale, e dei loro derivati. Questa parte comprende i processi di estrazione, di trasporto e i relativi problemi ambientali, e la destinazione dei vari prodotti nei diversi settori dell'attività umana: energia per l'industria e per la siderurgia, settore dei trasporti, produzione di elettricità, riscaldamento urbano e effetti ambientali dei diversi settori.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Le fonti di energia fossili sono scarse e non rinnovabili, come mostra l'esame delle loro riserve note. E' sempre più importante usarle razionalmente e ricorrere alle<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>fonti di energia rinnovabili, come l'energia solare, quella del vento e del moto ondoso, l'energia<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>potenziale delle acque in movimento. Le merci derivate sono il calore a bassa temperatura ottenuto dal Sole o l'energia meccanica e elettrica ottenuta da macchine idrauliche o da impianti fotovoltaici. Fra le fonti di energia va inclusa l'energia nucleare e il dibattito sui suoi limiti merceologici.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Nello studio merceologico dei metalli e dei loro cicli produttivi, a fianco dei metalli principali come ferro, alluminio, rame, eccetera, assumono crescente importanza i metalli che assolvono funzioni speciali con le nuove tecniche, dal germanio e al silicio usati nei semiconduttori, al titanio e alle terre rare, ai metalli preziosi --- oro, argento, platino, palladio, rodio ---<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>i cui usi tecnici, soprattutto nell'industria elettrica ed elettronica e nei catalizzatori, superano come quantità gli usi negli ornamenti.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
I<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>materiali da costruzione tradizionali comprendono calce, cemento, ceramiche, ma anche<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nuovi materiali come manufatti di fibrocemento, materiali isolanti. Il solo problema delle ceramiche coinvolge delicati problemi di qualità, di commercio internazionale e di inquinamento.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Un importante capitolo degli studi merceologici riguarda l'industria chimica, di cui cambiano rapidamente le materie prime, i prodotti intermedi e quelli finali. Da poche materie di base ---<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>petrolio, gas naturale, azoto dell'aria, zolfo, calcare --- vengono fabbricate le numerose<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>importanti merci dell'industria chimica "primaria", successivamente trasformati in intermedi dalla "chimica secondaria" fino ai prodotti che arrivano nelle nostre case come fibre artificiali e sintetiche, detersivi, cosmetici, arredi domestici, mobili, imballaggi, eccetera.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Mentre i precedenti argomenti riguardano merci ottenute dallo "sfruttamento" di risorse naturali non rinnovabili, minerali e rocce e materiali fossili le cui riserve sono più o meno vaste, un grande capitolo della ricerca merceologica riguarda le merci ottenute dalla trasformazione delle materie del regno vegetale e animale, cioè basate su materie rinnovabili dipendenti dal ciclo naturale del carbonio.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Fra i vegetali un posto primario occupano i cereali<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di cui la merceologia studia e analizza i caratteri, la provenienza, i derivati destinati all'alimentazione, umana e degli animali da allevamento, ma anche ad usi industriali, rivolgendo la propria attenzione anche alle disuguaglianze nella disponibilità di alimenti nelle varie parti del mondo.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
I prodotti forestali alimentano un importante commercio internazionale e le industrie della carta, dei pannelli e dei mobili; i danni dell'eccessivo sfruttamento delle risorse forestali, che si rinnovano soltanto<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>lentamente, possono essere ridotti con la produzione di carta nuova dalla carta straccia o ricorrendo a materiali<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>cellulosici a rapida crescita.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Nell'analisi dei prodotti di origine vegetale rientrano importanti casi di materie industriali "naturali" per esempio le fibre tessili e la gomma, che subiscono la concorrenza dei corrispondenti prodotti sintetici. L'evoluzione di tale concorrenza appare meglio se si esaminano comparativamente le somiglianze e le diversità dei caratteri merceologici dei prodotti naturali e sintetici.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
I prodotti alimentari vegetali stanno alla base, a loro volta, della "produzione" di alimenti di origine animale; l'allevamento del bestiame presuppone la disponibilità di pascoli o di mangimi e<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>fornisce alimenti carnei, ma anche prodotti industriali, come i pellami (la<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>materia<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>prima per l'industria del cuoio, delle pelli, delle scarpe, ecc.) e vari sottoprodotti della macellazione.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Infine un<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>importante capitolo riguarda la "merce" acqua, considerata generalmente un bene disponibile in quantità illimitata, ma che si rivela, in molte zone, scarsa, soprattutto se ci si riferisce alla disponibilità di acqua potabile di buona qualità igienica e "merceologica". L'acqua dissalata, ormai prodotta su larga scala nel mondo, è una vera e propria merce "fabbricata" dal mare con processi che consentono di eliminare i sali e di ricuperare acqua dolce.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
