giovedì 30 settembre 2010

Giorgio Errera (1860-1933) - Persone della chimica

2011 Anno internazionale della chimica

Vincenzo Riganti riganti@unipv.it

Nell'ottobre del 1931 Benito Mussolini ritenne che fossero ormai maturi i tempi per "risolvere la questione delicata e ormai urgente della fascistizzazione delle Università italiane". La soluzione adottata fu quella di invitare i 1213 docenti delle Università italiane a prestare un giuramento, nel quale si impegnavano a formare cittadini devoti "alla Patria e al Regime fascista".

Per inciso, la scarsa considerazione che fu prestata al diktat mussoliniano da parte del Corpo Accademico è già evidente, a nostro avviso, dalla quasi plebiscitaria adesione: accanto a professori che giurarono con vera convinzione, ve ne furono altri che non dettero peso al giuramento (da bambini, quando dovevame negare un comportamento ritenuto solo leggermente riprovevole - che so, aver colto la frutta nel giardino del vicino - giuravamo con le dita incrociate…) ed altri ancora che ritennero più importante compiere un atto di adesione formale che, mantenendoli nel ruolo, permettesse loro di continuare una battaglia clandestina contro il regime illiberale. La leggerezza della più parte dei docenti fu un inconsapevole prologo alle ben più gravi misure razziali degli anni successivi, che costrinsero all'esilio validissimi studiosi e dettero inzio a quella fuga dei cervelli verso più liberi lidi che impoverì soprattutto le facoltà scientifiche e fu non ultima causa della sconfitta dei paesi dell'Asse.

Giulio Natta (1903-1979) - Persone della chimica

2011 Anno internazionale della chimica

Giorgio Nebbia

Ci sono state delle persone che, con il loro lavoro, hanno davvero sconvolto la nostra vita. Una di queste è Giulio Natta (1903-1979), professore universitario, premio Nobel per la chimica, più noto al pubblico come "l'inventore" della materia plastica polipropilene.

Natta era nato a Imperia (che allora si chiamava Porto Maurizio) in Liguria e fin dagli anni di scuola decise di diventare chimico; nel suo diario racconta di essere rimasto incantato a nove anni dalla struttura del guscio della lumaca; la domanda del perché e come la natura ricorre tanto spesso, in tanti esseri viventi, a strutture a spirale, deve avere influenzato il suo futuro interesse per la disposizione degli atomi nelle molecole. Laureato in chimica, nominato professore universitario al Politecnico di Milano, dedicò tutta la sua vita alle applicazioni della chimica a problemi pratici. Natta visse nell'età dell'oro della chimica delle macromolecole che la natura ha diffuso in abbondanza nel mondo vivente vegetale e animale. Sono macromolecole, costituite da migliaia e decine di migliaia di atomi, disposti con una ineguagliabile regolarità, la gomma, la cellulosa, le proteine, gli amidi, le resine. Una volta che ha trovato che una struttura è "buona" ai fini della vita, la natura, nel corso di milioni di anni, ha predisposto dei meccanismi con cui, in ciascun essere vivente, riproduce le stesse molecole e dispone gli atomi con distribuzioni spaziali apparentemente capricciose, ma sempre le stesse.

La chimica che si insegna a scuola descrive le molecole scrivendole sul piano della lavagna o di un foglio. Ma gli atomi di una molecola non sono disposti su un piano e si estendono nello spazio, spesso si dispongono a spirale. Nel caso delle proteine era stato Linus Pauling, nel 1948, a svelare che gli atomi delle proteine sono disposti ad elica, l'osservazione che permise, nel 1953, a Watson e Crick di scoprire che gli atomi del DNA sono disposti a "doppia elica". In questa atmosfera intellettuale Natta, negli anni dal 1935 al 1950, si rivolse allo studio delle macromolecole artificiali. Erano già note le sintesi di macromolecole ottenute da molecole semplici come l'etilene (da cui si forma il polietilene, la nota e comunissima materia plastica dei sacchetti per la spesa) e il cloruro di vinile (da cui si forma il PVC, altra comune materia plastica impiegata per la produzione di bottiglie, giocattoli, e di molti altri oggetti).

Ma Natta rivolse la sua attenzione ad una molecola più complicata, il propilene, un gas che ha tre atomi di carbonio e sei atomi di idrogeno e che, dopo il 1945, cominciava ad essere disponibile come sottoprodotto della raffinazione del petrolio. Molte molecole di propilene possono essere unite a catena fra loro per dare luogo al prolipropilene, con un meccanismo simile a quello che permette di trasformare l'etilene in polietilene.

In Germania il chimico Karl Ziegler (1898-1973) lavorava alla polimerizzazione dell'etilene mediante speciali catalizzatori (sostanze che non entrano nelle reazioni chimiche, ma ne orientano l'andamento): Natta scoprì che gli atomi del polipropilene potevano, a seconda delle condizioni di polimerizzazione e a seconda del catalizzatore, disporsi nello spazio con varie combinazioni; uno dei tre atomi di carbonio, in particolare, poteva trovarsi irregolarmente, talvolta "sopra o "sotto" gli altri due, oppure poteva collocarsi sempre "sopra" o sempre sotto" gli altri due. Diverse combinazioni che portavano a differenti polimeri, o macromolecole, con proprietà tecniche molto diverse quanto a resistenza, durata, elasticità, attitudine ad essere formate in stampi. I polimeri di maggiore interesse commerciale erano quelli "isotattici" (un nome inventato da Natta), cioè con gli atomi laterali tutti dalla stessa parte.

Natta scoprì i catalizzatori che permettevano di ottenere polimeri isotattici del propilene e convinse la Montecatini, la grande società chimica che sarebbe poi diventata la Montedison, a finanziare le ricerche nel suo laboratorio di Milano che divenne non solo la sede delle scoperte che portarono Natta al premio Nobel per la chimica nel 1963, ma un vero crogiolo di studiosi che hanno poi coperto cattedre universitarie in Italia.

La Montecatini cominciò la produzione industriale del polipropilene isotattico nello stabilimento di Ferrara nel 1957. I prodotti diventarono presto molto popolari, grazie anche ad alcune fortunate pubblicità, col nome di Moplen (oggetti di plastica per uso domestico), Meraklon (fibre sintetiche), Moplefan (pellicole). Natta, insieme a Ziegler, ebbe il premio Nobel per la chimica nel 1963; si può leggere la storia in questo sito Internet.

