lunedì 10 ottobre 2011

Vita, morte e miracoli del carburo di calcio

2011 Anno Internazionale della Chimica

La Gazzetta del Mezzogiorno, sabato 4 giugno 2011

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Pochi dei lettori forse ricordano quei carri da lavoro al di sotto dei quali penzolava, dondolandosi, una lampada ad acetilene, spesso chiamata “a carburo”. Erano quelle che oggi chiamiamo luci di posizione obbligatorie per qualsiasi veicolo. Chi ha avuto la fortuna di vederne qualcuna, ha (avrebbe) avuto modo di scoprire l’ingegnosità di tali lampade che erano usate anche nelle miniere. Si trattava di recipiente cilindrico, di una ventina di centimetri di altezza, dotati di un serbatoio contenente l’acqua, di una regolatore di flusso e di un beccuccio. La lampada era caricata con pezzi di carburo di calcio, una pietra grigiastra che, reagendo con acqua si trasforma in acetilene e idrato di calcio. L’acetilene usciva dal beccuccio ed era acceso fornendo una bella fiamma luminosa. La furbizia consisteva nel regolare le gocce di acqua in entrata in modo da avere una fiamma continua, senza sprechi.

venerdì 7 ottobre 2011

La chimica come economia della natura

2011 Anno Internazionale della Chimica

CnS La chimica nella Scuola, 33, (3), 185-188 (giugno-agosto 2011)

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it 

Parlare di chimica è spesso come presentare nella buona società una sorella dai trascorsi burrascosi. "Chimica" è parola sgradevole per molti orecchi, soprattutto poco informati, per vari motivi apparentemente contrastanti.

Il primo è rappresentato dal modo in cui i grandi mezzi di informazione parlano di cose nelle quali la chimica è coinvolta; non ci mancavano altro che gli attentati con "armi chimiche", in aggiunta agli incidenti "chimici", all'uso sconsiderato della "chimica" in agricoltura, eccetera, per enfatizzare qualsiasi cosa sgradevole associandola all'aggettivo "chimico". Non c'è dubbio che incidenti industriali, intossicazione di lavoratori nella fabbriche, inquinamenti dell'ambiente hanno luogo spesso in fabbriche chimiche o che trattano prodotti chimici e ad opera di sostanze chimiche. Non c'è dubbio che molte fabbriche producono sostanze chimiche pericolose, talvolta inutili, talvolta oscene come gli agenti di guerra, dai gas asfissianti a quelli lacrimogeni e paralizzanti.

lunedì 3 ottobre 2011

Elementi: Calcio


“Et in pulverem reverteris” (Genesi 3,19). Dio però avrebbe dovuto precisare che “la polvere” in cui si trasformano, alla fine, i re come i mendicanti, i ministri come gli extracomunitari, è costituita da un paio di chili di fosfato di calcio, con un equivalente di un chilo di calcio. Questo elemento con simbolo Ca, peso atomico 40 (20 protoni e 20 neutroni), è molto diffuso in natura e importante, ma qualche volta anche fastidioso. Doveva essercene tanto nelle rocce primitive della Terra; l’acqua delle piogge, all’inizio ricca di anidride carbonica, ne ha trasformato una parte in bicarbonato di calcio solubile; quando i laghi e i mari si sono riempiti di bicarbonato, una parte si è trasformata in carbonato di calcio insolubile che poi ogni tanto è riemerso dal fondo dei mari sotto forma di grandi banchi di marmi e calcari, così belli nelle Dolomiti, così utili come materiali da costruzione. Poi ad un certo punto dell’evoluzione alcuni animali hanno imparato a costruire al proprio interno una struttura solida, uno scheletro, sotto forma di sali di calcio insolubili, in parte carbonato nei coralli, in parte fosfato nei vertebrati.

Un fosfato che si consuma col procedere della vita e deve essere rimpiazzato con un apporto di calcio attraverso l’alimentazione. Gli umani hanno bisogno ogni giorno di circa un grammo di calcio che deve essere preso da alcuni alimenti, come il latte e i latticini, certe verdure, ma anche l’acqua. Non quella “leggera”, oligominerale, così tanto pubblicizzata, che di calcio contiene pochi milligrammi per litro; un litro della volgare acqua del rubinetto contiene invece circa 100 milligrammi di calcio e, già bevendone un solo litro al giorno, si apporta al corpo il 10 percento del fabbisogno. 

Nel suo duplice stato di sali solubili e di sali insolubili, come nel ciclo bicarbonato—carbonato, il calcio è utile perché certi processi industriali hanno bisogno di anidride carbonica o di sali di calcio. Quando esistevano gli zuccherifici di barbabietola, una parte dello zucchero del melasso era recuperato provocando la formazione di saccarato di calcio che precipitava dalle soluzioni zuccherine ed era poi decomposto per trattamento con anidride carbonica. Il carbonato di sodio si fabbrica ancora oggi scomponendo il calcare proprio per ricavarne l’anidride carbonica da far combinare con il cloruro di sodio, un’invenzione che si deve a Ernest Solvay (1838-1922); resta poi un fango di cloruro di calcio che finisce nel mare o nelle strade per far fondere il ghiaccio d’inverno.

Gli ingegneri dei Faraoni avevano scoperto che la polvere di certe rocce contenenti il calcio (loro però non lo sapevano) poteva essere usata per tenere uniti i massi di pietra con cui costruite templi, piramidi, edifici, una esperienza passata poi a tutte le società umane da un millennio all’altro. Fino a quando un certo Joseph Aspdin (1779-1855) ha capito che le rocce contenenti carbonato di calcio potevano essere fuse insieme ad altri minerali per ottenere un legante ancora migliore, il cemento. Molto utile, nel mondo se ne fabbricano circa 2 miliardi di tonnellate all’anno, anche se durante la sua fabbricazione si formano grandi quantità di anidride carbonica che va a finire nell’aria e altera il clima. Un altro inconveniente si è osservato quando si è scoperto che, durante il lavaggio dei corpi e dei tessuti con sapone, nelle acque comuni, si formava un nuovo “sporco” costituito da saponi di calcio insolubili che si appiccicavano sulle fibre.

Nel corso del Novecento, quando si è visto che era impossibile lavare con acqua di mare, contenente “troppi” sali di calcio che impedivano al sapone di sciogliersi, sono stati inventati i detersivi “sintetici” i cui sali di calcio sono solubili anche nelle acque con molti sali di calcio, “dure” come di dice, ma che restano solubili quando le fogne vanno a finire nei fiumi e nel mare e i detersivi sintetici li coprono di sgradevoli schiume.

lunedì 11 luglio 2011

Seveso 35 anni dopo

2011 Anno Internazionale della Chimica
La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 12 luglio 2011

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Seveso, chi ? Alla maggior parte degli Italiani questa parola dice ben poco; eppure è il nome di una cittadina della Brianza, a nord di Milano, assurta a dolorosa celebrità dopo il 10 luglio 1976 --- sono passati 35 anni --- quando in una fabbrica, la Icmesa, della vicina cittadina di Meda si verificò un incidente industriale destinato a modificare la cultura ecologica e industriale dell’intero paese, anzi dell’intera Europa. Lo stabilimento fabbricava cosmetici e insetticidi partendo dal triclorofenolo, una sostanza chimica ottenuta a sua volta scaldando il tetraclorobenzolo con una soluzione di idrato di sodio.

lunedì 30 maggio 2011

Berillio

2011 Anno Internazionale della Chimica

La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 31 maggio 2011

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

La natura ci ha offerto un numero incredibile di sostanze utili per la vita, ma ha anche nascosto varie nocività ambientali fra le sostanze, anche meno note, che entrano nei prodotti di uso comune. Una di queste è il berillio, un metallo relativamente raro, importante industrialmente perché è l'unico metallo leggero (il suo peso specifico è 1,85 volte quello dell’acqua), dotato di un'elevata temperatura di fusione (oltre 1250 gradi Celsius) e perché non è attaccato né dall'aria né dall'acqua, neanche ad alte temperature. Per produrlo si parte da alcuni minerali, fra cui il berillo, un silicato di berillio e alluminio, che è anche usato come pietra preziosa e ornamentale. La varietà colorata di verde per la presenza di tracce di cromo prende il nome di smeraldo; la varietà dotata di un colore blu pallido si chiama acquamarina.

