giovedì 12 giugno 2014

SM 3662 -- Il "re dello zolfo"

La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 10 giugno 2014

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Cento anni fa moriva a Parigi Herman Frasch, il chimico americano che ha distrutto l’economia mineraria siciliana dell’Ottocento. Dai tempi antichi, e poi in tutto il Medioevo e nel corso dell’Ottocento la Sicilia, con le sue miniere di zolfo, ha occupato la posizione di monopolista di una delle più importanti materie prime industriali, qualcosa come i paesi petroliferi oggi. Lo zolfo era già noto dall’antichità. I romani facevano estrarre lo zolfo dalle miniere siciliane usando schiavi e prigionieri di guerra, destinati a breve vita per le inumane condizioni di lavoro; i cinesi avevano scoperto che lo zolfo era un ingrediente necessario della polvere da sparo. Più tardi gli alchimisti hanno imparato ad ottenere dallo zolfo un potente liquido corrosivo, il vetriolo, che sarebbe poi stato riconosciuto come acido solforico, proprio quello indispensabile alla successiva industria chimica europea per produrre detersivi e altre merci.

In molte zone della Sicilia lo zolfo si trova nel sottosuolo, frammisto a solfato di calcio, il gesso, sabbie e altre rocce; all’inizio dell’Ottocento, quando è aumentata la richiesta di zolfo da parte di Francia e Inghilterra, i proprietari delle miniere sono stati investiti da un’ondata di ricchezza, usata male; non sono stati fatti investimenti per migliorare il processo di escavazione del minerale e di estrazione dello zolfo, operazioni dannosissime per i minatori e fonti di inquinamento atmosferico. I prezzi variavano capricciosamente destando la protesta degli importatori inglesi che addirittura fecero arrivare una flotta militare per imporre al re delle Due Sicilie di mettere ordine in questa produzione. Anche dopo l’avvento del regno d’Italia la situazione dell’estrazione e del mercato dello zolfo siciliano restò disordinata e turbolenta, una sorta di capitalismo selvaggio e imprevidente.

Intanto dall’altra parte dell’Oceano Herman Frasch, un giovane chimico di origine tedesca, nato nel 1851 e emigrato a 18 anni negli Stati Uniti, aveva deciso di cercare una soluzione che permettesse di recuperare lo zolfo che alcuni cercatori di petrolio avevano trovato nel sottosuolo della Lousiana, lo stato che si affaccia nel sud degli Stati Uniti, sul Golfo del Messico. Si trattava di uno strato di zolfo puro, qualche centinaia di metri sotto sabbie e rocce e acqua; molti avevano tentato senza successo di raggiungerlo e portarlo in superficie. Partendo dalla sua esperienza di estrazione del petrolio, con la quale aveva già fatto una certa fortuna, Frasch applicò la stessa tecnica e nel 1890 brevettò il processo che avrebbe trasformato gli Stati Uniti da paese importatore di zolfo a paese esportatore di questa materia strategica.

Lo zolfo è un metalloide giallo solido che fonde a circa 115 gradi Celsius, una temperatura di poco superiore a quella di ebollizione dell’acqua, cento gradi. Il metodo Frasch consisteva nel far arrivare nel giacimento sotterraneo di zolfo, due tubi concentrici; in quello esterno veniva iniettato vapore a circa 150 gradi che faceva fondere, nel sottosuolo, lo zolfo; la stessa pressione del vapore faceva salire, attraverso il tubo centrale, lo zolfo fuso fino in superficie dove solidificava come zolfo purissimo. Gli industriali siciliani ebbero notizia della scoperta di giacimenti di zolfo negli Stati Uniti ma furono lenti a capire l’enorme potenziale di questo concorrente; e fecero male perché nel 1905 lo zolfo americano che sbarcò in Europa costava la metà di quello siciliano.

Frasch creò una sua società, la Union Sulfur Company, in un paesino della Lousiana che prese il nome di Sulfur, zolfo, una delle poche città del mondo che hanno il nome di un elemento chimico. Il giacimento di Frasch si esaurì dopo alcuni anni ma molti altri furono sfruttati con lo stesso processo. Frasch, ormai ricco, era celebrato come il “re dello zolfo”, uno dei grandi inventori del Novecento. La produzione di zolfo americano col processo Frasch aumentò subito rapidamente e invase i mercati mondiali e l’industria zolfifera siciliana fu colpita a morte; sopravvisse durante il fascismo, grazie alla politica autarchica, ma le miniere chiusero definitivamente negli anni cinquanta del Novecento dopo aver raggiunto una produzione massima di mezzo milione di tonnellate all’anno e aver causato innumerevoli dolori ai lavoratori e gravi inquinamenti. Ma anche la produzione dello zolfo Frasch declinò fino a scomparire, dopo un secolo, per la concorrenza dello zolfo ricavato dalla depurazione del petrolio e del gas naturale, imposta dalle leggi contro l’inquinamento atmosferico.