Nonostante il dolore disperato per la morte, nel 1968, dell'amata moglie, che gli era stata al fianco anche nel lavoro, e il progredire di una malattia, Natta continuò a lavorare fino a settant'anni e morì nella casa della figlia a Bergamo.

Ricordare Natta rappresenta non solo un tributo ad una persona a cui l'Università e l'industria italiana devono molto ma è un'occasione per indicare il fascino della ricerca scientifica, in un momento in cui tanto si parla di ricerca e ricercatori: Al di là dei soldi e delle cattedre il successo può anche venire dalla capacità di vedere le meraviglie del guscio di una lumaca.

Giuseppe Adamo (1920-1967) - Persone della chimica

2011 Anno internazionale della chimica

Giorgio Nebbia

Nato a Sannicandro di Bari nel 1920, il prof. Adamo era stato uno dei primi laureati del corso di laurea in Chimica istituito nell’Università di Bari, durante la guerra. Aveva avuto come primo maestro il prof. Riccardo Ciusa (1877-1965) del quale era stato successivamente, per qualche tempo, assistente. Iniziava così fra l’ormai anziano maestro e il giovane allievo una lunga e affettuosa collaborazione che si sarebbe protratta per molti anni anche dopo che, nel 1948, il prof. Adamo era diventato assistente alla cattedra di Merceologia dell’Università di Bari tenuta dal prof. Walter Ciusa (1906-1989).

Libero docente nel 1953, il prof. Adamo era stato incaricato di Merceologia nell’Università di Bari e, vincitore di concorso, nel 1964 era stato chiamato a coprire la seconda cattedra della stessa materia in quella stessa Università che lo aveva avuto come studente di Chimica. Aveva anche tenuto incarichi di “Chimica analitica” e di “Chimica applicata” presso la Facoltà di Scienze.

Il prof. Adamo aveva condotto, in parte in collaborazione col prof. Riccardo Ciusa, una serie di interessanti lavori di chimica organica, soprattutto sulla reazione dio Doebner della quale aveva chiarito alcuni delicati passaggi. In una serie di ricerche di chimica analitica aveva studiato alcuni nuovi sensibili reattivi del calcio e di altri metalli ed aveva anche portato dei nuovi contributi alla chimica della reazione fra coloranti acidi e sali quaternari di ammonio.

La serie più interessante delle sue ricerche è quella che riguarda il campo più strettamente merceologico; gli studi sulle modificazioni chimiche subite dagli alimenti rientrano nel filone della più moderna ricerca merceologica. Partito dallo studio della struttura dell’amido e derivati studiò la variazione della trigonellina e dell’acido nicotinico nel caffè, te e cacao in diversi stati di preparazione; specialmente per il caffè esaminò l’effetto dei diversi gradi di tostatura arrivando a risultati che ebbero risonanza e che furono spesso citati anche all’estero.

La variazione di concentrazione dei due termini del sensibile sistema trigonellina-acido nicotinico fu seguita come criterio del grado di modificazione e alterazione anche in molti altri alimenti prima e dopo cottura e tostatura. La morte l’ha colpito mentre stava estendendo gli studi già iniziati sulle alterazioni subite dai grassi per autossidazione, un campo nel quale aveva già dato importanti contributi.

Giuseppe Adamo è stato uno studioso diligente e sensibile ai problemi più moderni e un insegnante appassionato; molti chimici e molti laureati in Economia Commercio ne ricordano le lezioni alle quali il prof. Adamo dedicava la massima cura. Giuseppe Adamo è scomparso prematramente nel 1947 ad appena 47 anni.

Thomas Midgley (1889-1944) - Persone della chimica

2011 Anno internazionale della chimica

Giorgio Nebbia

Un genio e due trappole tecnologiche: un genio lo era per davvero, Thomas Midgley, nato nel 1889 in una cittadina della Pennsylvania negli Stati uniti; senza aspettare di laurearsi in ingegneria meccanica all’Università Cornell, si cercò un lavoro come disegnatore nel reparto invenzioni della società National Cash Register. Ci restò solo un anno e passò poi nell’officina del padre che si occupava di copertoni per automobili. L’impresa fallì e Midgley passò nel 1916 a lavorare in una società, la Dayton Engineering Laboratories Co., la Delco, che era stata fondata da un favoloso personaggio, Charles Kettering (1876-1958), per migliorare il sistema di accensione dei motori delle automobili.

Kettering gli affidò il compito di perfezionare un motore a scoppio adatto alla capace di generare elettricità per le case isolate nelle quali, per motivi di sicurezza, non si poteva usare benzina, toppo infiammabile; il motore avrebbe dovuto essere alimentato con cherosene, ma fino allora nei motori a scoppio alimentati a cherosene ogni tanto si verificavano delle reazioni esplosive che rovinavano i pistoni. Kettering affidò a Midgley il compito di eliminare l’inconveniente. Midgley pensò che forse l’aggiunta di un colore rosso al cherosene avrebbe facilitato l’assorbimento del calore della combustione e avrebbe reso più regolare la combustione delle gocce di carburante. La leggenda vuole che un sabato pomeriggio Midgley sia andato in laboratorio a cercare un colorante rosso; non ce n’erano, i negozi erano chiusi e l’unico colorante rosso disponibile era lo iodio che Midgley addizionò al cherosene scoprendo che aveva le proprietà antidetonanti cercate.

Questo avveniva nel 1916 e per due anni --- l’America era ormai entrata nella prima guerra mondiale --- Midgley cercò senza tregua un antidetonante ancora migliore che era intanto richiesto per i carburanti usati nei motori a scoppio per aerei con elevato rapporto di compressione. Finalmente nel 1919 scoprì che l’anilina si comportava meglio dello iodio, ma non era ancora soddisfacente.

Per farla breve, dopo aver provato 35.000 sostanze Midgley scoprì che un composto metallorganico poco noto, il piombo tetraetile, aveva un potere antidetonante soddisfacente in concentrazione bassissima, anche di 0,25 grammi per litro di benzina. L’annuncio della scoperta fu data nel 1922, ma ben presto si vide che il suo uso dava luogo alla formazione di incrostazioni di ossido di piombo nel motore; l’inconveniente poteva essere eliminato aggiungendo al piombo tetraetile il dibromuro di etilene; durante la combustione si formava bromuro di piombo, volatile, che veniva eliminato all’esterno del motore, attraverso il tubo di scappamento, nell’aria --- e nei polmoni delle persone che passavano per la strada.