I principali paesi produttori di minerali di berillio, con un contenuto di metallo di 200 tonnellate all’anno, sono gli Stati Uniti e la Cina. Nonostante la sua modesta produzione, il berillio ha molte applicazioni industriali. Viene usato, in generale in lega con altri metalli, specialmente nelle leghe "leggere" con alluminio e magnesio, nell'industria aeronautica e spaziale per la sua elevata resistenza all'usura e per le sue doti di conducibilità termica. La sua lega col rame presenta elevata conducibilità elettrica ed è largamente usata nell'industria petrolifera per strumenti nei cui contatti non si devono formare scintille, che potrebbero infiammare i gas combustibili. Oltre che come metallo, il berillio trova impiego come ossido nell’industria elettrica e nell'industria ceramica; per molti anni l’ossido di berillio è stato impiegato nei rivestimenti interni dei tubi fluorescenti.

L’unico inconveniente è che il berillio e i suoi composti sono cancerogeni e tossici e sono stati responsabili di molti casi di avvelenamento, per berilliosi, dei lavoratori di alcuni settori industriali che impiegano il metallo, le sue leghe e i suoi ossidi, al punto che le autorità ne hanno dovuto vietare alcuni usi. La berilliosi si manifesta con l'infiammazione dei polmoni, che riduce o impedisce la respirazione ed è difficile da curare anche se, fortunatamente, è abbastanza rara.

La berilliosi ispirò ad Isaac Asimov (1920-1992) un racconto di fantascienza nel quale un equipaggio è inviato su un pianeta, Troade, apparentemente fertile, con condizioni simili a quelle terrestri, abbondante vita vegetale, che sembrava ideale per l'insediamento di una colonia umana, per scoprire la causa della morte misteriosa dei componenti di una spedizione precedente; tale morte risultò dovuta una malattia provocata dall'alta concentrazione di berillio su Troade.

Il berillio ha avuto un ruolo molto importante nella storia della fisica; negli anni trenta del Novecento i fisici osservarono che dei campioni di berillio, colpiti da particelle alfa (nuclei di elio) emessi dal polonio, che era stato scoperto pochi anni prima, emettevano una strana radiazione. Nel 1932 il fisico inglese James Chadwick (1891-1974) identificò tale radiazione come dovuta ad una particella sconosciuta, che chiamò neutrone, dotata di massa simile a quella del protone, ma priva di carica elettrica. Mentre i protoni positivi non provocano modificazioni dei nuclei con cui vengono a contatto, perché sono respinti dagli elettroni negativi, i neutroni, liberati dal berillio, arrivano nel profondo dei nuclei atomici provocando grandi modificazioni come misero in evidenza, a partire dal 1933, Enrico Fermi (1901-1954) e i suoi collaboratori a Roma e altri studiosi in Francia, Germania, Inghilterra.

Fino a che, nel 1939 fu scoperto che l’urto dei neutroni con i nuclei degli atomi di uranio provocava addirittura la frantumazione (fissione) di tali nuclei con liberazione di grandi quantità di energia: nasceva così l’”era atomica”. Il berillio avrebbe continuato ad avere un ruolo importante nella tecnologia nucleare; nell’ottobre 1990 in una fabbrica di armi nucleari in Russia si è verificata un'esplosione che ha gettato nell'aria una "nube" di ossido di berillio che ha contaminato la zona circostante, al confine con la Cina, e i suoi abitanti.

Utile e velenoso, per le persone e per l’ambiente, il berillio ha anche interesse come indicatore geologico; oltre al berillio ordinario, che ha peso atomico 9, esiste un isotopo radioattivo, il berillio-10, che si forma dalla collisione dei raggi cosmici con i gas dell'alta atmosfera. Nel 1990 la concentrazione di berillio-10 è stata misurata nei vari strati del ghiaccio dell'Islanda; le analisi hanno mostrato che, negli ultimi due secoli, la concentrazione di berillio-10 risulta maggiore quando aumenta la "attività" del Sole, per cui la misura della concentrazione di questo isotopo radioattivo può essere utile per avere informazioni sulla storia climatica della Terra.

venerdì 27 maggio 2011

La gomma dalle patate

2011 Anno internazionale della Chimica
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it


“I sovietici fanno le gomme con le patate”, era una battuta che circolava fra gli studiosi di chimica industriale negli anni trenta del secolo scorso, ed era vero. Dopo la rivoluzione comunista l’Unione Sovietica aveva dovuto affrontare un duro periodo di isolamento economico ed era stata tagliata fuori dai rifornimenti di gomma naturale, praticamente prodotta soltanto in Brasile, nelle colonie francesi e inglesi e olandesi dell’estremo oriente, nello stato africano della Liberia e nel Congo belga; era cioè di fatto monopolio dei paesi europei non certo simpatizzanti per la nascente nuova grande potenza russa. Ebbe così grande impulso la ricerca scientifica per una gomma sintetica.

lunedì 2 maggio 2011

Claudio Della Volpe. Chimica e uomo

2011 Anno Internazionale della Chimica

Chimica e uomo: dove è il problema?
http://civettaeolivo.splinder.com/post/24510810/chimica-e-uomo-dove-e-il-problema


Il 2011 è l'anno internazionale della Chimica, insomma un momento di riflessione sul ruolo di questa disciplina. Come molti altri chimici sono parecchi anni che rifletto su questo ruolo e credo sia il momento di tirare qualche conclusione. A differenza di altre discipline come la fisica, la biologia o la matematica la chimica non ha una buona immagine presso l'opinione pubblica; basti pensare all'uso aggettivale di fisico, chimico, biologico o matematico; rifletteteci un momento. Di questi quattro termini aggettivali chimico è l'unico che ha un'accezione negativa, fortemente negativa. Biologico viene contrapposto addirittura a chimico; fisico tutto sommato è neutro, matematico ha comunque il senso di esatto, preciso, casomai da un'idea noiosa, ma non negativa.

lunedì 4 aprile 2011

Elio, Via dei Gas Nobili 2

2011 Anno Internazionale della Chimica

Con questo bel nome, l'elio, con peso atomico 4, è il secondo elemento come abbondanza nell'universo, subito dopo l'idrogeno, da cui è preceduto anche nella tabella periodica degli elementi. Tuttavia sulla superficie della Terra l'elio è abbastanza scarso, tanto è vero che appartiene alla serie dei gas rari --- elio, neon, argon, cripto, xeno e radon --- chiamati anche gas nobili perché non reagiscono quasi per niente con altri elementi, cioè, come i nobili, non amano mischiarsi con la gente comune.

Nonostante tanta spocchia l'elio rappresenta un gas tecnico di grande importanza commerciale. L'elio è stato scoperto per la prima volta nel 1868 sul Sole (per questo gli è stato dato il nome della nostra stella) attraverso l'analisi spettrografica della radiazione solare, quasi contemporaneamente dall’astronomo Pierre Janssen (1836-1920) e dagli inglesi Norman Lockyer (1836-1920) e Edward Frankland (1825-1829). Il fisico italiano Luigi Palmieri (1807-1896) fu il primo a riconoscere la presenza dell’elio sulla Terra analizzando per via spettroscopica la lava del Vesuvio. Più tardi Sir William Ramsey (1852-1916) isolò il gas elio da un minerale contenente uranio. L'elio si forma infatti, ma anche questo sarebbe stato chiarito dopo, dall'uranio e dal torio che, nel loro decadimento radioattivo, emettono una o più particelle alfa, che sono nuclei di elio.

Poiché, peraltro, l'elio è un gas molto leggero, tende a sfuggire all'attrazione terrestre, per cui attualmente la sua concentrazione di equilibrio nell'atmosfera --- come risultato del bilancio fra quello che si libera continuamente dagli elementi radioattivi della crosta terrestre e quello che sfugge negli spazi interplanetari --- è bassissima, di circa 5,2 parti per milione, pari a 0,0005 per cento.