L'integrazione economica europea impone che le merci prodotte in un paese possano liberamente essere vendute negli altri paesi dell’Unione Europea, per cui sono sempre più numerose le leggi e le norme che stabiliscono o modificano la qualità, i caratteri, i limiti analitici delle merci. Le conoscenze merceologiche sono quindi ancora più indispensabili nelle operazioni commerciali, in tempi in cui, ironicamente, la disciplina sta scomparendo dai corsi di insegnamento.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Un campo di crescente interesse riguarda, infine, la storia delle merci e dei processi tecnici di<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>produzione; se ne possono trarre molte utili indicazioni per evitare errori nelle scelte merceologiche.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
La<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>risoluzione di molti problemi --- caratterizzazione commerciale, lotta alle frodi, eccetera --- relativi ai settori sopra elencati richiede anche ricerche sperimentali sulle merci basate sull'uso di metodi chimici e fisici di indagine. E' difficile pensare che un laboratorio di ricerca e indagine merceologica sia in grado di<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>risolvere qualsiasi problema analitico, per cui in genere si hanno laboratori universitari di merceologia, ciascuno specializzato in particolari settori. Laboratori merceologici di ricerca sperimentale o di controllo esistono, con varie<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>denominazioni, nella pubblica amministrazione, in molte industrie e in grandi imprese di distribuzione commerciale.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Nell'ambito della pubblica amministrazione la ricerca e i controlli merceologici sono condotti nei laboratori del Ministero della sanità (o come oggi si chiama), o delle strutture sanitarie pubbliche per le merci (alimenti, cosmetici, ecc.) il cui uso può arrecare danno alla salute; del Ministero dell'agricoltura (o come oggi si chiama), per la repressione delle frodi su prodotti agricoli, concimi, sementi, ecc.; del Ministero dell'industria (o come oggi si chiama) per i controlli su fibre tessili, carta, metalli, ecc.; dal Ministero delle finanze (o come oggi si chiama) per i controlli sulle merci oggetti di esportazione e importazione o soggette a imposte.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Finora ho parlato della merceologia e di vari suoi guai, dell'incomprensione pubblica verso questa disciplina e di come ha bisogno, per svolgere bene il suo lavoro, del sostegno e degli strumenti della chimica. Ma anche la chimica, nell'università e soprattutto nell'opinione pubblica, ha anche lei i suoi guai. Parlare di chimica è come presentare in società una sorella dai passati burrascosi. "Chimica" è parola sgradevole per molti orecchi, soprattutto poco informati, per vari motivi apparentemente contrastanti.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Il primo è rappresentato dal modo in cui i grandi mezzi di informazione parlano di cose nelle quali la chimica è coinvolta; non ci mancavano altro che gli attentati con "armi chimiche", in aggiunta agli incidenti "chimici", all'uso sconsiderato della "chimica" in agricoltura, eccetera, per enfatizzare qualsiasi cosa sgradevole associandola all'aggettivo "chimico". Non c'è dubbio che incidenti industriali, intossicazione di lavoratori nelle fabbriche, inquinamenti dell'ambiente hanno luogo spesso in fabbriche chimiche o che trattano prodotti chimici e ad opera di sostanze chimiche. Non c'è dubbio che molte fabbriche producono sostanze chimiche pericolose, talvolta inutili, talvolta oscene come gli agenti di guerra, dai gas asfissianti a quelli lacrimogeni e paralizzanti.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Non c'è dubbio che la scoperta di frodi, di sostanze tossiche anche nelle acque e nei cibi, di erbicidi nei pozzi sono la conseguenza di un uso improprio e violento di sostanze chimiche e che giustamente un vasto movimento popolare chiede più severe regolamentazioni nella produzione, nella circolazione e nell'uso di prodotti chimici industriali e commerciali.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Il secondo motivo della dubbia fama della chimica sta nella maniera in cui la corporazione dei produttori chimici reagisce alle critiche di quelli che sono sbrigativamente liquidati come "ecologisti" o "verdi". La risposta messa in circolazione attraverso male orchestrate campagne di stampa è melensa e poco convincente e suscita una reazione di rigetto nell'opinione pubblica. Non basta mobilitare grandi compagnie di pubblicità e pubbliche relazioni per essere credibili e convincenti quando si presenta l'immagine che la chimica è per definizione buona e benefica per l'umanità e che pertanto i fabbricanti di prodotti chimici devono essere apprezzati e lodati come coloro che diffondono il bene insito nella chimica.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Anche qui l'eccesso di zelo degli apologeti cade spesso nel ridicolo. Non c'è dubbio che le sostanze presenti nel sangue sono costituite da molecole chimiche --- e che altro dovrebbero essere ? --- e che il cibo necessario per la sopravvivenza, i farmaci che salvano la vita dei malati, i coloranti che abbelliscono i tessuti, i cosmetici che rendono gradevole e pulito l'aspetto, sono fatti di sostanze chimiche. Non c'è dubbio che sono chimiche --- anche se in genere maneggiate da non-chimici --- le analisi che consentono di riconoscere le malattie.