La storia di Frasch e dello zolfo insegna varie cose: la produzione industriale dipende da materie prime che possono essere tratte soltanto dalla natura; la natura è un “serbatoio” grandissimo di materie utili per le necessità umane, ma le sue riserve non durano a lungo e sono destinate ad esaurirsi. Un processo produttivo è esposto alla concorrenza di altre innovazioni e una politica industriale deve stare bene attenta ai segni di scoperte e innovazioni, all’inizio apparentemente insignificanti, ma che si rivelano poi rivoluzionarie.

Infine la storia personale di Frasch mostra che il successo arride alla mente preparata, a chi osserva attentamente il mondo naturale e industriale circostante e i suoi mutamenti. Auguro a molti giovani chimici di avere la stessa attenzione e successo del loro collega Frasch.





domenica 2 febbraio 2014

B. Leoci, Stanislao Cannizzaro, scienziato e politico multiforme

Benito Leoci, Università del Salento bleoci@yahoo.it

La prima volta che incontrai Cannizzaro, o meglio questo nome, fu durante la preparazione per l’esame di Chimica Generale I, così come sarà accaduto a tutti gli studenti dei corsi universitari di chimica. Certamente mi ero imbattuto in questo nome in precedenza, alle scuole medie superiori, ma nella memoria non mi era rimasta alcuna traccia. Fra i libri consigliati allora all’Università di Cagliari, era l’inizio degli anni ’60, vi era “il Bruni”, la cui prima edizione risaliva al 1921. Nella prefazione a questa edizione il Bruni ricordava che nel decidere l’ordine da dare al corso di Chimica Generale (tenere separate o meno la parte teorica da quella descrittiva) si era attenuto all’«esempio e ammaestramento di Cannizzaro e di Ciamician».

lunedì 6 gennaio 2014

SM 3621 -- Il glutammato e l'EXPO 2015 -- 2014

Il blog della Società Chimica Italiana, 6 gennaio 2014, http://ilblogdellasci.wordpress.com/2014/01/06/umami/

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

L’Italia sta correndo a gambe levate verso l’Esposizione mondiale di Milano, l’Expo 2015 che aprirà i battenti fra meno di cinquecento giorni e che si pensa attirerà a Milano e in Italia, dal 1 maggio al 31 ottobre 2015, molti milioni di persone e molti miliardi di euro. Il tema sarà: “Nutrire il pianeta. Energia per la vita” e sottintende che l’Italia esporrà al mondo i suoi successi nel campo dei prodotti alimentari, la principale fonte di esportazione ”di eccellenza”, come la chiamano. E’ una occasione per ricordare che la nutrizione, più ancora che altre attività umane dipende dalla chimica, che gli alimenti “sono chimica” e che la chimica è la protagonista del complesso ciclo produttivo che comincia con Sole, continua nei campi e negli allevamenti zootecnici, passa attraverso le industrie che trasformano vegetali e corpi animali in prodotti alimentari, poi attraversa i processi di conservazione e distribuzione fino ai negozi e alle famiglie e alle mense e che continua ancora con lo smaltimento di milioni di tonnellate ogni anno di rifiuti agricoli, zootecnici, industriali e domestici.

lunedì 23 dicembre 2013

SM 1434 -- La benzina sintetica -- 1989

l'Unità, 29 giugno 1989

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Il carbone è un combustibile fossile nero e solido, costituito da grandi molecole organiche, molto complicate, contenenti, in media, un atomo di idrogeno ogni due atomi di carbonio, insieme a piccole quantità di altri elementi, fra cui zolfo e azoto. Il carbone è andato bene come combustibile per impianti fissi e per le caldaie di treni e navi, per i primi due secoli della rivoluzione industriale, fino alla seconda metà del 1800.