Nel 1903 è stato scoperto che il gas naturale di un giacimento del Kansas conteneva circa il 2 % di elio e nel 1908 l'elio è stato ottenuto allo stato liquido, raffreddando il gas alla bassissima temperatura di 4 gradi Kelvin, pari a 269 gradi Celsius sotto zero. La produzione industriale dell'elio è cominciata negli Stati Uniti, durante la prima guerra mondiale: il gas veniva usato per riempire i dirigibili, essendo leggero e non infiammabile. Gli altri paesi riempivano i dirigibili con gas idrogeno che è molto infiammabile e pericoloso, e anzi la mancanza di elio, al di fuori degli Stati Uniti, ha portato al rapido declino dei trasporti con il mezzo più leggero dell'aria, riempito con idrogeno. L'ultima catastrofe, l'incendio dell'idrogeno del dirigibile tedesco Hindenburg al suo arrivo in America nel 1937, ha segnato un declino di questo mezzo di trasporto.

Nel frattempo sono state trovate molte importanti applicazioni tecniche e anche militari dell'elio, la cui produzione è andata aumentando, soprattutto dagli anni quaranta del Novecento. Negli Stati Uniti l'elio viene recuperato da campi metaniferi, soprattutto nel Texas, che contengono metano con una concentrazione fra lo 0,2 e l'uno per cento. Le applicazioni attuali dell'elio vanno dalla saldatura, in atmosfera priva di ossigeno, di materiali e leghe ossidabili, alla produzione del freddo a bassissima temperatura, per esempio nel campo dell'elettronica e dei superconduttori (i materiali che consentono di trasportare l'elettricità, a bassissima temperatura con pochissime perdite di energia); l'elio viene inoltre impiegato per eliminare materiali infiammabili dai serbatoi, in laboratorio per le gascromatografie e per il riempimento di bombole per sommozzatori. Tali bombole non possono contenere aria (78 % di azoto e 21 % di ossigeno) e vengono invece riempite con una miscela di ossigeno e elio, altrettanto inerte come l'azoto, ma molto più leggero.

Il principale impiego è comunque ancora per rifornire i dirigibili usati a fini turistici o per sopralluoghi o ispezioni dall’alto. La Goodyear, che possiede alcuni di tali dirigibili, ciascuno contenente circa 5000 metri cibi di elio, ne acquista da sola da 250 a 500 metri cubi all’anno.
La produzione mondiale di elio si aggira (2009) intorno a 170 milioni di m3, di cui 80 sono prodotti negli Stati Uniti dal gas naturale e 45 sono estratti da un grande deposito governativo sotterraneo che si trova a Cliffside, nel Texas, gestito dal governo degli Stati Uniti. Altri produttori di elio dal gas naturale sono l’Algeria e il Qatar.

Idrogeno

2011 Anno Internazionale della Chimica

http://www.ilb2b.it/node/26639

Nella città degli elementi chimici l’idrogeno è così pieno di superbia che abita in un villino per conto suo, all’ingresso delle strade principali. Ha peso atomico uno e convive con due fratelli, aventi peso atomico 2, il deuterio, e 3, il trizio. L’idrogeno rappresenta circa il 70 % di tutta la materia esistente nell’universo; era abbondante anche sulla Terra, naturalmente, 40 milioni di secoli fa, da solo o combinato con l’azoto sotto forma di ammoniaca H3N, con il carbonio sotto forma di metano H4C, o con l’ossigeno sotto forma di acqua H2O. Dal momento che era il gas più leggero, a poco a poco come tale si è perso negli spazi interplanetari ed è stato spiazzato dall’ossigeno; i suoi composti se ne sono liberati trasformandosi in azoto gassoso, in ossido di carbonio e anidride carbonica e l’idrogeno è rimasto combinato nell’acqua e ha comunque continuato a dominare gli eventi terrestri.

L’idrogeno reagendo con altro ossigeno ha generato enormi quantità di acqua, liquida e vapore in un lungo gran diluvio; nel frattempo si è andato combinando con il carbonio, l’ossigeno e l’azoto formando carboidrati, grassi e proteine, le pietre costitutive della vita che senza idrogeno non potrebbe esistere; per questo si da tante arie. Di idrogeno ci sono riserve enormi sul pianeta: l'acqua ne contiene l'undici per cento; i prodotti petroliferi (benzina, gasolio, eccetera) ne contengono dal 10 al 15 percento; il metano (il principale costituente del gas naturale) ne contiene il 25 %.

L’idrogeno gassoso cominciò ad essere prodotto artificialmente già agli inizi del 16° secolo trattando i metalli con acidi forti. Henry Cavendish (1731-1810) è stato il primo a riconoscere che l’idrogeno era una sostanza unica e che, bruciando, produce acqua, una proprietà per la quale gli è stato dato il nome che in greco significa, appunto, generatore di acqua. Oggi l’idrogeno si ottiene, insieme all’ossido di carbonio, trattando il carbone ad alta temperatura con vapore d’acqua, o, più comunemente, per elettrolisi dell’acqua o di soluzioni saline (è un sottoprodotto dell’industria della soda caustica).

Nel combinarsi con l’ossigeno, l’idrogeno libera grandi quantità di calore, a parità di peso tre o quattro volte più del carbone o del petrolio e ci sono molti che pensano di poterlo utilizzare come combustibile nelle centrali e negli autoveicoli. E’ certo possibile e ci sono automobili che funzionano bruciando idrogeno anche se è scomodo e pericoloso da trattare e deve essere tenuto in pesanti serbatoi sotto pressione che dovrebbero essere caricati sugli autoveicoli e sui treni; meglio sarebbe usare l'idrogeno per ottenere, con le "celle a combustibile", direttamente elettricità per azionare i veicoli. Purtroppo se si vuole usare idrogeno al posto della benzina bisogna tenere conto che l’idrogeno deve essere estratto dall’acqua mediante elettrolisi, o dagli idrocarburi portando via carbonio, con conseguente consumo di energia, anzi per ottenerlo ci vuole più energia di quella che l’idrogeno fornisce bruciando in un motore a scoppio. Una ”società dell’idrogeno” si potrebbe realizzare soltanto ricorrendo a fonti di elettricità rinnovabili, cioè all'energia idroelettrica, e a quella che si può ottenere dal Sole e dal vento, trasportata agli impianti di elettrolisi.

L’idrogeno ha molti usi industriali; è stato usato per alcuni anni per il riempimento dei dirigibili, fino al disastro del dirigibile Hindenburg che, nel 1937, esplose per l’incendio dell’idrogeno; oggi nei dirigibili al posto dell’idrogeno viene usato elio.

Il simbolo dell’idrogeno è “acca”, un nome purtroppo associato anche alle più terribili bombe nucleari, quelle termonucleari, che liberano grandissime quantità di energia esplosiva e devastante con una reazione basata sulla “fusione” di due nuclei di deuterio, l’isotopo 2 dell’idrogeno, la stessa reazione che avviene all’interno del Sole a qualche milione di gradi di temperatura.

Berillio, Via del Secondo Gruppo 4

2011 Anno Internazionale della Chimica

http://www.ilb2b.it/node/26796

Molti anni fa Isaac Asimov ha scritto una storia di fantascienza in cui racconta che un equipaggio spaziale è stato inviato su un pianeta apparentemente fertile, con condizioni simili a quelle terrestri, abbondante vita vegetale, che sembrava ideale per l'insediamento di una colonia umana, per scoprire la causa della morte misteriosa dei componenti di una spedizione precedente. La morte è risultata provocata da una malattia che si manifestava con una progressiva difficoltà di respirazione e che si era poi rivelata come dovuta all'alta concentrazione di berillio su tale pianeta.

La berillosi è effettivamente una nota malattia professionale che si manifesta con l'infiammazione dei polmoni che riduce o impedisce la respirazione. Alla berillosi, difficile da curare ma fortunatamente abbastanza rara, sono esposti i lavoratori di alcuni settori industriali che impiegano il metallo, le sue leghe e i suoi ossidi; in passato la berillosi si manifestava negli addetti alla fabbricazione delle lampade fluorescenti il cui interno era rivestito di ossido di berillio.

Il berillio --- il cui simbolo chimico è Be e il peso atomico è 9 --- è un metallo relativamente raro; nel corpo umano in media se ne trovano circa 0,03 mg; nei mari e negli oceani la concentrazione di questo elemento è di circa 0,03 mg per metro cubo; nelle rocce terrestri il contenuto medio di berillio è di circa 2 mg per tonnellata.