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Ma è altrettanto vero che la storia degli anni recenti è piena di episodi di danni alla salute e all'ambiente provocati da industrie e sostanze chimiche non perché tali sostanze sono "chimiche" ma perché sono stati imprudenti e incapaci i produttori, i trasportatori, gli utilizzatori. E non giovano né alla "chimica", né agli imprenditori le difese di ufficio fatte da volonterosi "scienziati" e accademici i quali ridicolizzano i critici e la loro ignoranza. Tali difese hanno il sapore di cose già ascoltate: anche gli industriali inglesi del 1800 rispondevano alla contestazione di coloro che volevano che fossero migliorate le condizioni di lavoro nelle fabbriche, mobilitando "gli scienziati". E' rimasto celebre il dottor Andrew Ure (1778-1857), chimico e merceologo, che, pieno di zelo, ha scritto un intero libro, "La filosofia delle manifatture" (una traduzione parziale in italiano è stata pubblicata nella "Biblioteca dell'economista", seconda serie, volume 3, dall'Unione Tipografico-editrice di Torino nel 1863), per dimostrare come il lavoro nelle filande e nelle miniere fosse giovevole alla salute dei fanciulli, tolti dalla strada e dai suoi vizi.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Il terzo motivo, legato ai due precedenti, del poco buon nome della chimica nell'immaginario popolare, sta nella diffusa ignoranza della chimica. Persone colte e intelligenti, che sanno parlare con competenza di letteratura e musica e arte, "intellettuali", come si suol dire, si azzardano, forti della loro ignoranza chimica, ad esprimere giudizi spesso insensati sui guasti e sui vizi della "chimica".</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Non c'è dubbio che la chimica si insegna poco e spesso male nelle scuole secondarie superiori --- dove pure circa 400 mila studenti ogni anno sono "costretti" a seguire un qualche corso di chimica --- sulla base di testi che talvolta (spesso) sono modesti e noiosi. Quel poco di nozioni appiccicate alla mente, talvolta senza andare al di là di poche frasi fatte, ripetute come litanie, sono il terreno ideale per fare nascere idee distorte e luoghi comuni e vere sciocchezze. </span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Ancora peggiore è la situazione dopo la riforma della scuola superiore del 1996, con la chimica, come si è prima accennato, privata perfino del suo nome e inclusa nella "Scienza della materia".</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Non c'è perciò da meravigliarsi se i giornalisti, i parlamentari, gli amministratori, spesso persone colte e attente, straparlano quando si tratta di esprimere dei giudizi sulla chimica, sull'effetto serra, sulle marmitte catalitiche, sulle virtù di cosmetici o sui danni dell'ozono (poco conta se troposferico o stratosferico).</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Si aggiunga che la situazione è scoraggiante benché in Italia esistono decine di migliaia di laureati in chimica, centinaia di professori universitari di discipline chimiche: la loro voce si sente troppo poco e quasi niente, come se ci fosse un pudore nell'intervenire e nel parlare della loro scienza. Una volta Linus Pauling (1901-1994, premio Nobel per la chimica e poi premio Nobel per la pace) scrisse che bisogna invece imparare a parlare a qualcuno che non siano le proprie provette. La stessa massima società italiana dei chimici, la Società Chimica Italiana, con poche migliaia di soci, per lo più membri del mondo accademico, con prestigiose riviste, peraltro a limitatissima circolazione, per l'opinione pubblica è sconosciuta, come se non esistesse.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">A differenza di altre società chimiche nazionali e in particolare di quella americana, la American Chemical Society, che pubblica un settimanale, il notissimo <i><u>Chemical and Engineering News</u></i>, che "tira" oltre un milione di copie (la metà della tiratura, da primato, di Famiglia Cristiana), che mobilita i suoi soci perché parlino nelle televisioni locali, che organizza giornate nazionali della chimica, Olimpiadi della chimica, che induce il governo a stampare francobolli commemorativi della chimica e dei chimici, eccetera.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Questo stato di cose fa sì che in Italia esistano pochissime riviste di chimica, con limitata circolazione, nessuna a carattere veramente divulgativo e popolare, che siano soltanto pochi o pochissimi i libri divulgativi di chimica, le cui conoscenze per il grande pubblico sono affidate al breve incontro, al liceo, con i testi di scuola.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Mi vengono in mente le "Lettere sulla chimica" che Liebig (1803-1873) pubblicava a puntate sull'<i><u>Augsburger Allgemeine Zeitung</u></i> e che raggiunsero, nel corso degli anni, il numero di cinquanta, raccolte in vari volumi, tradotte in tutte le lingue e anche in italiano, a mano a mano che apparivano in tedesco, e che ebbero un grandissimo successo popolare. Non sarà male ricordare che il 200° anniversario della nascita di Liebig è stato proclamato in Germania "Jahr der Chemie", mentre l'importante evento è passato praticamente inosservato in Italia.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">A proposito della divulgazione della chimica raccomando la lettura del recente libro, "Communicating chemistry. </span><span lang="EN-GB" style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-ansi-language: EN-GB; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">History of textbooks in Europe between 1789 and 1930", di Bernadette Bensaude-Vincent, e Anders Lundgren, Cambridge, 1999.