Intanto si vide che il processo di fabbricazione del piombo tetraetile è pericoloso; i primi morti per incidenti in fabbrica si ebbero già nel 1924 e 1925, ma soprattutto ben presto le autorità sanitarie misero in guardia sul pericolo di inquinamento dell’aria ad opera dei derivati del piombo. I produttori di benzina con piombo e di automobili lottarono duramente contro norme che limitassero o vietassero l’uso del piombo tetraetile nelle benzine; solo l’addizione del piombo tetraetile permetteva di mettere in commercio benzine con numero di ottano fra 90 e 100, quali erano richieste dai motori a scoppio sempre più compressi prodotti dall’industria automobilistica per poter offrire ai clienti automobili sempre “più brillanti” e veloci e con elevata “ripresa”.

Le benzine ad alto numero di ottano erano inoltre indispensabili per i motori da aereo, prima della diffusione della propulsione a reazione. Sta di fatto che per quasi mezzo secolo il piombo tetraetile è stato prodotto e usato in tutto il mondo e addizionato a decine di miliardi di litri di benzina. La protesta contro il crescente inquinamento atmosferico si è accompagnata con una crescente attenzione per gli incidenti che si susseguivano nelle fabbriche di piombo tetraetile, per le perdite di composti di piombo nel suolo, eccetera.

Per farla breve, a partire dagli anni sessanta sono state emanate norme nei singoli paesi per vietare l’addizione del piombo tetraetile alle benzine. Sulla crescita e il declino del piombo tetraetile il lettore curioso potrà leggere vati articoli di William Kovarik in questo sito Internet.

Ormai nella maggior parte dei paesi industriali l’uso del piombo tetraetile è stato abbandonato; come antidetonanti sono stati usati vari altri composti, dall’etere etilico butilico terziario, MTBE, al benzene, poi abbandonato per la sua tossicità, a composti aromatici meno tossici; le industrie automobilistiche hanno dovuto adattarsi a produrre autoveicoli con motori meno compressi e le raffinerie hanno dovuto immettere in commercio carburanti con numero di ottano minore.

Ma le invenzioni di Midgley non si sono fermate. Nel 1930 stava cominciando la diffusione di frigoriferi commerciali anche a livello domestico. Un giorno un funzionario della Frigidaire, una divisione della General Motors che produceva frigoriferi, portò a Midgley un messaggio di Kettering che lo invitata a scoprire un fluido frigorifero non infiammabile, non tossico, poco costoso, che potesse sostituire i fluidi frigoriferi usati allora, come anidride solforosa, cloruro di metile, ammoniaca.

Anche qui la leggenda racconta che Midgley e i suoi collaboratori, un giorno, dopo colazione, si misero a consultare le International Critical Tables, la bibbia delle proprietà di tutte le sostanze chimiche note; molti dati erano sbagliati, ma col buon senso e un po’ di fantasia Midgley rivolse ritenne che ideale avrebbe potuto essere una sostanza poco nota chiamata diclorofluorometano. Midgley riuscì a preparare alcuni grammi di questa sostanza per reazione fra il trifluoruro di antimonio e il tetracloruro di carbonio, e vide che era proprio il fluido frigorifero cercato.

Il diclorofluorometano, battezzato CFC-21, fu il primo di una numerosa famiglia di idrocarburi contenenti cloro e fluoro che trovarono ben presto applicazione non solo come fluidi frigoriferi, ma anche come propellenti per spray, nella preparazione di resine espanse, come solventi , soprattutto per la nascente industria elettronica; altri idrocarburi alogenati contenenti anche bromo (halon) ebbero successo come fluidi per estintori di incendio.

Centinaia di migliaia di tonnellate di idrocarburi clorurati, fluorurati e bromurati sono stati usati nel corso di quarant’anni e sono finiti nell’atmosfera. Il bel sogno di Midgley ha cominciato ad offuscarsi nel 1974 dopo la pubblicazione degli studi di Paul Crutzen (1933-), Frank Sherwood Roland (1927-) e Mario Molina (1943)che misero in evidenza il rapporto fra l’immissione nell’atmosfera dei cloroflurocarburi e la diminuzione della concentrazione dell’ozono nella stratosfera, fra 15 e 30 mila metri di altezza. Per tali ricerche hanno avuto tutti e tre nel 1955 il premio Nobel, la cui motivazione si trova in questo sito Internet.

Dal momento che l’ozono stratosferico filtra la radiazione ultravioletta B proveniente dal Sole, dannosa per gli esseri viventi, la diminuzione della concentrazione dell’ozono rappresentava un potenziale danno ecologico. Poco dopo si è visto anche che i clorofluorocarburi si comportano come “gas serra” e contribuiscono a trattenere una parte della radiazione solare incidente dentro l’atmosfera che viene così lentamente riscaldata.

Dopo lunghe discussioni si è arrivati ad un accordo, il “protocollo di Montreal” dell’autunno 1987, che ha deciso di vietare la produzione e l’uso dei clorofluorocarburi in quanto responsabili sia del cosiddetto “buco dell’ozono” sia del riscaldamento globale. Il divieto è stato rafforzato nel 1989 dalla conferenza di Helsinki. E così anche la seconda grande invenzione di Midgley si è tradotta in un insuccesso, dal punto di vista ecologico, il che non oscura l’ingegnosità dell’inventore. Midgley, il chimico, e Kettering, l’ingegnere, hanno occupato un posto importante nella storia delle innovazioni tecnico-scientifiche nel corso degli anni venti e trenta del Novecento

Midgley ha inventato molte altre cose, dalla prima benzina ad alto numero di ottano per aviazione, ad un aeroplano telecomandato, a vari perfezionamenti nel campo della gomma e della vulcanizzazione.

Midgley ebbe una morte prematura e tragica. Nel 1940 fu colpito dalla poliomielite che lo ha reso invalido; col suo solito spirito inventò un meccanismo di pulegge e cavi che poteva comandare da solo e che gli permetteva di alzarsi dal letto. Purtroppo proprio i cavi di questo sistema una sera si sono arrotolati intorno al suo collo e lo hanno strangolato. Era il 2 novembre 1944 e Midgley aveva solo 55 anni.

Wallace Carothers (1896-1939) - Persone della chimica

2011 Anno internazionale della chimica

Giorgio Nebbia

Ho davanti una fotografia del 1940: in una strada centrale di New York un cordone di polizia tiene a bada una folla di persone. Appena otto anni prima, in piena crisi economica, la folla sarebbe stata costituita da disoccupati. Quel giorno del 1940 la folla premeva per entrare nei negozi in cui si vendevano le prime calze da donna fatte con una nuova miracolosa fibra sintetica, il nylon.