Per l'ottenimento industriale del metallo si parte da alcuni minerali, fra cui il berillo, un silicato di berillio e alluminio, che è anche usato come pietra preziosa e ornamentale. La varietà colorata di verde per la presenza di tracce di cromo prende il nome di smeraldo; la varietà dotata di un colore bleu pallido si chiama acquamarina.

I principali paesi produttori di minerali di berillio sono gli Stati Uniti e la Cina, con una produzione di circa 190 tonnellate allè’anno. Per estrarre il metallo i minerali ricchi di berillio sono scaldati ad alta temperatura e poi trattati con agenti chimici in modo da trasformare il berillio in fluoruro o in solfato, che sono solubili in acqua; dalle soluzioni viene separato, con processi chimici o fisici, o il metallo o l'idrato, da cui successivamente si prepara l'ossido.

Industrialmente il berillio è importante perché è l'unico metallo leggero (la sua massa volumica è di 1,85 g/cm3) dotato di un'elevata temperatura di fusione (oltre 1250 gradi Celsius) e perché non è attaccato né all'aria né dall'acqua, neanche ad alte temperature. Per esposizione all'aria si forma sulla superficie del berillio un leggero strato di ossido che protegge il metallo dal successivo attacco di agenti esterni.

Il berillio viene usato, in generale in lega con altri metalli, specialmente nelle leghe "leggere" con alluminio e magnesio, nell'industria aeronautica e spaziale per la sua elevata resistenza all'usura e per le sue doti di conducibilià termica. La sua lega col rame presenta elevata conducibilità elettrica ed è largamente usata nell'industria petrolifera per strumenti nei cui contatti non si devono formare scintille che potrebbero infiammare i gas combustibili.

Oltre che come metallo, il berillio è usato come ossido, una sostanza dotata di elevata temperatura di fusione, di elevata conducibilità termica e di bassa (a differenza del metallo) conducibilità elettrica. Trova perciò impiego negli isolatori elettrici e nei transistor di potenza. L'ossido di berillio viene usato anche nell'industria ceramica.

Il berillio ha la proprietà di non assorbire i neutroni, ma di rallentarne la velocità, per cui i fabbricanti di bombe nucleari e di centrali nucleari usano il berillio e il suo ossido per i contenitori del materiale fissile --- uranio o plutonio --- o come "moderatore". Proprio in una fabbrica militare di armi nucleari nell'Unione Sovietica si è avuta, nell'ottobre 1990, un'esplosione che ha gettato nell'aria una "nube" di ossido di berillio che ha contaminato la zona circostante, al confine con la Cina, e i suoi abitanti.

Il berillio ha anche interesse come indicatore geologico; oltre al berillio ordinario esiste un isotopo radioattivo, il berillio-10, che si forma dalla collisione dei raggi cosmici con i gas dell'alta atmosfera. Le analisi della concentrazione di berillio-10 nei ghiacci hanno mostrato che, negli ultimi due secoli, la concentrazione di tale isotopo è maggiore quando aumenta la "attività" del Sole, per cui la misura della sua concentrazione può fornire informazioni sulla storia climatica della Terra.

Cloro, Via degli Alogeni 17

2011 Anno Internazionale della Chimica

http://www.ilb2b.it/node/27067

Pochi elementi sono stati amati e odiati fervidamente come il cloro, Cl, elemento con peso atomico 35, abbondante in natura soprattutto perché combinato con il sodio nel comune e prezioso sale marino, indispensabile per l’alimentazione umana, per la conservazione della carne e delle pelli. Per millenni il cloro come elemento è rimasto nascosto, saldamente combinato col sodio; anche quando i chimici hanno scomposto il cloruro di sodio trattandolo con acido solforico, e hanno liberato l’acido cloridrico, il cloro è rimasto sconosciuto come elemento. E perfino il grande chimico svedese Carl Scheele (1742-1786), che lo produsse ossidando l’acido cloridrico con biossido di manganese, non capì che il gas che si liberava era un elemento. Ci sarebbe voluto l’inglese Humphry Davy (1778-1829) a riconoscere l’esistenza del cloro elementare il quale cominciò da allora una vita travagliata. Fu ben presto scoperto che poteva essere recuperato ossidando l’acido cloridrico, il sottoprodotto inquinante della produzione del carbonato di sodio col processo Leblanc, e trovò un mercato quando si scoprì che col cloro potevano essere disinfettate le acque e sbiancati i tessuti e la carta. Una volta conosciuto, il cloro si dimostrò adatto a trasformare molte sostanze organiche, destinate a varia sorte. Dapprima lodate, come nel caso del cloroformio che poteva sostituire con successo il pericoloso etere etilico come anestetico, poi riconosciuto dannoso; simile sorte toccò ai solventi clorurati, non infiammabili, che potevano sostituire la benzina nelle estrazioni dei grassi industriali e nel lavaggio industriale, ma anch’essi trovati cancerogeni

Ma il massimo dello scandalo si ebbe nella prima guerra mondiale quando le fertili menti dei chimici tedeschi scoprirono che il cloro gassoso poteva essere usato come gas asfissiante; a dire la verità lo usarono anche gli altri belligeranti ma al nome del tedesco Fritz Haber (1868-1934) è rimasta incollata l’infamia del primo uso di aggressivi chimici in guerra.

Da allora in avanti il cloro ha trovato crescenti impieghi nell’industria chimica, soprattutto nella chimica organica industriale, tanto da diventare un importante co-prodotto dell’industria elettrolitica che, partendo dal sale, produce, insieme, in quantità quasi uguali, idrato di sodio e cloro. Dovunque il cloro entrava in qualche molecola ne migliorava le caratteristiche, soprattutto rendendole ininfiammabili. Nacque così l’industria delle materie plastiche clorurate a base di cloruro di vinile, facilmente ottenibile dalla reazione del cloro con etilene. Il cloruro di vinile poteva essere facilmente trasformato in numerose resine poliviniliche che si dimostrarono di grande utilità per rivestimenti dei fili elettrici, tubi non corrosivi per acque, pellicole. Purtroppo per il cloro, ben presto, già negli anni cinquanta del Novecento, si è visto che il cloruro di vinile era un potente cancerogeno e quindi gli operai che lo producevano erano esposti a gravi rischi. Come se non bastasse, nell’incenerimento dei rifiuti contenenti cloruro di polivinile liberava il corrosivo acido cloridrico.

Il cloro continuava la sua corsa al successo entrando come ingrediente nella fabbricazione di potenti insetticidi e erbicidi, ma tale successo fu presto compromesso quando si scoprì che molti di questi erano non biodegradabili e persistenti e dai campi, disciolti nei grassi, arrivavano nel corpo degli animali e anche in quello umano. Salutato con entusiasmo per essere riuscito a sconfiggere la malaria in molte zone, il DDT, un insetticida contenente vari atomi di cloro nella molecole, si rivelò tossico e ne fu ridotto l’uso. Simile sorte ebbero altri erbicidi clorurati e il colpo mortale fu dato dalla scoperta che, durante il riscaldamento di qualsiasi molecola organica contenente cloro si formava un nuovo potente cancerogeno clorurato, la diossina. Nonostante tanti inconvenienti e contestazioni il cloro continua il suo pur contrastato cammino e nel mondo se ne producono ancora circa 70 milioni di tonnellate all’anno.

lunedì 21 marzo 2011

Alluminio, Via del Terzo Gruppo 13

2011 Anno Internazionale della Chimica

http://www.ilb2b.it/news/elementi-alluminio-del-terzo-gruppo-13

Oggi gli oggetti di alluminio sono banali e diffusissimi, ma ai primi dell'Ottocento l'alluminio era ancora una sostanza misteriosa, benché fosse e sia il terzo elemento più diffuso sulla crosta terrestre, dopo l'ossigeno e il silicio. Il suo carattere misterioso è dovuto al fatto che l'alluminio si è trasformato, nella lunga storia geologica della Terra, in ossidi, idrati e silicati, difficilmente attaccabili da altri agenti chimici.

La scoperta che molti diffusi minerali nascondevano un "nuovo" metallo si deve al chimico tedesco Friedrich Wöhler (1800-1882), che nel 1827 riuscì a trasformare l'ossido di alluminio in cloruro di alluminio e ad ottenere, trattando il cloruro con potassio metallico, un metallo bianco, argenteo, leggero e molto bello, di peso atomico 27, resistente alla corrosione.