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Proprio come non esiste in Italia un buon dizionario di merceologia, in Italia non c'è neanche un buon dizionario o una buona enciclopedia popolare di chimica. E' abbastanza naturale che perfino i traduttori degli articoli di giornali stranieri storpino i nomi chimici, con silicio che diventa silicone e viceversa, iodio che diventa iodino, carboidrati che diventano idrocarburi, anidride carbonica che diventa ossido di carbonio, e così via.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Eppure mai come in questo momento una cultura chimica è essenziale per difendere la salute dei cittadini e anche per ridare fiato ad un asfittico settore industriale. Mai come in questo momento i problemi chimici sono centrali per l'economia e per il progresso. Basta leggere la Gazzetta ufficiale delle Comunità europee o quella della Repubblica italiana per vedere che sempre più spesso ci sono interi fascicoli, dei veri volumetti, pieni di informazioni chimiche, di formule, di sinonimi, di proposte di unificazione, pieni di metodi di analisi standardizzati per riconoscere la purezza delle sostanze, per sconfiggere le frodi, per svelare gli inquinamenti. La sigla CAS del Chemical Abstracts Service è usata anche nei testi di legge dove accompagna ormai il numero, la sigla e il nome delle sostanze che entrano nei medicinali, nei cosmetici, nei pesticidi, eccetera, cioè nella produzione, nel commercio e nell'uso delle merci.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Mai come in questo momento la sopravvivenza civile dei paesi industriali dipende dal potenziamento dei servizi pubblici di controllo dei prodotti e dell'ambiente, servizi che richiedono metodi chimici di indagine praticati da chimici. Con tutto il parlare che si fa di unità europea, bisogna renderci conto che potremo essere veramente europei soltanto se dimostreremo di avere strutture pubbliche e imprese private avanzate e moderne e in tale progresso un ruolo determinante ha la chimica e hanno i chimici, proprio come ha la merceologia e hanno i merceologi. </span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Proprio in questo momento ci sarebbe bisogno di laureati in chimica preparati, orgogliosi della loro cultura e della loro competenza e capacità, consci del ruolo che possono avere nella collettività civile, così come proprio in questo momenti sarebbero necessari dei buoni conoscitori e insegnanti dei processi di uso delle risorse naturali e di produzione delle merci</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Con tutto il rispetto per le altre scienze della natura e sperimentali, la chimica è forse l'unica che offre la saldatura fra le leggi fondamentali della materia e l'applicazione di tali leggi alla vita quotidiana, dal metabolismo del cibo alla bellezza dei colori delle ali delle farfalle o dei petali dei fiori, ai grandi flussi di materia che stanno alla base dell'economia.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">La chimica è infatti la scienza della contabilità della natura. Il bilancio delle reazioni chimiche è un bilancio "economico": esso, per definizione, deve essere in pareggio, tutto quello che c'è a sinistra di una formula si deve ritrovare a destra: la materia si deve sempre ritrovare tutta. E qui troviamo subito la diversità fra la contabilità della natura e quella "economica monetaria". Anche gli economisti dei soldi fanno della contabilità: i soldi spesi devono essere uguali a quelli guadagnati. Ma le "cose" materiali che sono descritte con gli scambi monetari sono soltanto una piccola parte di quelle che interessano la vita reale.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Nel bilancio di una fabbrica, per esempio, la contabilità monetaria tiene conto soltanto delle materie che si comprano e si vendono. Se pensiamo ad una fabbrica di acciaio contano il minerale di ferro e il carbone, che si ottengono in cambio di soldi, ma nella contabilità monetaria non figura l'ossigeno che si ottiene gratis nell'aria che serve per bruciare parzialmente il carbone trasformandolo in ossido di carbonio che riduce gli ossidi di ferro in ferro e ghisa. La ghisa e l'acciaio e l'energia entrano nella contabilità economica perché si comprano e si vendono, ma nella reazione si formano --- una cosa ovvia e banale per un chimico --- polveri e anidride carbonica e ossido di carbonio e scorie che non figurano nella contabilità economica perché vengono gettati nell'atmosfera o in una discarica. Salvo accorgersi un giorno che le popolazioni protestano per i fumi che sono "cose" materiali e di cui bisogna misurare quantità e composizione chimica, e che bisogna filtrare e abbattere o raccogliere per non inquinare l'aria o il suolo.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">La contestazione ecologica è nata proprio dall'attenzione prestata agli effetti negativi di tutte le cose che la chimica conosce da sempre --- quelle che si trovano a sinistra e a destra di ciascuna formula --- ma che l'economia tradizionale e la pratica dell'operare hanno a lungo ignorato. Da qui l'importanza e la grande attualità del valore educativo della contabilità chimica.