In otto anni il "nuovo corso" del presidente americano Roosevelt aveva ridato fiducia al paese, rimesso in moto l'economia, spinto l'industria e le università a nuove ricerche, invenzioni e produzioni. In questo clima, nei laboratori scientifici della società DuPont un giovane chimico fece due scoperte rivoluzionarie: la gomma sintetica clorurata, neoprene, e la prima fibra sintetica poliammidica, il nylon.

Purtroppo l'inventore, William Carothers, nato nel 1896, non era riuscito a vedere il successo del suo lavoro; si era infatti suicidato nell'aprile del 1937.

La scoperta del nylon ha alcuni aspetti straordinari: già nei decenni precedenti erano comparse sul mercato delle fibre artificiali, costituite da cellulosa rigenerata o da derivati della cellulosa (i vari tipi di "raion") o da proteine rigenerate. Negli anni trenta era comparsa qualche fibra sintetica, ma di scadente qualità. Carothers abbe l'idea di preparare sinteticamente una fibra che avesse una struttura chimica simile a quella delle proteine che costituiscono la seta e la lana.

Nel 1935 Carothers riuscì, dopo lunghe ricerche teoriche e fondamentali e innumerevoli tentativi, a far combinare uno speciale acido, l'acido adipico, con una speciale ammina, l'esametilendiammina, in modo da ottenere una poliammide con legami simili a quelli che si trovano, appunto, nelle proteine naturali.

La nuova fibra si rivelò una sostanza fuori del comune: aveva la leggerezza della seta e la resistenza dell'acciaio. A differenza di quanto avviene nelle fibre naturali, il cui diametro è sempre uguale, regolato dalla funzione biologica del baco da seta o dalla formazione dei peli nelle pecore, la nuova fibra poteva essere preparata con diametri variabili a piacere: si potevano ottenere fili sottilissimi ben adatti per la fabbricazione di calze da donna, fino a fili più grossi adatti come setole per gli spazzolini da denti o per la produzione di reti o addirittura di cordami.

Il 27 ottobre 1938 la DuPont annunciò la scoperta del nylon, la fibra "fabbricata da carbone, aria e acqua", presentata poi all'esposizione universale di New York del 1939. Poco dopo arrivarono nei negozi le prime calze da donna di nylon, sottili e trasparenti e resistenti alle smagliature, tanto facili e fastidiose nelle calze di seta. L'entusiasmo dei consumatori fu così grande che il nylon diede un contributo anche alla ripresa dell'economia americana.

Il nylon, una delle meraviglie del secolo, scomparve però presto dai negozi: era cominciata la seconda guerra mondiale e tutto il nylon prodotto fu impiegato a fini militari, per realizzare le corde e le calotte dei paracadute, i traini degli alianti che permisero lo sbarco delle truppe anglo-americane in Europa, i cordami delle navi e infiniti altri oggetti. Finita la guerra, ancora una volta il ritorno delle calze di nylon nei negozi fu un segnale della pace e della ripresa della vita.

Straordinaria come quella del nylon fu la storia del suo inventore: diplomato in ragioneria, Carothers si laureò e ottenne un dottorato in chimica nel 1924; insegnò in varie università e nel 1928 gli fu offerto di entrare nell'industria DuPont. Carothers accettò solo a condizione di poter condurre ricerche di base in piena indipendenza e libertà.

Il patto andò bene soprattutto alla DuPont perché le ricerche di Carothers, ancora oggi fondamentali nel campo delle macromolecole, portarono ben presto alla scoperta del neoprene e poi del nylon, inventato nel 1934 e brevettato nel 1936. Nonostante gli onori e i riconoscimenti ricevuti Carothers era sempre scontento e depresso ed ebbe una vita sentimentale travagliata.

A parte la fine prematura del protagonista, la vicenda scientifica di Carothers e delle sue scoperte offre un piccolo spaccato di un tempo di grandi speranze, di coraggio, di voglia di scoprire i segreti della natura e di lungimiranza e successo imprenditoriale. Che di queste doti ci sia bisogno anche oggi ?

Linus Pauling (1901-1994) - Persone della chimica

2011 Anno internazionale della chimica

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

A Linus Pauling (1901-1994) si devono contributi fondamentali nella chimica e nella biologia e una grande lezione di impegno civile per la pace e contro le bombe atomiche.

Nato nell’Oregon, uno degli stati della costa del Pacifico degli Stati Uniti, da una famiglia povera, lavorò per poter studiare e frequentare l’Università dove si diplomò in scienze per passare poi a studiare chimica fisica all’Università della California a Pasadena. I primi successi di Pauling vennero dalle sue ricerche sulla “natura del legame chimico”. Un fondamentale libro con questo nome, fu pubblicato nel 1939 e fu tradotto in italiano subito dopo la Liberazione, alla fine della lunga notte di isolamento internazionale e culturale imposto dal fascismo.

Georges Claude (1870-1960): un chimico controverso

2011 Anno internazionale della chimica

Giorgio Nebbia

All’inizio li chiamavano “gas nobili” perché non si combinavano con altri elementi chimici, proprio come i re e i nobili non vogliono avere rapporti con i comuni mortali. A dire la verità, col passare del tempo, si è visto che anche i gas nobili, come capita ormai anche ai re e ai nobili, si combinano eccome con elementi meno nobili, dando anzi luogo a curiosi e strani composti. Resta il nome di gas rari perché effettivamente sono presenti in natura in quantità limitate.

Il neo (più comunemente neon) è il secondo dei gas rari che figurano nella tabella di Mendeleev; il primo è l’elio, poi, dopo il neon, seguono l’argo, il cripto, lo xeno e il radon. I primi tre, elio, neon e argo, si trovano in piccole quantità nell’aria. Il gas raro più abbondante è l’argo, presente in ragione di circa 0,93 % in volume nell’atmosfera terrestre, insieme all’azoto (circa 78 %) e all’ossigeno (circa 21 %); segue il neon (appena 0,00181 %), seguito a sua volta dall’elio (0,0005%). Del cripto e dello xeno sono presenti nell’aria minime quantità. Tutti questi gas, attraversati da una corrente elettrica, emettono della luce. Quella del neon è rossa; le scariche elettriche attraverso altri gas generano luci di altri colori.