Nel 1854 il francese Saint-Claire Deville (1818-1881) scoprì che era possibile scomporre il cloruro di alluminio con sodio metallico, meno costoso del potassio usato da Wöhler. L’alluminio, per le sue proprietà, ebbe l'onore delle prime pagine dei giornali e fu presentato all’Esposizione universale di Parigi del 1855, sotto forma di monili, ornamenti e posaterie di lusso.

Napoleone III, comprendendo l'importanza del nuovo metallo, incoraggiò e sostenne una sua produzione industriale. Una materia prima abbondante fu trovata nella bauxite, un minerale di cui esistevano giacimenti in Francia intorno a Le Baux, nella Provenza. Un primo successo si ebbe con la scoperta che era possibile purificare la bauxite trattandola con acqua e idrato sodico; l'alluminio forma un idrato solubile mentre resta insolubile un fango contenente ossidi di ferro e di altri metalli. La soluzione contenente idrato di alluminio può essere scomposta in modo da ottenere una polvere di idrato di alluminio molto puro e da questo l'ossido di alluminio un processo perfezionato e brevettato nel 1888 dall'austriaco Karl Bayer (1849-1904). La trasformazione dell’ossido di alluminio in alluminio su larga scala fu resa possibile dalla disponibilità di elettricità a basso prezzo: due giovani inventori, entrambi di 22 anni, Paul Héroult (1863-1914) in Francia e Charles Hall (1863-1914) negli Stati Uniti, scoprirono indipendentemente e brevettarono, nel 1886, a poche ore di distanza, uno da una parte e uno dell'altra dell'Oceano, il processo elettrolitico che si segue ancora oggi.

L'invenzione consisteva nello "sciogliere" ad alta temperatura l'ossido di alluminio in una sostanza, la criolite, costituita da fluoruro di alluminio e potassio; il passaggio della corrente elettrica attraverso questa soluzione scompone l'ossido di alluminio in alluminio e in ossigeno che reagisce con l'elettrodo di carbone e da luogo alla formazione di ossido di carbonio. Con questo processo l'alluminio si avviava a diventare il nuovo metallo strategico e compariva sul mercato proprio nel momento in cui nascevano l'industria automobilistica e quella aeronautica; gli aeroplani avrebbero potuto sollevarsi e volare soltanto se la loro struttura fosse stata sufficientemente "leggera" e l'alluminio, che pesa tre volte meno del ferro, divenne subito il metallo favorito. Nel 1903 fu costruito il primo blocco motore per aereo in lega di alluminio e rame.

Durante tutto il Novecento la produzione di alluminio è aumentata continuamente. Attualmente vengono estratti ogni anno nel mondo 180 milioni di tonnellate di bauxite, principalmente in Australia, Brasile, Cina, Guinea, Giamaica, e vengono prodotti 28 milioni di tonnellate di alluminio primario (si tratta del secondo metallo come importanza industriale; la produzione del primo, l'acciaio, supera di poco i 1100 milioni di tonnellate all'anno). Altro alluminio è ottenuto dalla rifusione di rottami, lattine, imballaggi, eccetera; il consumo di energia per ottenere l'alluminio riciclato (alluminio secondario) è venti volte inferiore a quello che si ha quando si produce alluminio primario dalla bauxite.

Con l’alluminio è possibile preparare, con altri metalli, migliaia di leghe, ciascuna delle quali ha speciali proprietà. L'alluminio può essere reso resistente alla corrosione mediante un trattamento elettrolitico superficiale. La maggioranza degli impieghi sono nell'industria automobilistica, motociclistica, aeronautica, dove le proprietà di "leggerezza", cioè di basso peso specifico, sono particolarmente importanti, nell'industria elettrica, nella produzione di imballaggi anche alimentari, in edilizia e in innumerevoli altri campi.

La Chimica nel bene e nel male

2011 Anno Internazionale della Chimica

La Gazzetta del Mezzogiorno, mercoledì 16 marzo 2011

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Immaginate Parigi, un freddo capannone, col tetto sconnesso e una giovane immigrata polacca, Marie Sklodowska (1867-1934), alle prese con un mucchio di terra costituita dalle scorie della miniera ceca di Joachimsthal, con l’incarico di cercare di identificare quale frazione di questi rifiuti era capace di impressionare al buio delle lastre fotografiche, come aveva scoperto il suo “principale” il grande fisico Henri Becquerel (1852-1908). E’ aiutata dal marito il giovane professore francese, Pierre Curie (1859-1906), che aveva messo a punto uno strumento capace di svelare la strana attività di quel “qualcosa” contenuto in tali rifiuti. Come è noto, i due Curie identificarono la fonte di quella che chiamarono “radioattività”, in due nuovi elementi chimici, il radio e il polonio. Becquerel e i due Curie ebbero il premio Nobel per la fisica nel 1903. Ma l’avventura di Marie Curie non si darebbe fermata; per le ricerche sulla separazione chimica dei due nuovi elementi allo stato puro, l’argomento della sua tesi di laurea in chimica, la Curie ottenne anche il premio Nobel per la chimica nel 1911. Le Nazioni Unite hanno deciso di proclamare ”Anno internazionale della Chimica” il 2011, il centenario del secondo premio Nobel per Marie Curie.

Strano destino quello della chimica, un nome che affonda le radici nel mondo medievale, viene da una parola araba che indica l’abilità di trasformare i corpi della natura, ammantata di mistero quando si pensa agli alchimisti che promettevano agli avidi potenti di trasformare i metalli vili in oro; fino alla fine del Settecento quando sono stati gettate le fondamenta della chimica moderna, capace di trasformare il sale del mare in detersivi, lo zolfo e i minerali in concimi, e poi di trasformare i gas dell’aria e i residui del carbone e il petrolio in innumerevoli prodotti commerciali, fino alle materie plastiche, alle fibre e alla gomma sintetica, e poi medicinali, esplosivi, cosmetici, eccetera. La chimica esaltata quando si sperava che fosse capace di produrre agenti capaci di distruggere i parassiti, fino a quando non si sono scoperte le trappole in cui era possibile cadere dall’uso dei pesticidi sintetici, l’”arte” che salva le vite e che avvelena.

Di queste contraddizioni si fa interprete il linguaggio comune per cui molte cose “buone” vengono presentate “senza chimica”, e molte cose “cattive” sono presentate come “chimica”. Alla cattiva fama della chimica hanno contribuito incidenti industriali, come quelli di Seveso e di Manfredonia, e la delusione delle fabbriche che sono state chiuse una dopo l’altra lasciandosi dietro terreni contaminati e disoccupazione. Chimica poco conosciuta e poco amata, spesso insegnata male e senza amore, per cui si può dire che esistono, anche fra le persone colte e gli intellettuali, molti analfabeti di chimica.

Eppure la conoscenza della chimica apre gli occhi su orizzonti sterminati e mostra, mi perdonino i lettori, anche una intrinseca bellezza e armonia e rappresenta una sgida per il futuro. Mediante metodi chimici e chimico-fisici sempre più raffinati è possibile svelare la contaminazione degli alimenti, la presenza di pesticidi nelle verdure, la presenza di agenti inquinanti nell’aria; i metodi di analisi chimica hanno permesso di svelare la formazione di diossine negli inceneritori, di idrocarburi cancerogeni nei fumi delle combustioni, ma anche le frodi consistenti nella miscelazione di oli di mandorle e nocciole con l’olio di oliva, la presenza di rottami radioattivi nelle importazioni destinate alle fonderie di metalli.

Anzi c’è disperato bisogno di un crescente numero di buoni chimici proprio nei servizi pubblici di repressione delle frodi e di difesa della salute. C’è poi lo sterminato campo della chimica delle sostanze naturali; il mondo vegetale e animale contiene innumerevoli sostanze, in gran parte ancora misteriose, che potrebbero curare malattie e combattere i parassiti, che potrebbero fornire fonti di energia rinnovabili e non inquinanti o materie plastiche alternative a quelle del petrolio.