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Un minimo di attenzione chimica può suggerire a coloro --- tutta l'intera popolazione --- che utilizza la cucina, il lavandino, il secchiaio o il<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>gabinetto --- veri laboratori chimici --- che tutta la massa dei materiali trattati, compresa l'aria che "si compra" gratis dall'atmosfera, si ritrova poco dopo nell'aria come gas, che i residui di cibo, le soluzioni saponose, gli escrementi che escono dalla nostra vita quotidiana non scompaiono ma vanno a finire nelle fogne e poi nei depuratori e nei fiumi e nel mare. La contabilità e l'ecologia dell'ecosistema domestico, sono altrettanto importanti come l'ecologia della fabbrica o della città.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Della buona chimica è indispensabile per fare delle buone leggi contro l'inquinamento e delle buone e sensate azioni per il riciclo dei materiali presenti nei rifiuti, per avviare indagini di bonifica dei territori contaminati da attività produttive precedenti. E' anzi questo un campo in cui si saldano interessi di natura geografica e storica; quali processi si sono svolti nelle fabbriche che occupavano un territorio ? quali materie --- tutte chimiche --- venivano trattate e trasformate ? quali scorie venivano prodotte ? dove sono finite e come è possibile toglierle dai loro depositi o diminuirne le nocività ?</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Buona chimica è necessaria per progettare prodotti e materiali e manufatti in vista del loro intero ciclo vitale che comprende, ripeto, materie dotate di valore monetario e materie che finiscono nei corpi riceventi della natura, rigettate senza alcuna spesa monetaria, ma con elevati costi sociali e sanitari e ambientali .</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Buona chimica --- e adeguati e buoni controlli chimici --- sono necessari per le procedure per l'assegnazione di eco-etichette con analisi che vengono indicate "dalla-culla-alla-tomba"; altrimenti delle procedure che dovrebbero difendere i consumatori e l'ambiente si trasformano in pure operazioni pubblicitarie. E quanta chimica sarebbe necessaria per verificare le, e informare i cittadini sulle, tanto dichiarate affermazioni di virtù ecologiche di tante merci che entrano nel mercato con grandi richiami pubblicitari.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">A questo proposito una società moderna avrebbe tutto l'interesse a potenziare, anzi a resuscitare, quelle strutture che erano i laboratori chimici "di igiene e profilassi", che nelle intenzioni dei legislatori di cento anni fa furono creati riconoscendo che la prevenzione delle malattie sarebbe stata possibile soltanto attraverso le analisi chimiche degli alimenti, del cibo, delle acqua, dei prodotti usati in agricoltura, e poi, dagli anni cinquanta in avanti, attraverso un controllo chimico delle condizioni di lavoro, dell'inquinamento atmosferico, dello smaltimento dei rifiuti. Non a caso la direzione del primo laboratorio di igiene e profilassi francese fu affidata al chimico Pasteur (1822-1895).</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">La polverizzazione delle competenze nel settore sanitario e della lotta alle frodi alimentari, nel settore dei controlli ambientali, e di quelli in campo agricolo e delle stesse dogane, da cui tanti chimici sono poi passati sulle cattedre universitarie di merceologia, ha impoverito la capacità di indagine, di controllo e di analisi delle uniche strutture che possono davvero prevenire le malattie. Proprio quando l'unificazione, il coordinamento e il potenziamento della parte chimica avrebbero potuto rappresentare la vera soluzione.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Sorprende (o non dovrebbe sorprendere ?) che il mondo politico, economico e lo stesso mondo imprenditoriale prestino così poca attenzione agli strumenti conoscitivi chimici che sono essenziali per un genuino sviluppo economico.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">La conoscenza chimica consente la spiegazione di come sono fatti e come possono essere prodotti le cose, gli oggetti, i materiali presenti in natura e nella vita quotidiana. La chimica è nata con l'obiettivo di spiegare e descrivere fenomeni naturali e, nello stesso tempo, di risolvere problemi pratici: la sbianca e la tintura dei tessuti, la conservazione dei cibi, la concia delle pelli, la fermentazione del pane. La ricerca scientifica chimica è stata originata e ha avuto i suoi massimi successi in relazione a problemi "pratici": dal premio Nobel a Fritz Haber (1868-1914) per la scoperta delle condizioni che consentono la sintesi dell'ammoniaca, al premio Nobel a Giulio Natta (1903-1979) per le scoperte che hanno permesso di sintetizzare il polipropilene.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Mi viene ancora in mente il chimico Liebig che, nel suo laboratorio di Giessen, insieme agli esperimenti di analisi chimica, prestava attenzione ai problemi sociali della prima rivoluzione industriale, a come alleviare la scarsità di alimenti che colpiva le masse di proletari affamati d'Europa, che si occupò di aumentare le rese agricole, che stimolò l'utilizzazione del nitro del Cile come fonte di azoto e dell'acido solforico per rendere solubili i fosfati naturali, che spiegò al pubblico l'importanza della carne e che, per superare le difficoltà del trasporto della carne dai pascoli del sud America all'Europa con le lente navi a vela senza frigoriferi, "inventò" l'estratto di carne e stimolò la costruzione della fabbrica di Fray Bentos in Uruguay, contribuendo ad avviare l'industrializzazione del paese sudamericano. Quel Liebig che, a riprova dello stretto rapporto fra chimica e merceologia e economia, nella celebre "undicesima lettera" scrisse, sia pure con un po' di ingenuità, che il consumo di acido solforico è un indice dello sviluppo economico di un paese e il consumo di sapone è un indice della sua civiltà.