Giorgio Renato Levi (1895-1965) - Persone della Chimica

2011 Anno internazionale della chimica

Vincenzo Riganti

Giorgio Renato Levi, nato a Ferrara nel 1895, cresce nell’ambiente accademico padovano di Bruni e Sandonnini e con Giuseppe Bruni (1873-1946) si laurea in Chimica nel 1916. Sul suo certificato di laurea non c’è un voto inferiore a trenta.

E’ immediatamente chiamato alle armi e, come chimico, lavora al dinamitificio di Cengio, della società SIPE, nel reparto ricerche. Al termine della guerra continua la sua collaborazione alla SIPE, sviluppando nuovi processi: da ricordare soprattutto quello per la sintesi della benzidina utilizzando l’idrogeno sottoprodotto della preparazione elettrolitica della soda caustica e l’ossido di ferro sottoprodotto della lavorazione dell’anilina. Riveste per un breve periodo le funzioni di direttore del laboratorio ricerche della Società Italica di Rho, occupandosi di coloranti azoici; ma nel 1921 il suo Maestro, Giuseppe Bruni (autore del "Trattato di Chimica Generale e Inorganica" sul quale si sono formate intere generazioni di studenti) lo chiama come assistente al Politecnico di Milano.

Renato Curti Magnani (1908-1981) - Persone della chimica

2011 Anno internazionale della chimica

Vincenzo Riganti

Renato Curti Magnani, ordinario di Merceologia nella Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell'Università di Pavia fino al 1979, originario del lodigiano, fu allievo prediletto del prof. Giorgio Renato Levi e lo seguì quando, dalla cattedra di Chimica generale dell'Università di Milano, il Maestro si trasferì a quella dell'Università di Pavia.

Breve fu però la permanenza del prof. Giorgio Renato Levi nell'Università di Pavia: ben presto le inique leggi razziali lo costrinsero a lasciare l'Italia per l'esilio sudamericano. Se il Maestro poté trasferirsi all'estero dignitosamente, lo dovette alle premure dell'Allievo, che si adoperò in mille modi per salvaguardarne i beni e --- dopo la sconfitta del nazifascismo --- lo riaccolse quando fu reintegrato nella cattedra che era stato costretto ad abbandonare.

Ma nel frattempo Renato Curti Magnani non soltanto continuò le ricerche perseguendo ogni nuova tecnica avanzata --- dalla roentgenografia, alla polarografia, alla cromatografia --- ma svolse anche una apprezzata attività come resistente nelle formazioni partigiane dell'Oltrepò pavese.

Dopo la guerra Renato Curti Magnani fu docente di varie discipline chimiche: dalla Chimica analitica, alla Chimica generale, alla Elettrochimica, finché gli fu chiesto di insegnare Merceologia nella nascente Facoltà di Economia e Commercio dell'Università di Pavia. Arricchì la neonata Facoltà apportando ad una disciplina già allora in evoluzione il contributo che gli derivava dalla multiforme attività svolta nelle altre discipline scientifiche, fino a quando fu chiamato a coprire la cattedra di Chimica Merceologica nella Facoltà di Scienze.

Sempre attento ai progressi del pensiero scientifico, utilizzava le nozioni per insegnare un metodo, per stimolare il desiderio di approfondire e di ampliare: in una lunga e feconda carriera didattica, dal primo incarico che gli fu conferito nel 1937 all'ultima lezione cattedratica che tenne nel 1979, in un arco di più di quarant'anni conobbe ed educò migliaia di allievi.

Continuò nel frattempo la ricerca scientifica: ne danno testimonianza le sue pubblicazioni, apparse su riviste nazionali ed internazionali, molte delle quali precorritrici e anticipatrici di successivi importanti sviluppi, dalle misure dielettriche sulle soluzioni di iodio in benzene, alle ricerche roentgenografiche sui carboni colloidali, alle cromatografie sugli stereoisomeri che apparvero sul Journal of the American Chemical Society all'inizio degli anni '50, fino alle successive ricerche indirizzate a temi merceologici e tecnologici di notevole rilievo.

Mi piace ricordare che le sue ultime pubblicazioni della seconda metà degli anni '70 toccano temi quali la qualità delle acque di superficie ed il restauro delle strutture monumentali, ancor oggi attuali e vivi, a testimonianza della sua acuta sensibilità non soltanto di ricercatore nel settore della chimica merceologica ma anche di naturalista e di cultore d'arte. Egli difatti non limitò la sua attività allo specifico campo disciplinare della Chimica merceologica ma fu cultore attento e preparato delle discipline musicali, autore di volumi storici, colse meritati successi nello sci e nella motonautica, militò attivamente nella Resistenza.

Anche in questo sta il suo insegnamento: ci ha mostrato che l'uomo è veramente tale solo se è aperto a tutti gli orizzonti della vita.

Dmitri Mendeleev (1834-1907) - Persone della chimica

2011 Anno internazionale della Chimica

Giorgio Nebbia

Poche persone nella storia della cultura occupano una posizione così rilevante come Dimitri Mendeleev (1834-1907), il chimico russo che scoprì e divulgò una delle più straordinarie proprietà della materia, la regolarità del comportamento degli atomi. La scoperta di quella che oggi di chiama “Tabella di Mendeleev" aprì nuovi orizzonti alla conoscenza del mondo ed è dovuta a un grande scienziato che fu anche un personaggio pittoresco.

Nato in Siberia nel 1834, si trasferì da ragazzo a Mosca e studiò a Pietroburgo --- la leggendaria Leningrado del periodo sovietico, la città martire che fermò l’avanzata nazista verso oriente e resistette ad un assedio durato mille giorni, ora chiamata San Pietroburgo. Mendeleev continuò e approfondì gli studi di chimica nei laboratori chimici europei più famosi, in Francia e in Germania.

Nel 1866, a 32 anni, diventò professore universitario di chimica e tre anni dopo, nel 1869, pubblicò la prima edizione della tavola periodica degli elementi. Alla base di questa scoperta sta una visione illuministica: l'idea che le faccende della natura dovessero essere disposte "in ordine". Che ci fosse un ordine anche nelle proprietà degli elementi che compongono tutta la materia ? Per tentare una risposta a questa domanda Mendeleev cominciò a disporre, sulla carta, gli elementi noti in quel tempo, una sessantina, in ordine di peso atomico crescente.

Il peso atomico è un numero che indica di quante volte un atomo pesa più di un atomo di idrogeno, il cui peso atomico è preso (praticamente) uguale ad uno. Mendeleev dispose così, in una riga orizzontale, uno dopo l'altro, l'idrogeno (simbolo H; peso atomico 1), il litio (Li; 7), il berillio (Be; 9), il boro (B; 7), il carbonio (C; 12), l'azoto (N; 14), l'ossigeno (O; 16), il fluoro (F; 19).