Benché la chimica delle sostanze naturali sia studiata in molti laboratori, la fantasia della natura è così grande che ci vorrebbero decenni di lavoro e tantissimi (bravi) chimici per svelare i suoi segreti; non va dimenticato che la maggior parte dei medicinali che usiamo derivano, direttamente o indirettamente, dma modificazioni chimiche di sostanze naturali, l’aspirina da componenti delle foglie del salice, i cortisonici dagli steroli naturali, eccetera. Quel DNA di cui si parla nelle indagini poliziesche (è l’acronimo del nome di una precisa sostanza chimica), si può caratterizzare con raffinate tecniche messe a punto da chimici e ormai praticate in tantissimi laboratori.

Sempre di più i chimici riescono a modificare su misura le molecole in modo da scoprirne nuove proprietà, talvolta verificando le proprietà che erano state previste teoricamente con i calcolatori elettronici. E proprio questi, i computer, sono così potenti e stanno diventando sempre più potenti perché i chimici e i fisici insieme modificano dei piccolissimi pezzi di materia per costringere il silicio e altri “semiconduttori”, a immagazzinare grandissime quantità di informazioni in uno spazio sempre più ristretto. Se godete dei colori brillanti dello schermo dei vostri televisori ringraziate i chimici che hanno caratterizzato ed estratto dai minerali l’europio e altri elementi delle terre rare, che, stesi sui monitor, riescono a generare immagini così realistiche.

Ed esiste poi la grande chimica più “volgare”, quella delle industrie chimiche, detestate e contestate, ma di cui non potremmo fare a meno se vogliamo che i campi siano fertili, so vogliamo correre con le automobili su ruote coperte di gomma sintetica, se ci pavoneggiamo in bei vestiti di fibre sintetiche, se possiamo portare la spesa a casa dal negozio dentro i “sacchetti” biodegradabili; e anche le buste riutilizzabili alternative sono ottenute con fibre sintetiche o con fibre naturali trattate con la detestata “chimica”. E chimici sono i processi che trasformano i minerali in acciaio o alluminio o rame, processi che generano fumi e rifiuti ma solo perché la chimica viene usata poco e male, e invece adatti processi chimici potrebbero abbattere le nocività ambientali che escono dai camini, se tanti imprenditori non volessero risparmiare soldi, a spese della salute altrui.

E la chimica protegge i metalli dalla corrosione con vernici, e protegge i raccolti trasformandoli in alimenti con processi di conservazione. Se fosse vero quello che ho finora detto ci sarebbe da chiedersi perché la chimica è così detestata. La ragione credo vada cercata nella incapacità sia delle industrie, sia del mondo accademico, di parlare con sincerità e chiarezza sul rispettivo operare. Spesso la chimica viene presentata con discorsi melensi, quasi difesa di ufficio per mettere a tacere i critici. Il grande chimico Linus Pauling (1901-1994), premio Nobel per la chimica (e con un secondo premio Nobel per la Pace) scrisse una volta che i chimici devono smettere di parlare soltanto alle loro provette e devono imparare a parlare “al popolo”. Pensate che, purtroppo, non c’è una rivista popolare che parli di chimica in maniera chiara, spregiudicata e sincera, che parli di chi ha fatto progredire la chimica e di chi la sta facendo progredire, non con fatue esposizioni pubblicitarie, ma nel silenzio dei laboratori e della fantasia.

sabato 12 marzo 2011

Benzopirene: nemico numero uno

2011 Anno internazionale della Chimica

La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 1 marzo 2011.

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Con un opportuno decreto la Regione Puglia ha stabilito, dopo anni di rinvii, che la massima concentrazione nell’atmosfera del benzopirene non debba superare il valore di un nanogrammo (milionesimo di milligrammo) per metro cubo. Il benzopirene è la più cancerogena fra le sostanze presenti nelle polveri che si formano in tutti i processi di combustione.

La presenza di qualcosa di tossico e cancerogeno fra i prodotti di trasformazione del carbone è stata denunciata già nel 1775 dal medico inglese Sir Percival Pott (1714-1788), che osservò la comparsa di tumori negli spazzacamini, gli operai addetti alla pulizia dei camini. Si trattava soprattutto di sventurati bambini che, essendo piccoli, venivano calati nelle canne fumarie e, con adatte spazzole, rimuovevano la fuliggine, depositata sulle pareti interne, che loro assorbivano sulla pelle e nei polmoni. La formazione di una fastidiosa polvere nera era stata osservata, da sempre, nella combustione del legno e ancora più quando è cominciato l’uso del carbone nella Londra del Cinquecento.

I tumori che Pott aveva osservato negli spazzacamini furono riscontrati anche nei lavoratori addetti alla produzione del carbone coke, impiegato in siderurgia, ottenuto scaldando ad alta temperatura, in assenza d’aria, entro grandi “stufe” chiuse, il carbone fossile. In questa operazione si formavano anche grandi quantità di prodotti gassosi, liquidi e catramosi. In un primo tempo venivano buttati via, poi i chimici cominciarono ad analizzarli e videro che potevano avere molte utilizzazioni, tanto che i sottoprodotti delle cokerie divennero materie prime per vari processi. Dalle frazioni liquide e catramose fu possibile ricavare molte molecole, come fenolo, cresoli, naftalina, antracene, eccetera, adatte per la produzione di coloranti, medicinali, disinfettanti, esplosivi. Maggiori rese si ottenevano sottoponendo a distillazione anche l’ultimo residuo, il catrame di carbon fossile.

Davanti alla comparsa di tumori negli addetti a tutte queste lavorazioni, i chimici e i biologi cercarono di identificare la causa di tali malattie; per molti decenni la fuliggine e i derivati del catrame vennero spennellati sulla pelle dei topi da laboratorio per vedere quali frazioni erano più cancerogene. Nei primi del Novecento i perfezionamenti dei metodi di analisi chimica consentirono di separare e caratterizzare numerose sostanze che si rivelarono cancerogene. Si trattava in gran parte di idrocarburi aromatici policiclici, contenenti diecine di atomi di carbonio e idrogeno uniti fra loro in “anelli”.

La svolta fondamentale si ebbe con le ricerche condotte negli anni trenta del Novecento da James Wilfred Cook (1900-1975) che preparò per sintesi numerosi idrocarburi policiclici ad alto grado di purezza con cui fu possibile riconoscere il vario grado di cancerogenicità di ciascuno. Il più tossico si rivelò appunto il 3,4-benzopirene, generalmente indicato come benzo(a)pirene per distinguerlo dal benzo(e)pirene (4,5-benzopirene) che ha lo stesso numero di atomi di carbonio e idrogeno, ma disposti diversamente. Negli anni 40 fu possibile anche identificare a quali strutture molecolari era maggiormente associata l’attività cancerogena. Per inciso è stato l’argomento della mia tesi di laurea in chimica nel 1949 nell’Università di Bari e di un successivo libro.

A questo punto si trattava di vedere quale fosse l’origine di questi inquinanti dell’atmosfera e dell’ambiente, tanto dannosi per la salute umana. Innanzitutto una fonte importante sono le attività legate al carbone, sia come combustibile sia per il suo impiego in siderurgia; ancora oggi, ormai solo a Taranto, viene prodotto coke siderurgico in “stufe” in cui si formano benzopirene e simili idrocarburi cancerogeni che in parte finiscono nell’atmosfera. Oggi i derivati della distillazione del catrame di carbone vengono prodotti per via petrolchimica, ma per decenni i lavoratori del settore della carbochimica sono stati esposti al contatto con idrocarburi cancerogeni.