Dopo il 1850 il versiliese Barsanti e il tedesco Otto inventarono dei motori più piccoli, a combustione interna, che potevano essere utilizzati anche su veicoli mobili, ma che funzionavano soltanto con combustibili liquidi, come l'alcol etilico, peraltro costoso, oppure con i nuovi composti ricavabili dalla distillazione del petrolio. Questi ultimi, divenuti disponibili commercialmente dopo il 1870, sono costituiti da idrocarburi, composti liquidi contenenti circa due atomi di idrogeno per ogni atomo di carbonio, insieme, come al solito, a vari altri elementi.

venerdì 1 novembre 2013

R.Carpignano, La ChimicaMaestra

La ChimicaMaestra -Didattica della Chimica per futuri maestri
di Rosarina Carpignano, Giuseppina Cerrato, Daniela Lanfranco e Tiziano Pera
272 pagine - ottobre 2013 -  prezzo: 28 Euro
Editore: Il Baobab, l’albero della ricerca – e-mail: info@baobabricerca.org 
Distributore: Libreria CORTINA TORINO srl- Corso Marconi 34/a- 10125 Torino-

La ChimicaMaestra è destinato ai futuri insegnanti che frequentano il Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria, ma può essere utile anche a coloro che già operano nelle aule di insegnamento.
Il testo si compone di  4 parti.
Parte 1: breve introduzione pedagogica a sostegno dell’idea di centralità dello studente-bambino come cittadino della sua stessa scuola e della didattica attiva fondata sulla laboratorialità come strumento per costruire competenza;
Parte 2:  proposta di percorso didattico fondato sui principi e sui fondamenti della Chimica di cui, oltre agli aspetti teorici, vengono forniti gli sfondi storici e i contesti di senso;
Parte 3 dedicata ad esperimenti ed esperienze pratiche validate e concretamente realizzabili,  corredate da protocolli, informazioni e dati utili per accompagnare i bambini a costruirsi un loro metodo, entro i confini permeabili tra realtà e fantasia (favole, racconti, problemi sfidanti e situazioni-caso) e per indirizzare gli insegnanti a raccogliere indizi di competenza dai bambini coinvolti nell’azione;
Parte 4: vi si trovano le riflessioni sulla prospettiva culturale promossa nel testo e in grado di orientare la prassi d’aula in modo coerente con  la didattica per la competenza promossa dalle nuove Indicazioni MIUR.
Conclude il testo una ricca Bibliografia e  Sitografia.          

            La ChimicaMaestra si propone come strumento di transizione dalla scuola della Scienza-mito a quella del bambino scienziato, dove alle verità indiscutibili si sostituiscono le ipotesi sindacabili e verificabili, valide solo fino a prova contraria e proprie di una Chimica “viva”, al passo con i tempi.

lunedì 21 ottobre 2013

SM 3601 -- Quando la chimica era ingenua -- 2013


Il blog della Società Chimica Italiana, 20 ottobre 2013

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Quando non erano ancora stati inventati gli omega3, per caratterizzare gli oli di pesce si seguiva il metodo di Tortelli-Jaffe come segue: “In un cilindretto a piede, con tappo smerigliato e perfettamente asciutto, si introducono 1 cm3 di olio del tutto esente da acqua, 6 cm3 di cloroformio, 1 cm3 di acido acetico glaciale, agitando fino a soluzione omogenea, quindi 40 gocce di una soluzione al 10 % di bromo in cloroformio e si agita nuovamente per qualche secondo: gli olii di animali marini e i loro prodotti di idrogenazione dopo qualche minuto si colorano in verde con riflessi azzurrini o giallognoli e questa tinta si intensifica sempre più entro mezz’ora, passando poi al bruno”. Chimica non tanto ingenua, poi, perché era citata nel Chemische Zeitung, vol. 39, p. 14-15 (1915) dove la reazione è interpretata come dovuta alla presenza negli oli di un cromogeno che, in certe condizioni, si trasforma in una sostanza con un colore caratteristico. La reazione di Tortelli e Jaffe era citata anche nell’ Yearbook of the American Pharmaceutical Association, vol. 4, p. 300 (1915) e in altri testi del tempo, oltre che in tutti i libri italiani di chimica analitica applicata e di Merceologia.

lunedì 19 agosto 2013

SM 3582 -- La bilancia di Westphal

  
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Ho sempre amato la bilancia di Westphal. Forse l’ho vista per la prima volta in un libro del liceo, poi l’ho ritrovata in qualche “Laboratorio” di chimica e finalmente l’ho frequentata spesso da assistente nelle esercitazioni di Merceologia, affascinante nella sua elegante cassetta di legno, imbottita. Mi affascinavano i pesi, chiamati romanticamente cavalieri, in tedesco Reitergewichte, la pinzetta per maneggiare i pesi senza sporcarli con il grasso delle dita, e tutto il funzionamento: il riferimento al principio di Archimede, che ogni volta immaginavo, e raccontavo, nella vasca da bagno, e la buona precisione, alla terza cifra decimale, che consentiva buone misure del peso specifico dei liquidi ma anche di solidi. Doveva piacere anche a Primo Levi che la cita nel capitolo “Potassio” del suo libro “Il sistema periodico”..