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Benché la chimica aiuti a capire e spiegare tanti aspetti fondamentali della vita --- perché certe merci inquinano, quale è la composizione dei rifiuti --- si ha l'impressione che la chimica della cucina e del gabinetto abbiano poco spazio e dignità nell'insegnamento chimico. I merceologi, per esempio, che sono i chimici che si occupano di questi aspetti volgari della chimica, sono in genere considerati chimici di seconda classe.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Una migliore cultura chimica aiuterebbe anche molte altre attività e discipline. Si pensi, per esempio, al vuoto culturale esistente in Italia nel campo della storia della chimica, della storia della farmacia, della storia della merceologia, e lo si confronti col fatto che lo storico di professione, o l'archeologo sempre più hanno a che fare con problemi chimici che affrontano talvolta male, superficialmente, talvolta balbettando cose inesatte, con una crescente difficoltà di incontro con i professionisti che sanno di chimica.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Probabilmente una intelligente spiegazione dell'importanza degli aspetti "pratici" della chimica aiuterebbe il pubblico a riconoscere in essa non solo una scienza vicina alla vita quotidiana, ma anzi la scienza prima della vita e delle cose che ci circondano.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">C'è un altro aspetto meno noto della chimica. All'opinione pubblica, ma anche agli studenti medi, la chimica appare una scienza consolidata, piena di certezze; se qualcosa di nuovo appare all'orizzonte lo si deve cercare nei favolosi orizzonti delle biotecnologie o dei materiali avanzati, come si suol dire. Una impressione sbagliata: il mondo che ci circonda è ancora pieno di misteri chimici, anche nei campi più banali. Si parla, per esempio, di amido, di lignina e di cellulosa, le pietre fondamentali del mondo vegetale. La cellulosa attrae l'attenzione come ingrediente della carta, l'amido come ingrediente del pane e della pasta e, più recentemente, della finta "plastica" biodegradabile. E invece siamo di fronte ad un campo pieno di misteri. Ogni vegetale contiene amido, lignina, cellulosa, con caratteri differenti da altri; la composizione di queste macromolecole ha carattere statistico per cui si deve parlare al plurale di amidi, cellulose, eccetera.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Con un poco di attenzione e di curiosità si scopre, per esempio, che i diversi cereali hanno amidi di diverse qualità, tanto è vero che con alcuni (il grano) si riesce a fare il pane e con altri (come il mais) no. La stessa caratterizzazione dei cereali e dei relativi sfarinati sulla base dell'amido, delle proteine, dei grassi e delle ceneri è una grossolana approssimazione. Si intuisce, ma se ne sa ben poco, che amido, proteine e grassi sono uniti fra loro in "complessi" grassi-proteine, amido-grassi, amido-proteine; la loro esistenza potrebbe spiegare il fatto che il grano duro ha caratteri diversi dal grano tenero, benché all'analisi chimica grossolana i principali componenti siano in quantità quasi uguali. Fra i misteri chimici del pane c'è il fenomeno del rinvenimento, per cui nel pane raffermo, "vecchio" di due o tre giorni, riscaldato, la mollica ritorna elastica come nel pane appena sfornato, anche se questo carattere scompare dopo poche ore.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Una migliore cultura chimica permetterebbe di chiarire alcuni "grandi" misteri, come il buco dell'ozono stratosferico o l'effetto serra dovuto alle modificazioni chimiche dell'atmosfera, ma permetterebbe anche di capire e di conoscere meglio tantissime altre cose, negli alimenti, nei cosmetici, nelle tinture e nei preparati per ondulare i capelli, nelle precauzioni da prendere quando si deve lavare e stirare, nei meccanismi --- chimici --- con cui funzionano le fotocelle solari o le macchine per trasmissione in facsimile, più note come "fax", o i "cuori" dei computers e dei telefoni cellulari, tutti oggetti che stanno alla base di produzioni e di consumi di massa. Se se ne sapesse di più, forse molti pericoli e inconvenienti ed errori sarebbero evitati.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Un altro importante aspetto del valore educativo della chimica sta nell'abitudine a pensare a tre dimensioni. Tutte le cose sono a tre dimensioni, ma noi siamo abituati a disegnarle su un foglio, su un piano. La conoscenza chimica offre continuamente l'occasione per aiutare a immaginare, a pensare e a "vedere" i corpi nello spazio. La molecola dell'acqua acca-due-o, H-O-H, deve tutte le sue stranezze, fondamentali per la vita, proprio al fatto che ciascuna molecola si lega <i><u>nello spazio</u></i> non solo alle altre molecole di acqua, ma a tutti i corpi a cui si avvicina e con cui viene a contatto.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">La chimica del carbonio deve la sua bellezza e il suo fascino proprio al carattere tridimensionale degli atomi e delle molecole e, anche se ce ne siamo dimenticati, la scoperta di tale carattere fu una vera rivoluzione culturale. Purtroppo non possiamo fare a meno, per ragioni pratiche, di scrivere le formule su un piano, ma forse questo stesso limite è un'occasione per ricordare continuamente che le molecole sono sempre tante, tutte insieme e distribuite in tutte le direzioni.