Poi si è visto che il benzopirene e simili idrocarburi si formano in tutte le combustioni incomplete; per esempio nella combustione del gasolio, per cui sono presenti nei gas di scarico degli autoveicoli, ma anche nel riscaldamento dei grassi e perfino nel fumo dell’incenso. In particolare le sostanze catramose che si formano nel fumo delle sigarette contengono benzopirene, fonte dei tumori al polmone che rappresentano la causa di circa un quarto delle morti per cancro. Il benzopirene e simili idrocarburi cancerogeni sono quindi da considerare il nemico ambientale numero uno da combattere, ed è giusto limitarne le emissioni anche a costo di disturbare interessi industriali.

mercoledì 9 marzo 2011

SM 2884 -- Non ci sono emissioni zero -- 2007

2011 Anno internazionale della Chimica
La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 13 novembre 2007

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Un signore mi ha scritto comunicandomi di aver inventato una macchina che funziona con emissioni zero: la si può applicare con successo alla marmitta delle automobili, ai camini delle caldaie e a molti altri processi inquinanti. Cerco di spiegargli che non si può promettere un qualsiasi dispositivo con emissioni zero: qualsiasi processo che ha a che fare con la trasformazione della materia --- un processo che brucia benzina con ossigeno, un processo che trasforma calcare e sabbia in cemento, eccetera --- alla fine inevitabilmente emette nell'ambiente qualcosa che non è "zero". Il mio interlocutore mi risponde un po' stizzito che evidentemente non leggo i giornali e le riviste o non consulto Internet perché ci sono migliaia di casi in cui si parla di emissioni zero. Le più diffuse promesse di "emissioni zero" riguardano le automobili, nelle quali, come si sa, le ruote possono girare grazie alla trasmissione del movimento avanti e indietro di un pistone in un "cilindro". Nel cilindro viene immessa benzina e aria; l'ossigeno dell'aria, reagendo con il carbonio e l'idrogeno della benzina, fa aumentare nel cilindro la temperatura e il volume dei gas che, espandendosi, spostano il pistone.

martedì 8 marzo 2011

La cattura dell'anidride carbonica

2011 Anno Internazionale della Chimica
La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 8 marzo 2011

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Nei giorni scorsi a Cerano, vicino Brindisi, è stato inaugurato un impianto pilota per la cattura dell’anidride carbonica CO2 immessa nell’atmosfera dalla locale centrale termoelettrica. Strano gas questa CO2, così importante per tutto il ciclo della vita sulla Terra, sostanzialmente innocuo (è proprio lui che rende frizzanti le acque in bottiglia e le bevande “gassate”), ma così fastidioso quando viene immesso in “eccessiva” quantità nell’atmosfera.

sabato 5 marzo 2011

Persone della Chimica: Justus von Liebig

2011 Anno Internazionale della Chimica

Liebig sperimentatore

Liebig è diventato grande scienziato partendo da modeste condizioni. La leggenda vuole che sia stato uno scadente scolaro; era figlio di un droghiere e ben presto si mise a bazzicare con le sostanze del retrobottega del padre e mostrò una passione grandissima per la chimica e le sostanze materiali.

Nel 1826, a ventitre anni, fu chiamato ad insegnare nell'Università di Giessen, dove rimase fino al 1852 quando, ormai celebre internazionalmente, fu chiamato all'Università di Monaco dove rimase fino alla morte, nel 1873. Fu nominato barone nel 1845.

lunedì 28 febbraio 2011

Ferro: Viale della Prima Transizione 26

2011 Anno Internazionale della Chimica

http://www.ilb2b.it/node/26677


Era in gran parte di ferro quella scheggia di materia che è stata lanciata nello spazio, destinata a girare intorno ad una stella calda come il Sole. Col passare del tempo, su tale scheggia, che chiamiamo Terra, sono successe tante cose; l’ossigeno finito nell’atmosfera e altri gas e l’acqua hanno trasformato il ferro metallico originale in ossidi, idrati, carbonati, solfuri, eccetera, e il prezioso elemento metallico è rimasto nascosto. Fino a quando, circa tremila anni fa, qualcuno ha scoperto che, trattando alcuni minerali con legna e carbone di legna a caldo, si liberava un materiale duro e resistente adatto per fabbricare frecce, martelli, scalpelli, aratri. Ci sarebbe voluto del tempo per riconoscere che tale materiale, chiamato ferro, era in realtà costituito da innumerevoli leghe, con molti altri elementi, dell’elemento ferro con peso atomico circa 56.

Nel trattamento con carbone di legna dei minerali si liberava ferro con una quantità maggiore o minore di carbonio; soltanto per riscaldamenti successivi si riusciva a recuperare ferro metallico quasi puro, il “ferro dolce”, che, però, serviva a poco; molto migliori erano certe leghe di ferro col carbonio che furono più tardi conosciute come acciai. Se l’età del ferro è durata circa tremila anni, soppiantando l’età del bronzo, l’età dell’acciaio è iniziata circa trecento anni fa. Da quel momento il ferro è diventato un materiale strategico, prodotto in tutti i paesi con processi sempre più raffinati. Il principale processo consiste nel trattare i minerali di ferro con carbone coke, e nel trasformare il ferro in una lega ferro-carbonio che fonde facilmente e che fu chiamata ferraccio o ghisa. Anche se si ottiene abbastanza facilmente, la ghisa è fragile e serve a poco, tanto è vero che la maggior parte della ghisa viene sottoposta a trattamenti successivi ad alta temperatura per portarle via gran parte del carbonio presente e trasformarla in leghe ferro-carbonio contenenti circa uno percento di carbonio, gli acciai, appunto.

La chimica del ferro ha impegnato grandi ingegni di scienziati e tecnici, fra cui il francese René Reaumur (1683-1757) che, in una celebre pubblicazione sull’”arte” della fabbricazione del ferro e dell’acciaio, nel 1722 ha descritto gli esperimenti con cui era riuscito a svelare il “segreto” degli antichi fabbricanti di acciaio; spiegò anche che era possibile ottenere acciaio fondendo insieme ghisa e ferro dolce. Nel 1784 l’inglese Henry Cort (1740-1800) brevettò un processo per la trasformazione della ghisa in ferro dolce agitando con una “pala”, ad alta temperatura, all’aria, la ghisa fusa, col che si otteneva una parziale ossidazione del carbonio presente nella ghisa. Da allora chimica e metallurgia insieme riuscirono a scoprire l’effetto che certi elementi presenti nei minerali permettevano di ottenere acciai migliori (il caso del manganese) o peggiori (il caso del fosforo). Da allora fu un continuo progresso per la produzione industriale di acciaio dalla ghisa, per ottenere acciaio trattando insieme ghisa e rottami, fino all’attuale processo che trasforma la ghisa in acciaio mediante trattamento con ossigeno liquido.

Gli oggetti di ferro e acciaio hanno l’inconveniente di essere attaccati, più o meno rapidamente, dagli agenti esterni, soprattutto acqua, sali, ossigeno dell’aria, che trasformano il ferro in ossidi, quella che chiamiamo ruggine. Il ferro usato può essere trasformato di nuovo in acciaio mediante processi di fusione dei rottami. I primi forni elettrici comparvero alla fine dell’Ottocento e ormai circa la metà dei 1400 milioni di tonnellate di acciaio prodotto nel mondo è ottenuto per rifusione dei rottami, uno dei più antichi processi di riciclo dei materiali.

Una svolta importante nell’industria siderurgica si è avuta quando è stato inventato l’uso di fili di acciaio per rinforzare il cemento negli edifici. Il “cemento armato” (il termine più corretto è “calcestruzzo armato”) è stato inventato dal francese Joseph Monier (1823-1906) intorno alla metà dell’Ottocento e, dal 1900 in avanti, è stato usato sempre più spesso nelle costruzioni di edifici, ponti, strade, contribuendo alla richiesta di crescenti quantità di acciaio sotto forma di “tondini”. Intanto le ricerche mostrarono che il ferro assumeva diverse condizioni fisiche col variare della temperatura e della pressione, col che aumentarono le possibilità del suo impiego nei più svariati campi.

Uno degli ossidi naturali del ferro è la magnetite che, con grande sorpresa degli antichi, aveva la proprietà di attrarre alcuni metalli e di orientarsi verso il nord. Questa proprietà “magnetica” è stata utilizzata per fabbricare, probabilmente intorno a mille anni fa, la bussola, uno strumento che aiuta i naviganti a riconoscere la direzione del nord. Il magnetismo di varie forme del ferro ne ha poi diffuso l’impiego in elettrotecnica.

Infine il ferro ha un importante ruolo in biologia in quanto è presente nell’ematina che fa parte dell’emoglobina, la sostanza che presiede al trasporto dell’ossigeno nel sangue.

sabato 5 febbraio 2011

Chimica è parolaccia ?

2011 Anno Internazionale della Chimica

La Chimica e l’Industria, 93, (6), 80-83 (luglio-agosto 2011)

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Parlare di chimica è spesso come presentare nella buona società una sorella dai trascorsi burrascosi. "Chimica" è parola sgradevole per molti orecchi, soprattutto poco informati, per vari motivi apparentemente contrastanti.