L'elemento successivo era il sodio (Na; peso atomico 23), il cui comportamento chimico è simile a quello del litio. Mendeleev cominciò, così un'altra riga orizzontale, sempre disponendo gli atomi in ordine di peso atomico crescente e mettendo ciascun atomo nella casella sottostante l'atomo precedente dotato di comportamento simile. Dopo il sodio veniva il magnesio (Mg; 24) che ha comportamento simile a quello del berillio; l'alluminio (Al; 27), chimicamente simile al boro. Seguiva poi il silicio (Si; 28), che stava bene in colonna sotto il carbonio; il fosforo (P; 31) simile all'azoto; lo zolfo (S; 32), simile all'ossigeno; e il cloro (Cl; 35) simile al fluoro.

L'elemento successivo, in ordine di peso, era il potassio (K; 39) che Mendeleev potè sistemare convenientemente all'inizio di una terza riga orizzontale, in colonna sotto il litio e il sodio che hanno comportamento chimico simile a quello del potassio. Veniva poi il calcio (Ca; 40) che andava bene sotto il berillio e il magnesio.

A questo punto Mendeleev incontrò una serie di elementi con proprietà che non si erano ancora incontrate. Dovette allora predisporre, dopo due righe "corte", alcune righe "lunghe", ma il principio della periodicità delle caratteristiche chimiche continuava, in maniera soprendente, ad essere rispettato.

Continuando con questo criterio Mendeleev sistemò i 63 atomi che conosceva nel 1869; se non trovava al posto giusto l'atomo giusto lasciava vuota una casella e andava avanti. Nella edizione inglese del suo "Trattato di chimica", pubblicata nel 1891, figurano 65 elementi, con molti “vuoti”. Per esempio c’era una casella vuota fra il molibdeno (Mo) e il rutenio (Ru); se si osserva una tabella moderna si vede che oggi tale casella è occupata dal tecnezio (Tc), un elemento radioattivo, per inciso il primo elemento prodotto artificialmente con reazioni nucleari nel 1937 da Segrè; le sue proprietà corrispondono esattamente a quelle degli altri elementi della colonna in cui si colloca.

Mendeleev non conosceva i gas rari, o gas nobili: fra l'idrogeno (H) e il litio (Li) c'e' un altro elemento, l'elio (simbolo He), con peso atomico 4, il primo dei gas rari; il secondo gas raro, il neon (Ne), con il suo peso atomico 20 trova posto perfettamente nella casella sotto quella dell’elio, fra il fluoro e il sodio.

Nel 1935 gli elementi noti erano diventati 92; l'ultimo era l'uranio (U) che già Mendeleev conosceva. Con le reazioni nucleari sono stati preparati vari elementi artificiali di peso atomico superiore a quello dell'uranio, o transuranici. Giustamente a uno di questi, scoperto nel 1955, è stato dato il nome di "mendelevio" (simbolo Mv; peso atomico 256), in onore del chimico russo. Inutile dire che anche i transuranici presentano proprietà chimiche del tutto rispettose del principio di periodicità, rispetto agli elementi delle righe precedenti.

Tutto questo è ormai patrimonio della nostra cultura e anche i ragazzi che studiano qualche elemento di chimica nelle scuole medie conoscono bene la "Tabella di Mendeleev". Il riconoscimento della scoperta non fu, però, né rapido né facile. La scoperta fu accolta infatti con scetticismo e la sua importanza fu riconosciuta soltanto perché, nel corso degli anni settanta dell’Ottocento, furono identificati e analizzati vari nuovi elementi che si collocavano perfettamente nelle caselle lasciate vuote nella prima edizione della "tabella".

Questa verifica della validità della sua intuizione assicurò a Mendeleev una celebrità mondiale e, nel 1906, il premio Nobel per la chimica. Nonostante la celebrità, la vita del grande scienziato fu abbastanza agitata; Mendeleev fu anche un progressista e un contestatore. La Russia zarista ebbe un suo 'sessantotto' di contestazione universitaria e Mendeleev fu sempre dalla parte degli studenti, insieme ai quali fu arrestato dalla polizia durante una manifestazione.

Mendeleev viaggiava in ferrovia in terza classe per stare in mezzo al popolo e capirne i problemi. Si tagliava i capelli e la barba una volta all'anno; quando lo zar --- che era un tiranno, ma rispettava gli scienziati --- lo invitò a corte, gli addetti al cerimoniale chiesero a Mendeleev di mettersi un po' in ordine i capelli. Il grande chimico rispose che o lo zar lo riceveva così com'era, oppure sarebbe rimasto a casa propria. E la ebbe vinta.

All'esempio di indipendenza e di rigore morale si accompagnavano felici doti di sperimentatore, di docente e di divulgatore. Un suo trattato: "Principi di chimica", ebbe molte edizioni e fu tradotto in molte lingue contribuendo a diffondere la fama dell'autore e della scienza russa. Alcuni anni fa nei paesi civili il 150° anniversario della nascita di Mendeleev è stato celebrato con l'emissione di francobolli, con manifestazioni popolari, con trasmissioni televisive. In Italia niente. Per curiosità ho esplorato gli elenchi stradali delle grandi città per vedere se almeno una di queste avesse dedicato una strada a Dimitri Mendeleev.
Macché. E poi ci lamentiamo della crisi della chimica in Italia !

Marie Curie (1867-1934) - Persone della chimica

2011 Anno internazionale della Chimica

Giorgio Nebbia

Immaginate un capannone col tetto dalla copertura sconnessa che lascia passare la pioggia, e immaginate un mucchio di terra scura per terra, e immaginate un bancone e una giovane donna, laureata in fisica e in matematica, che, al caldo e al freddo, passa le sue giornate a trattare quella terra scura a venti chili per volta, con acidi, e a filtrare e a ridisciogliere i residui con altri acidi ancora. E immaginate suo marito, un giovane professore di fisica che, accanto a lei, controlla ogni frazione di materiale separato con un apparecchio (di sua invenzione) che misura la presenza dei “raggi” che provocano una scarica elettrica fra due elettrodi. Raggi simili a quelli emessi dall’uranio e dal torio.