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Alla fine degli anni quaranta del secolo scorso il chimico americano Linus Pauling ebbe, come sopra ricordato, il premio Nobel per aver "pensato" che le molecole delle proteine fossero disposte ad elica, come si vide sperimentalmente meglio in seguito. Questa intuizione da sola permise di risolvere tutti i misteri del comportamento delle proteine, pietre costitutive fondamentali della vita. Una decina di anni dopo Watson e Crickett ottennero il premio Nobel per aver scoperto la struttura del DNA, una catena di molecole di zucchero, di acido fosforico e di alcune "basi" (adenina, timina, guanina, e citosina), disposte in "doppia elica" <i><u>nello spazio</u></i>. La disposizione spaziale delle migliaia di atomi di ciascuna molecola di DNA ha consentito di spiegare il funzionamento di queste molecole fondamentali per la "fabbricazione" di ciascuna proteina, sempre uguale, specifica per ciascuna parte di ciascun essere vivente. Una intuizione tridimensionale ha insomma risolto problemi di conoscenza fondamentale della vita.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Penso che si potrebbe, volendo, davvero dare della chimica una immagine gioiosa e avventurosa, una immagine anche di bellezza, e con essa una visione più coraggiosa della vita; si renderebbe un servizio alla società, all'economia, e all'ecologia --- e alla stessa "chimica", presentabile senza vergogna nella buona società.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Un esame dei cammini culturali della merceologia e della chimica mi pare che offra una risposta alla domanda iniziale: più che stizzose cugine esse sono davvero due sorelle, anzi sono quelle che, in casa degli scienziati e degli amministratori delle cose sociali e in casa degli scienziati e degli amministratori delle cose naturali, spiegano, sia pure con parole diverse, le stesse cose, il modo in cui la natura riesce, con i suoi beni fisici, a soddisfare bisogni umani, che sono poi le uniche cose che contano.</span></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<h1 align="center" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: center;">
<span style="font-size: small;">Note</span></h1>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Per una storia della merceologia cfr.: O. De Marco, “200 anni di Merceologia: passato, presente, futuro”, <u>Rassegna Chimica</u>, <u>45</u>, (5/6), 135-142 (settembre-dicembre 1993)</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
La storia dell'insegnamento della merceologia nell'Università di Bari è trattata da G. Nebbia, “Merceologia”, in: A. Di Vittorio (a cura di), “Cento anni di studi nella Facoltà di Economia e Commercio di Bari (1886-1986)", Bari, Cacucci Editore, 1987, p. 145-154……</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
Per la citazione della merceologia nel "Capitale" di Marx si può vedere:G. Nebbia, “La merceologia e un curioso problema filologico”, <u>Quaderni di Merceologia </u>(Bologna), <u>4</u>, (2), 23-39 (luglio-dicembre 1965)</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
I due libri del prof. Walter Ciusa (1906-1990) "I cicli produttivi e le industrie chimiche<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>fondamentali", Bologna, Zuffi, 1948; e "Aspetti tecnici ed<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>economici di alcuni cicli produttivi",<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Bologna, Zuffi, 1954, ormai rarissimi, contengono la base teorica e culturale della svolta moderna della Merceologia.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
L’unico libro straniero che più si avvicina ai problemi della Merceologia è: E.W. Zimmermann (1888-1961), “World resources and industries. <span lang="EN-GB" style="mso-ansi-language: EN-GB;">A functional appraisal of the availability of agricultural and industrial materials”, Revised edition, New York, Harper & Bros, 1951</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
La "Rivista di Merceologia", vol. 1, 1962 (dal 1962 al 1977 apparsa col titolo "Quaderni di Merceologia"), tratta argomenti scientifici della disciplina. Pubblicata dagli Istituti di Merceologia delle Università, prima di Bari, poi di Bologna, dal 1989 è pubblicata dall'Istituto di Merceologia dell'Università di Pescara; dal 1996 col titolo “Journal of Commodity Science”, vol. 49, 2010</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
L'unico grande dizionario-enciclopedia di merceologia è dovuto a Vittorio Villavecchia, “Dizionario di merceologia”, Milano, Heopli, prima edizione, 1895, in un solo volume; seconda edizione, 1908; terza edizione: I volume, 1911, II volume, 1913; quarta edizione in quattro volumi, 1923-1926; quinta e ultima edizione in 4 volumi, 1929-1932. Una edizione successiva, molto meno soddisfacente, è stata curata da Gino Eigenmann e Ivo Ubaldini, "Villavecchia-Eigenmann. Nuovo dizionario di<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>merceologia<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e chimica applicata", Milano, Editore Heopli, volumi 1-3,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>1973; vol. 4, 1974; vol. 5, 1975; vol. 6, 1976; vol. 7, 1977</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<h1 style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-size: small;">Qualche notizia sull'evoluzione degli studi merceologici in Italia si può trovare in: </span></h1>
<h1 style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-size: small;">G. Nebbia, "Risorse naturali e merci. Un contributo alla tecnologia sociale", Bari, Cacucci, 1968; G. Nebbia, “Lezioni di Merceologia”, Bari, Laterza, 1996; G. Nebbia, "Risorse merci ambiente", Bari, Progedit, 2001</span></h1>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; mso-pagination: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<br /></div>giorgio nebbiahttp://www.blogger.com/profile/12979392991314267930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2346082185157007677.post-56749750694351287602012-02-20T08:23:00.001-08:002012-02-20T08:33:41.660-08:00L'alambicco<div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="art-postcontent">