Il primo è rappresentato dal modo in cui i grandi mezzi di informazione parlano di cose nelle quali la chimica è coinvolta; non ci mancavano altro che gli attentati con "armi chimiche", in aggiunta agli incidenti "chimici", all'uso sconsiderato della "chimica" in agricoltura, eccetera, per enfatizzare qualsiasi cosa sgradevole associandola all'aggettivo "chimico". Non c'è dubbio che incidenti industriali, intossicazione di lavoratori nelle fabbriche, inquinamenti dell'ambiente hanno luogo spesso in fabbriche chimiche o che trattano prodotti chimici e ad opera di sostanze chimiche. Non c'è dubbio che molte fabbriche producono sostanze chimiche pericolose, talvolta inutili, talvolta oscene come gli agenti di guerra, dai gas asfissianti a quelli lacrimogeni e paralizzanti.

lunedì 24 gennaio 2011

Palladio, Via della Transizione 46

2011 Anno Internazionale della Chimica

http://energia-plus.it/elementi-palladio-viale-del-quinto-periodo-46/

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Il palladio (con peso atomico 106) appartiene ai metalli del gruppo del platino che occupano, nella tabella periodica degli elementi di Mendeleev, due gruppi di caselle: il primo comprende i tre metalli rutenio, rodio e palladio, seguiti dall'argento, e il secondo comprende i tre metalli osmio, iridio e platino, seguiti dall'oro.

Il palladio è stato scoperto nel 1803 dal chimico inglese William Wollaston (1766-1828) che gli diede questo nome in onore di un asteroide che era stato individuato nel 1802. Nell’Ottocento lo si poteva trovare allo stato nativo, sotto forma di pepite, nella Colombia e negli Urali, ma questi depositi si sono rapidamente esauriti. Oggi si produce industrialmente da solfuri metallici nei quali si trova in miscela con platino, rodio e altri metalli preziosi.

Europio, Viale dei Lantanidi 63

2011 Anno Internazionale della Chimica

http://www.ilb2b.it/node/26271

Le schede di “Elementi” che accompagneranno i lettori nel corso del 2011, Anno internazionale della Chimica, cominciano, per un atto di fede europeista, proprio con l’elemento europio, il numero 63 della tabella di Mendeleev, con peso atomico 152, un membro della famiglia di elementi che prendono il nome di lantanidi, o terre rare.

L'europio fu scoperto nel 1890 dal chimico-fisico Paul Emile Lecoq de Boisbaudran (1838-1912) che, analizzando delle miscele di samario e gadolinio, le altre due terre rare che si trovano accanto all’europio, osservò delle righe spettrali che non appartenevano ne' all'uno ne' all'altro. La preparazione dell'europio puro viene però attribuita a Eugene Anatole Demarçay (1852-1904) che ottenne e descrisse l'elemento nel 1901, all'inizio di un secolo che prometteva successi e benessere e forse a questo è dovuta l'assegnazione del nome dell'Europa al nuovo elemento.Le terre rare si trovano in natura per lo più sotto forma di ossidi; il principale minerale è la monazite, e, fra le terre rare, l’europio, arrivato per ultimo come prodotto di importanza commerciale, è il più raro e il più costoso.

lunedì 3 gennaio 2011

Buona chimica buon ambiente

2011 Anno internazionale della Chimica

La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 4 gennaio 2011

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Il 2011 è stato dichiarato “Anno internazionale della Chimica”; strana parola, “chimica”, con origini antichissime come arte di trasformare la materia, dagli artifici per imbalsamare e conservare per l’eternità i morti, alle furbizie per far credere di poter trasformare i metalli vili nel prezioso oro, a rigorosa disciplina scientifica, a parolaccia, impropriamente associata a ogni sconcezza della vita moderna, dai pesticidi alla diossina e agli inceneritori. Poco amata nelle scuole, spesso male o malissimo insegnata, poco attraente come corso di laurea, la povera chimica qualche virtù ha e vorrei difenderla come laureato in chimica, anzi come uno dei primi laureati in chimica dell’Università di Bari, del corso nato nel 1944 utilizzando laboratori e docenti della preesistente Facoltà di Farmacia.

La chimica parla di noi, tutti fatti di elementi atomici, da quelli più diffusi ed essenziali, come ossigeno, carbonio, idrogeno, azoto, fino a quelli meno conosciuti ma altrettanto indispensabili per la vita e l’economia. Ciascuno degli oltre cento elementi ha delle proprietà che si ripetono secondo regole associate alla struttura intima dei protoni e neutroni del loro nucleo, e degli elettroni. Il chimico russo Dmitri Mendeleev (1834-1907) conosceva soltanto una sessantina di elementi ma intuì questa regolarità e dispose gli elementi noti in una tabella fatta di righe e colonne; a mano a mano che nuovi elementi venivano scoperti, ciascuno andava in una casella che Mendeleev aveva lasciato vuota, con le proprietà previste.

Ogni elemento esiste soltanto legato ad altri, in molecole; il gas ossigeno consiste di due atomi dell’elemento ossigeno legati fra loro. Per staccare due atomi legati fra loro occorre dell’energia e ciascuno dei due si ritrova legato a qualche altro atomo di qualche altro elemento. La scienza chimica risolve problemi pratici; la chimica analitica inventa e utilizza metodi chimici e fisici per conoscere quali atomi e molecole sono presenti in un pezzo di natura: in una roccia o in una patata o nelle foglie dell’insalata o nelle cellule di un essere vivente; con metodi chimici è possibile svelare la presenza di sostanze dannose, come gli agenti inquinanti o i veleni nelle acque o negli alimenti, e se si volesse davvero difendere l’ambiente e anche la qualità delle merci, bisognerebbe invocare un potenziamento dei laboratori chimici e un continuo perfezionamento dei metodi di analisi chimica.

La chimica organica permette di riprodurre per sintesi le molecole anche complesse presenti in natura e di inventarne di nuove; qualche volta in tali operazioni ci si accorge che, al fianco delle molecole cercate, si formano sostanze nocive; fu il caso delle diossine svelatesi come sottoprodotti della sintesi di cosmetici e pesticidi e poi rivelatesi presenti in tante altre reazioni come quelle di combustione dei rifiuti negli inceneritori. Alcune sostanze ottenute con sintesi chimiche sono utili a certi fini, ma si rivelano dannose per le persone o per l’ambiente; la storia della chimica e della merceologia (la chimica applicata ai prodotti commerciali) contiene molti episodi di conflitti fra chi vuole che siano vietate nuove sostanze chimiche dannose e chi le produce e vuole continuare a fare soldi vendendole.

La vittoria nella battaglia per la difesa della salute richiede più conoscenze chimiche e anche la capacità dei chimici di parlare all’opinione pubblica ad alta voce, anche a costo di contrastare potenti interessi economici.

Infine la chimica ha un alto valore educativo e, direi, politico. Spiega in maniera chiara che, quando le molecole della materia si trasformano, niente va perduto; è il principio di conservazione della massa che si esprime con formule di uguaglianza; tutti gli atomi che si trovano in un formula a sinistra del segno “uguale” si devono ritrovare, anche se sistemati diversamente, alla destra dello stesso segno. Le trasformazioni possono andare da sinistra a destra e da destra a sinistra a seconda delle condizioni di temperatura, di pressione e dell’energia in gioco, ma i chili di materia a destra e sinistra devono essere uguali. Così nelle sintesi dell’industria chimica le molecole delle materie prime si trasformano in parte nelle merci utili (coloranti, plastica, medicinali), ben studiate e controllate, ma una parte si ritrova nei sottoprodotti che finiscono nei rifiuti e nelle scorie e di cui spesso nessuno conosce esattamente la composizione. E che, secondo la morale, corrente, non interessano neanche, perché non si vendono, e pazienza se dopo un mese o un anno avveleneranno i pesci o il corpo umano.

Ci vorrebbero molti buoni chimici e molta buona chimica per controllare meglio le molecole utili e anche quelle che non si vendono e che possono arrecare danni all’ambiente e per comprendere meglio i misteri della natura e della vita. E’ il fine dell’anno internazionale appena iniziato.