lunedì 10 ottobre 2011

Vita, morte e miracoli del carburo di calcio

2011 Anno Internazionale della Chimica

La Gazzetta del Mezzogiorno, sabato 4 giugno 2011

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Pochi dei lettori forse ricordano quei carri da lavoro al di sotto dei quali penzolava, dondolandosi, una lampada ad acetilene, spesso chiamata “a carburo”. Erano quelle che oggi chiamiamo luci di posizione obbligatorie per qualsiasi veicolo. Chi ha avuto la fortuna di vederne qualcuna, ha (avrebbe) avuto modo di scoprire l’ingegnosità di tali lampade che erano usate anche nelle miniere. Si trattava di recipiente cilindrico, di una ventina di centimetri di altezza, dotati di un serbatoio contenente l’acqua, di una regolatore di flusso e di un beccuccio. La lampada era caricata con pezzi di carburo di calcio, una pietra grigiastra che, reagendo con acqua si trasforma in acetilene e idrato di calcio. L’acetilene usciva dal beccuccio ed era acceso fornendo una bella fiamma luminosa. La furbizia consisteva nel regolare le gocce di acqua in entrata in modo da avere una fiamma continua, senza sprechi.

venerdì 7 ottobre 2011

La chimica come economia della natura

2011 Anno Internazionale della Chimica

CnS La chimica nella Scuola, 33, (3), 185-188 (giugno-agosto 2011)

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it 

Parlare di chimica è spesso come presentare nella buona società una sorella dai trascorsi burrascosi. "Chimica" è parola sgradevole per molti orecchi, soprattutto poco informati, per vari motivi apparentemente contrastanti.

Il primo è rappresentato dal modo in cui i grandi mezzi di informazione parlano di cose nelle quali la chimica è coinvolta; non ci mancavano altro che gli attentati con "armi chimiche", in aggiunta agli incidenti "chimici", all'uso sconsiderato della "chimica" in agricoltura, eccetera, per enfatizzare qualsiasi cosa sgradevole associandola all'aggettivo "chimico". Non c'è dubbio che incidenti industriali, intossicazione di lavoratori nella fabbriche, inquinamenti dell'ambiente hanno luogo spesso in fabbriche chimiche o che trattano prodotti chimici e ad opera di sostanze chimiche. Non c'è dubbio che molte fabbriche producono sostanze chimiche pericolose, talvolta inutili, talvolta oscene come gli agenti di guerra, dai gas asfissianti a quelli lacrimogeni e paralizzanti.

lunedì 3 ottobre 2011

Elementi: Calcio


“Et in pulverem reverteris” (Genesi 3,19). Dio però avrebbe dovuto precisare che “la polvere” in cui si trasformano, alla fine, i re come i mendicanti, i ministri come gli extracomunitari, è costituita da un paio di chili di fosfato di calcio, con un equivalente di un chilo di calcio. Questo elemento con simbolo Ca, peso atomico 40 (20 protoni e 20 neutroni), è molto diffuso in natura e importante, ma qualche volta anche fastidioso. Doveva essercene tanto nelle rocce primitive della Terra; l’acqua delle piogge, all’inizio ricca di anidride carbonica, ne ha trasformato una parte in bicarbonato di calcio solubile; quando i laghi e i mari si sono riempiti di bicarbonato, una parte si è trasformata in carbonato di calcio insolubile che poi ogni tanto è riemerso dal fondo dei mari sotto forma di grandi banchi di marmi e calcari, così belli nelle Dolomiti, così utili come materiali da costruzione. Poi ad un certo punto dell’evoluzione alcuni animali hanno imparato a costruire al proprio interno una struttura solida, uno scheletro, sotto forma di sali di calcio insolubili, in parte carbonato nei coralli, in parte fosfato nei vertebrati.

Un fosfato che si consuma col procedere della vita e deve essere rimpiazzato con un apporto di calcio attraverso l’alimentazione. Gli umani hanno bisogno ogni giorno di circa un grammo di calcio che deve essere preso da alcuni alimenti, come il latte e i latticini, certe verdure, ma anche l’acqua. Non quella “leggera”, oligominerale, così tanto pubblicizzata, che di calcio contiene pochi milligrammi per litro; un litro della volgare acqua del rubinetto contiene invece circa 100 milligrammi di calcio e, già bevendone un solo litro al giorno, si apporta al corpo il 10 percento del fabbisogno. 

Nel suo duplice stato di sali solubili e di sali insolubili, come nel ciclo bicarbonato—carbonato, il calcio è utile perché certi processi industriali hanno bisogno di anidride carbonica o di sali di calcio. Quando esistevano gli zuccherifici di barbabietola, una parte dello zucchero del melasso era recuperato provocando la formazione di saccarato di calcio che precipitava dalle soluzioni zuccherine ed era poi decomposto per trattamento con anidride carbonica. Il carbonato di sodio si fabbrica ancora oggi scomponendo il calcare proprio per ricavarne l’anidride carbonica da far combinare con il cloruro di sodio, un’invenzione che si deve a Ernest Solvay (1838-1922); resta poi un fango di cloruro di calcio che finisce nel mare o nelle strade per far fondere il ghiaccio d’inverno.

Gli ingegneri dei Faraoni avevano scoperto che la polvere di certe rocce contenenti il calcio (loro però non lo sapevano) poteva essere usata per tenere uniti i massi di pietra con cui costruite templi, piramidi, edifici, una esperienza passata poi a tutte le società umane da un millennio all’altro. Fino a quando un certo Joseph Aspdin (1779-1855) ha capito che le rocce contenenti carbonato di calcio potevano essere fuse insieme ad altri minerali per ottenere un legante ancora migliore, il cemento. Molto utile, nel mondo se ne fabbricano circa 2 miliardi di tonnellate all’anno, anche se durante la sua fabbricazione si formano grandi quantità di anidride carbonica che va a finire nell’aria e altera il clima. Un altro inconveniente si è osservato quando si è scoperto che, durante il lavaggio dei corpi e dei tessuti con sapone, nelle acque comuni, si formava un nuovo “sporco” costituito da saponi di calcio insolubili che si appiccicavano sulle fibre.

Nel corso del Novecento, quando si è visto che era impossibile lavare con acqua di mare, contenente “troppi” sali di calcio che impedivano al sapone di sciogliersi, sono stati inventati i detersivi “sintetici” i cui sali di calcio sono solubili anche nelle acque con molti sali di calcio, “dure” come di dice, ma che restano solubili quando le fogne vanno a finire nei fiumi e nel mare e i detersivi sintetici li coprono di sgradevoli schiume.