<strong>L’alambicco-distillato di notizie su chimica e società”</strong> nasce nel 2011 in occasione dell’ Anno Internazionale della Chimica, ed è il giornale che parla di chimica agli addetti ai lavori, agli insegnanti e a tutti quelli che con questa scienza non hanno grande familiarità.<br />
Direttore responsabile del giornale è Luigi Cerruti, Professore Associato di Storia della Chimica presso l’Università di Torino.<br />
Il giornale è scaricabile dal <a href="http://www.alambicco.unito.it/numeri_alambicco.html" target="_blank">sito web</a> <a href="http://www.alambicco.unito.it/">http://www.alambicco.unito.it/</a> dove è possibile anche giocare, leggere curiosità e approfondimenti del mondo della chimica.</div>giorgio nebbiahttp://www.blogger.com/profile/12979392991314267930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2346082185157007677.post-57957757273013680232012-02-06T10:27:00.000-08:002012-02-06T10:27:33.430-08:00Così pochi congressi<div style="text-align: center;">
<em><u>Così pochi congressi per onorare Mendeleev</u></em></div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
<div style="text-align: center;">
Eric Scerri</div>
<div style="text-align: center;">
Department of Chemistry</div>
<div style="text-align: center;">
University of California in Los Angeles</div>
<br />
There have been surprisingly few international conferences on the central icon of chemistry and indeed one of the most central icons in all of science - the periodic table.<br /><br />The first was held in 1969 in the Vatican as a celebration of the 100th anniversary of Mendeleev's first periodic table. Participants included such luminaries as the physicist John Wheeler. The proceedings were published in:<br />
Verde (ed), Atti del Convegno Mendeleeviano, Accademia delle Scienze di Torino, Accademia Nazionale dei Lincei, Tornino – Roma, 15-21 Settembre, 1969, Torino, Vincenzo Bona, 1971. <br /><br />The second was held in Banff, Canada, in 2003. The proceedings are published as two books edited by Rouvray and King: "The Periodic Table: Into the 21st Century", Research Studies Press, Baldock, England, 2004 and "The Mathematics of the Periodic Table", Nova Science Publishers, New York, 2006.<br /><br />The past few years has seen a revival in interest in the periodic table, at the scholarly as well as popular level. New scholarly books and special issues have appeared on the subject as well as the highly popular books by Sam Kean and Hugh Aldersey-Williams. Many websites feature alternative forms of the periodic table. The i-Pad application featuring the elements and the periodic table has been a great success. The time is ripe for a new meeting to bring together scholars and educators to discuss all aspects of the periodic table. <br /><br />The meeting in Cusco, Peru, "International Conference on the Periodic System, including Scientific, Mathematical, Historical, Philosophical and Educational Aspects", will be held in Cuzco, Peru (and close to the legendary archeological wonder of Machu Pichu to which a visit has been organized), August 14-17, 2012, will be only the third such meeting. Articles will be published either as a book or as a special issue of the journal Foundations of Chemistry.<br /><br />The conference will be to honor the memory of Dr. Oswaldo Baca Mendoza (Cusco, 1908-1962), author of a remarkable study and mathematical interpretation of the periodic system (1953).<br /><br />If you have any interest in attending please contact the organizers as they are hoping to motivate authorities and institutions of Cuzco and get sponsorship and support with a list of interested speakers. <br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br />giorgio nebbiahttp://www.blogger.com/profile/12979392991314267930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2346082185157007677.post-6192458194108620542012-02-01T10:54:00.000-08:002012-08-05T15:18:10.155-07:00Alessandro Pierotti: Il lavoro del chimico<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 10pt;">
<span style="font-family: Palatino Linotype;">Maurizia Cardinalini: Questo è quello che ha scritto sul lavoro del chimico il mio alunno Alessandro Pierotti, nei primi giorni di scuola del Settembre 2009 quando frequentava la classe 1°A dell’Istituto Tecnico Industriale “ Alessandro Volta “ di Perugia. Ora frequenta la classe terza A elettrotecnica.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 10pt;">
<span style="font-family: Palatino Linotype;">Ho scelto queste frasi perché possono riempire di orgoglio tutti i chimici. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 10pt;">
<span style="font-family: Palatino Linotype;">Che i chimici siano un po’ pazzi, in fondo lo aveva intuito anche Erasmo da Rotterdam</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 10pt;">
<span style="font-family: Palatino Linotype;">“<em>Secondo me il lavoro del chimico è un lavoro faticoso. Secondo me essere chimico significa fare esperimenti e lavorare con sostanze pericolose. Alcune di queste sostanze, infatti, m sono molto pericolose perché possono causare ustioni, esplosioni, eccetera. Io il lavoro del chimico lo immagino come un divertente cartone animato in cui uno scienziato pazzo con camice bianco e occhiali trasparenti fa esperimenti al limite dell’impossibile</em>”. </span></div>giorgio nebbiahttp://www.blogger.com/profile/12979392991314267930noreply@blogger.com0