Siamo a Parigi, più di un secolo fa. La giovane fisica, di origine polacca (si chiamava Marie Sklodowska, sposata Curie), aveva osservato che un minerale di uranio, la pechblenda, emanava i misteriosi ”raggi dell’uranio” in quantità molto maggiore di quanto potesse essere giustificato dal suo contenuto di uranio: era come se nel minerale fosse presente un altro elemento molto più attivo dell’uranio stesso.

Maria e il marito Pierre Curie (1859-1906), dopo un gran numero di separazioni, nel giugno del 1898 poterono riferire di aver identificato un nuovo elemento chimico molto attivo, con proprietà chimiche simili a quelle del bismuto. “Suggeriamo”, scrissero nella loro pubblicazione, “che il nuovo elemento sia chiamato ‘polonio’ dal nome del paese di origine di uno di noi”. Dopo altri sei mesi di lavoro poterono descrivere l’esistenza di un altro elemento ancora, che emanava i raggi dell’uranio con una intensità un milione di volte superiore a quella dell’uranio, con comportamento chimico simile a quello del bario, e chiamarono la nuova sostanza “radio” e il fenomeno “radioattività”.

Per accertare la natura delle nuove sostanze i Curie riuscirono a farsi regalare, e in parte comprarono di tasca propria, alcune tonnellate di scorie residue delle miniere di pechblenda di Joachimsthal in Boemia (oggi Jachymov, nella Repubblica Ceca). Finalmente nel 1903 Marie Curie riuscì ad isolare cento milligrammi di cloruro di radio puro, e tale ricerca fu l’argomento della sua tesi di laurea in chimica.

Ben presto fu scoperto che il radio era prezioso per la cura dei tumori; una troppo lunga esposizione, però, provocava ferite e tumori. “Il raggio che uccide e risana” --- era il titolo di un romanzo popolare del tempo --- destò un’enorme impressione nell’opinione pubblica, in tutto il mondo.

I Curie si rifiutarono di brevettare il procedimento di preparazione del radio che fu ben presto fabbricato su scala commerciale. Il governo austriaco, di cui allora Joachimsthal faceva parte, vietò le esportazioni della pechblenda che si trovava nel suo territorio e si mise a estrarre il radio sul posto; quasi contemporaneamente il radio fu prodotto in Francia, negli Stati Uniti, in Svezia. Ma, al di là delle applicazioni pratiche, le scoperte dei coniugi Curie aprirono le porte alla comprensione della natura dell’atomo e del suo nucleo, alla radioattività artificiale, alla fissione e alla fusione nucleare, insomma al mondo moderno.

Altrettanto romanzesca quanto la storia del radio è la vita entusiasmante e drammatica di Marie Curie. In pochi anni diventò nota in Francia e in tutto il mondo ma, nonostante la celebrità, i Curie non solo non diventarono ricchi, ma dovettero fare i conti con ristrettezze economiche alleviate solo in parte dall’assegnazione, nel 1903, del premio Nobel per la fisica. Nello stesso anno 1903 Pierre Curie fu proposto per la Legion d’Onore, la massima onoreficenza francese, ma replicò che gli occorrevano non medaglie, ma piuttosto un buon laboratorio in cui continuare le sue ricerche. Pierre Curie morì a Parigi, investito da un carro a cavalli, nel 1906 e Marie rimase vedova a 38 anni con due bambine, Irene (1897-1956,che avrebbe ottenuto il premio Nobel per la fisica nel 1935 col marito Frederic Joliot (1900-1958) per la scoperta della radioattività artificiale) e Eva (1904-), a cui si deve una bella biografia della madre, pubblicata nel 1937 e tradotta anche in italiano.

Nonostante l’impegno familiare e l’insegnamento, Marie Curie continuò le ricerche sulla separazione, purificazione e le proprietà del radio, che le valsero nel 1911 un secondo premio Nobel, questa volta per la chimica. Il successo, quale mai una donna, e una straniera per di più, aveva raggiunto, destò, come spesso capita, gelosie e invidie e la Curie fu al centro di una campagna denigratoria: dapprima fu accusata di essere ebrea, proprio negli anni in cui la Francia era travolta da una ondata di antisemitismo, culminata nel caso Dreyfus, poi di essere l’amante del collega Langevin, un fisico anche lui. Queste accuse le preclusero l’elezione, che sarebbe stata ben meritata, all’Accademia di Francia.

Eppure Marie Curie rimase fedele al suo impegno di studiosa, di madre e al suo altruismo: durante la prima guerra mondiale (1914-1919) organizzò delle unità mobili dotate di apparecchi per raggi X che permettevano, nelle vicinanze del fronte, di identificare rapidamente e con sicurezza le ferite dei soldati. Marie stessa, con la figlia Irene diciottenne, guidava uno dei laboratori mobili.

Nel 1918, alla fine della guerra, Marie Curie potè finalmente entrare nel nuovo Istituto del radio di Parigi, tanto desiderato, dove aveva a disposizione laboratori adeguati, anche se l’Istituto era dotato soltanto di una piccolissima quantità, un solo grammo, del radio necessario per le sue ricerche, quando la produzione mondiale del prezioso e costoso elemento, da lei scoperto, ammontava ormai a vari chilogrammi.

Una giornalista americana organizzò allora, nel 1926, un viaggio che portò Marie Curie, già malata, in numerose città e università americane dove tenne faticosamente varie conferenze e fu accolta entusiasticamente come “la donna del radio”. Come premio per tanta fatica riuscì a raccogliere i fondi per acquistare due grammi di radio per il suo Istituto.

La leucemia provocata dal contatto, per trent’anni, con tanto materiale radioattivo uccise Marie Curie nel 1934. Per iniziativa del presidente francese Mitterrand, nel 1995 le sue ceneri, insieme a quelle del marito Pierre, furono portate nel Pantheon, il tempio della gloria della Francia. Credo che ogni fisico, ogni chimico, ogni studioso, ogni donna, direi, dovrebbero essere orgogliosi di avere qualcosa in comune con una persona come Marie Curie. Vorrei che la sua passione e la sua storia umana, più che la speranza di cattedre, stipendi, onori e interviste televisive, spingessero un numero crescente di giovani studiosi ad esplorare il mondo della natura con lo stesso disinteresse, premessa essenziale per le scoperte capaci di alleviare il dolore dell’umanità.

