giovedì 30 settembre 2010

Marie Curie (1867-1934) - Persone della chimica

2011 Anno internazionale della Chimica

Giorgio Nebbia

Immaginate un capannone col tetto dalla copertura sconnessa che lascia passare la pioggia, e immaginate un mucchio di terra scura per terra, e immaginate un bancone e una giovane donna, laureata in fisica e in matematica, che, al caldo e al freddo, passa le sue giornate a trattare quella terra scura a venti chili per volta, con acidi, e a filtrare e a ridisciogliere i residui con altri acidi ancora. E immaginate suo marito, un giovane professore di fisica che, accanto a lei, controlla ogni frazione di materiale separato con un apparecchio (di sua invenzione) che misura la presenza dei “raggi” che provocano una scarica elettrica fra due elettrodi. Raggi simili a quelli emessi dall’uranio e dal torio.

Siamo a Parigi, più di un secolo fa. La giovane fisica, di origine polacca (si chiamava Marie Sklodowska, sposata Curie), aveva osservato che un minerale di uranio, la pechblenda, emanava i misteriosi ”raggi dell’uranio” in quantità molto maggiore di quanto potesse essere giustificato dal suo contenuto di uranio: era come se nel minerale fosse presente un altro elemento molto più attivo dell’uranio stesso.

Maria e il marito Pierre Curie (1859-1906), dopo un gran numero di separazioni, nel giugno del 1898 poterono riferire di aver identificato un nuovo elemento chimico molto attivo, con proprietà chimiche simili a quelle del bismuto. “Suggeriamo”, scrissero nella loro pubblicazione, “che il nuovo elemento sia chiamato ‘polonio’ dal nome del paese di origine di uno di noi”. Dopo altri sei mesi di lavoro poterono descrivere l’esistenza di un altro elemento ancora, che emanava i raggi dell’uranio con una intensità un milione di volte superiore a quella dell’uranio, con comportamento chimico simile a quello del bario, e chiamarono la nuova sostanza “radio” e il fenomeno “radioattività”.

Per accertare la natura delle nuove sostanze i Curie riuscirono a farsi regalare, e in parte comprarono di tasca propria, alcune tonnellate di scorie residue delle miniere di pechblenda di Joachimsthal in Boemia (oggi Jachymov, nella Repubblica Ceca). Finalmente nel 1903 Marie Curie riuscì ad isolare cento milligrammi di cloruro di radio puro, e tale ricerca fu l’argomento della sua tesi di laurea in chimica.

Ben presto fu scoperto che il radio era prezioso per la cura dei tumori; una troppo lunga esposizione, però, provocava ferite e tumori. “Il raggio che uccide e risana” --- era il titolo di un romanzo popolare del tempo --- destò un’enorme impressione nell’opinione pubblica, in tutto il mondo.

I Curie si rifiutarono di brevettare il procedimento di preparazione del radio che fu ben presto fabbricato su scala commerciale. Il governo austriaco, di cui allora Joachimsthal faceva parte, vietò le esportazioni della pechblenda che si trovava nel suo territorio e si mise a estrarre il radio sul posto; quasi contemporaneamente il radio fu prodotto in Francia, negli Stati Uniti, in Svezia. Ma, al di là delle applicazioni pratiche, le scoperte dei coniugi Curie aprirono le porte alla comprensione della natura dell’atomo e del suo nucleo, alla radioattività artificiale, alla fissione e alla fusione nucleare, insomma al mondo moderno.

Altrettanto romanzesca quanto la storia del radio è la vita entusiasmante e drammatica di Marie Curie. In pochi anni diventò nota in Francia e in tutto il mondo ma, nonostante la celebrità, i Curie non solo non diventarono ricchi, ma dovettero fare i conti con ristrettezze economiche alleviate solo in parte dall’assegnazione, nel 1903, del premio Nobel per la fisica. Nello stesso anno 1903 Pierre Curie fu proposto per la Legion d’Onore, la massima onoreficenza francese, ma replicò che gli occorrevano non medaglie, ma piuttosto un buon laboratorio in cui continuare le sue ricerche. Pierre Curie morì a Parigi, investito da un carro a cavalli, nel 1906 e Marie rimase vedova a 38 anni con due bambine, Irene (1897-1956,che avrebbe ottenuto il premio Nobel per la fisica nel 1935 col marito Frederic Joliot (1900-1958) per la scoperta della radioattività artificiale) e Eva (1904-), a cui si deve una bella biografia della madre, pubblicata nel 1937 e tradotta anche in italiano.

Nonostante l’impegno familiare e l’insegnamento, Marie Curie continuò le ricerche sulla separazione, purificazione e le proprietà del radio, che le valsero nel 1911 un secondo premio Nobel, questa volta per la chimica. Il successo, quale mai una donna, e una straniera per di più, aveva raggiunto, destò, come spesso capita, gelosie e invidie e la Curie fu al centro di una campagna denigratoria: dapprima fu accusata di essere ebrea, proprio negli anni in cui la Francia era travolta da una ondata di antisemitismo, culminata nel caso Dreyfus, poi di essere l’amante del collega Langevin, un fisico anche lui. Queste accuse le preclusero l’elezione, che sarebbe stata ben meritata, all’Accademia di Francia.

Eppure Marie Curie rimase fedele al suo impegno di studiosa, di madre e al suo altruismo: durante la prima guerra mondiale (1914-1919) organizzò delle unità mobili dotate di apparecchi per raggi X che permettevano, nelle vicinanze del fronte, di identificare rapidamente e con sicurezza le ferite dei soldati. Marie stessa, con la figlia Irene diciottenne, guidava uno dei laboratori mobili.

Nel 1918, alla fine della guerra, Marie Curie potè finalmente entrare nel nuovo Istituto del radio di Parigi, tanto desiderato, dove aveva a disposizione laboratori adeguati, anche se l’Istituto era dotato soltanto di una piccolissima quantità, un solo grammo, del radio necessario per le sue ricerche, quando la produzione mondiale del prezioso e costoso elemento, da lei scoperto, ammontava ormai a vari chilogrammi.

Una giornalista americana organizzò allora, nel 1926, un viaggio che portò Marie Curie, già malata, in numerose città e università americane dove tenne faticosamente varie conferenze e fu accolta entusiasticamente come “la donna del radio”. Come premio per tanta fatica riuscì a raccogliere i fondi per acquistare due grammi di radio per il suo Istituto.

La leucemia provocata dal contatto, per trent’anni, con tanto materiale radioattivo uccise Marie Curie nel 1934. Per iniziativa del presidente francese Mitterrand, nel 1995 le sue ceneri, insieme a quelle del marito Pierre, furono portate nel Pantheon, il tempio della gloria della Francia. Credo che ogni fisico, ogni chimico, ogni studioso, ogni donna, direi, dovrebbero essere orgogliosi di avere qualcosa in comune con una persona come Marie Curie. Vorrei che la sua passione e la sua storia umana, più che la speranza di cattedre, stipendi, onori e interviste televisive, spingessero un numero crescente di giovani studiosi ad esplorare il mondo della natura con lo stesso disinteresse, premessa essenziale per le scoperte capaci di alleviare il dolore dell’umanità.

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