Nella bilancia di Westphal che si usava alla Merceologia a Bologna il filo che collegava il braccio mobile al peso, con termometro incorporato, era del prezioso (negli anni 40 del Novecento) platino, altro aspetto fascinoso, in modo da poter effettuare misure di peso specifico con liquidi corrosivi. L’unica curiosità era quel nome, talvolta scritto, anche in alcuni libri, con due elle, che faceva pensare alla Vestfalia, regione nord-occidentale della Germania, quella della pace del 1648 che mise fine alla guerra dei trent’anni, la regione tedesca della Westfalia. Molti libri indicavano la bella bilancia col doppio nome Mohr Westphal

Mohr, che fosse quello del “sale”, (NH4)2Fe(SO4)2.6H2O, che si maneggia per le titolazioni di ossido-riduzione nel laboratorio del primo anno ? Si, si tratta proprio di Karl Friedrich Mohr (1806-1879), figlio di un farmacista nel cui laboratorio aveva imparato a maneggiare apparecchiature chimiche e si era cimentato con le prime analisi Dopo la laurea in chimica alla morte del padre dovette dedicarsi agli affari di famiglia che però, dopo poco, andarono male. Assunse così un lavoro nel laboratorio universitario e, per le sue competenze, e abilità sperimentali, fu nominato prima professore aggregato e poi professore ordinario.

Nel 1877, due anni prima della morte, apparve il suo monumentale trattato di chimica analitica: ”Lehrbuch der chemisch-analytischen Titrirmethoden”. Fra i suoi contributi va ricordata appunto la bilancia per la misura del peso specifico con l’elegante sistema di compensazione della “spinta” del liquido in cui è immerso un peso tarato, rispetto all’equilibrio dello stesso peso nell’aria. Tale “spinta” viene compensata ponendo dei pesi tarati, i”cavalieri”, sulle varie tacche del braccio che regge il peso.

E ancora: a noi oggi sono familiari le burette tarate da cui il fluido fuoriesce attraverso un rubinetto di vetro. Ma ai tempi di Mohr non esistevano e Mohr suggerì di applicare all’estremità inferiore della buretta un tubicino di gomma chiuso con una molletta metallica in modo da far uscire il liquido in quantità controllate allentando la pressione della “pinza”. Ricordo dio avere visto anch’io una di questa pinzette che venivano ancora chiamate “pinze di Mohr”, dai vecchi mitici “tecnici” di laboratorio. Talvolta diplomati, talvolta autodidatti, impratichiti assistendo i professori nella,preparazione delle lezioni, vecchi “maghetti” che sapevano fare tutto, che aiutavano gli studenti e anche i giovani assistenti nelle esercitazioni e nelle attività di laboratorio..

Quanto poi al nome Westphal non si trattava della regione tedesca, ma del tedesco Georg Wilhelm Westphal, artigiano ed inventore, che nel 1860 aveva fondato a Celle, città della Bassa Sassonia, la ditta "Georg Westphal Präzisionstechnik". Westphal fabbricava bilance, strumenti di precisione e vetreria e la sua ditta era nota anche al di fuori della Germania. Nel 1896, il periodo di massima floridezza --- era anche un periodo d’oro per la chimica tedesca --- le officine meccaniche e ottiche Georg Westphal vendettero circa 3000 pezzi e ottennero vati premi e medaglie nelle fiere internazionali di Vienna, Berlino, Londra, Parigi, Celle, Hannover, Brema.

In quel tempo Westphal aveva 29 impiegati ed era il principale fabbricamte tedesco di bilance e strumenti di precisione della Germania. Alla morte di Westphal nel 1902 l’attività fu continuata dalla vedova e da un collaboratore, Ernst Raute ma, nonostante venisse conservato il nome prestigioso del fondatore, gli affari andarono peggiorando. Raute morì nel 1946 a 89 anni, pare portandosi nella tomba il segreto della taratura di precisione degli strumenti

Nel 1950 la ditta Westphal fu acquistata dal costruttore di strumenti di precisione Rudolf Strohauer, poi da altri imprenditori e fu trasferita a Westercelle dove continuò la fabbricazione di bilance e strumenti di precisione con le nuove tecnologie, ancora con il nome Westphal Präzisionstechnik GmbH & Co.

Ecco risolto il mistero (per me) del nome; se si fosse trattato della Vestfalia, regione di belle ragazze e coraggiosi cavalieri, non per niente il suo simbolo è un cavallo bianco, sarebbe stato meglio, ma nella vita non si può avere tutto..