Lise Meitner (1878-1968) - Persone della chimica

2011 Anno internazionale della Chimica

Giorgio Nebbia

Non sono tante le donne che hanno avuto un ruolo rivoluzionario nella modificazione del nostro pianeta: una di queste è stata Marie Curie (1867-1934), di cui sono ben note la vita e la storia scientifica: la scoperta della radioattività naturale riconosciuta con l'assegnazione di due premi Nobel. Un'altra, meno nota, ma altrettanto importante, è Lise Meitner (1878-1968), una fisica austriaca, vissuta a lungo in Germania, fuggita poi in Svezia per motivi razziali: la vera scopritrice del fenomeno della fissione nucleare sulla base di considerazioni puramente chimiche, per questo se ne parla fra le "persone della chimica". La vita e il destino di questo gigante della scienza sono stati ben descritti in un libro di Ruth Sime, pubblicato negli Stati Uniti.

Per ricostruire l'importanza del contributo della Meitner alla nascita dell'era atomica, bisogna fare un salto indietro agli anni trenta del Novecento. Negli anni 1935-38 almeno tre gruppi nel mondo (Fermi a Roma, Joliot a Parigi e Hahn a Berlino) stavano cercando di capire la natura chimica e il comportamento delle sostanze radioattive "artificiali" che si formavano colpendo i nuclei di vari atomi con protoni e neutroni: fra gli altri i nuclei di uranio con neutroni.

Tutti questi colossi della fisica pensavano che i nuclei di uranio "incorporassero" dei neutroni e dessero luogo alla formazione di elementi transuranici (posti nella tabella di Mendeleev nelle allora sconosciute caselle che portavano un numero atomico superiore a 92, quello dell'uranio). Era una febbrile corsa alla comprensione del più intrigante fenomeno mai incontrato dai fisici: la produzione artificiale di elementi del tutto nuovi. Le analisi chimiche però non tornavano: le sostanze formate dopo la reazione uranio-neutroni avevano un comportamento chimico incompatibile con quello di qualsiasi elemento transuranico ragionevolmente prevedibile.

Il mistero sarebbe stato svelato da una fragile signora di sessant'anni. Lise Meitner, nata a Vienna, era arrivata a Berlino trent'anni prima con la sua recente laurea in fisica ed era stata assunta nel laboratorio di chimica di Otto Hahn (1879-1968) nel 1907: un grande favore perché le donne non erano ammesse nell'Istituto e Lise Meitner poteva lavorare solo nello scantinato e doveva entrare e uscire dalla porta dei bidelli. La Meitner collaborò come "assistente" per trent'anni ai fondamentali lavori di Hahn, compresi quelli sulla radioattività artificiale.

Nel 1938, in seguito alle persecuzioni razziali, la Meitner dovette scappare fortunosamente, senza un soldo, dalla Germania nazista prima in Danimarca e poi in Svezia, dove ebbe un posto di ricercatore all'Istituto Nobel. Nel dicembre 1938, durante una vacanza, la Meitner discuteva con il nipote Otto Frisch (1904-1979), un fisico viennese, fuggito anche lui dalla Germania nazista in Danimarca, nel 1933, i recenti risultati delle ricerche di Otto Hahn, con il quale la Meitner era rimasta in corrispondenza.

Fu così che Frisch e la Meitner riconobbero, sulla base delle analisi di Hahn, che i nuclei formati in seguito al bombardamento con neutroni del nucleo di uranio, erano quelli non di un elemento transuranico, ma di un isotopo radioattivo del bario. Il bario, un elemento molto più piccolo dell'uranio, doveva essersi formato per "rottura" del nucleo di uranio, un fenomeno che la Meitner chiamò "fissione".

Nella fissione del nucleo di uranio si verificava una diminuzione della massa complessiva della materia in gioco e la massa "perduta" per forza doveva trasmutarsi in energia, come aveva previsto Einstein. La corretta interpretazione e descrizione della fissione dei nuclei di uranio fu resa pubblica in una famosa "Lettera" all'editore della rivista inglese "Nature", pubblicata nel gennaio 1939.

A Lise Meitner, quindi, va attribuita la vera scoperta della fissione nucleare --- la grande svolta che avrebbe cambiato la visione del mondo e della natura, il mondo dell'energia disponibile agli esseri umani e gli stessi equilibri militari delle grandi potenze. Per quelle ingiustizie che così spesso colpiscono le donne, il premio Nobel per la chimica, per la scoperta della fissione nucleare, fu attribuito nel 1944 soltanto ad Hahn e la Meitner non ebbe mai quel riconoscimento che le sarebbe ben spettato.

Chi sa che qualche editore italiano non voglia tradurre il libro: "Lise Meitner: a life in physics". Esso offre, attraverso la vita di questa donna, uno spaccato della storia dell'Europa contemporanea, dalle grandi scoperte scientifiche, alla violenza nazista, alle persecuzioni razziali, alle discriminazioni maschili verso un genio femminile.

Sono orgoglioso di essere un chimico

2011 Anno internazionale della chimica
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Nel parlare comune troppo spesso "chimica" è parolaccia e viene associata a cose sgradevoli: l'inquinamento chimico, gli additivi chimici, la diossina di Seveso, eccetera. Quasi contrapposta a qualcosa di virtuoso che sarebbe "naturale", come gli alimenti naturali (o "biologici"), l'acqua in bottiglia naturale, eccetera.

L'equivoco e la confusione nascono, a mio modesto parere, da vari fattori. Il primo ha le sue radici nella scuola dove la chimica come disciplina è relegata ad un ruolo secondario ed è spesso insegnata male, senza amore, come dimostra il ricordo angoscioso --- il ricordo delle "formule", spesso incomprensibili --- rimasto a coloro che hanno dovuto subirla per un anno in qualche scuola superiore. Capita così di leggere articoli, scritti da giornalisti certamente bravissimi, che il loro direttore licenzierebbe se non sapessero scrivere correttamente il nome di Freud o di Heidegger, i quali con assoluta sicumera parlano di celle fotovoltaiche al silicone (o di seni artificiali al silicio); o che parlano di una imposta sul carbone quando invece tale imposta è proporzionale al contenuto di carbonio presente nei vari combustibili fossili: petrolio, gas naturale e anche carbone, naturalmente: eccetera.

Walter Ciusa (1906-1989) Persone della chimica

2011 Anno internazionale della chimica

Walter Ciusa (1906-1989), laureato in Chimica, è stato assistente (allora esistevano ancora) di Merceologia a Bari dal 1928 al 1931 quando l’Istituto era diretto da Giuseppe Testoni (1877-1957); è stato poi assistente di Merceologia nell’Università di Bologna fino al 1947 quando è tornato a Bari come professore di ruolo.

Erano anni ruggenti, di ricostruzione di quanto distrutto dalla guerra, ma anche di grandi speranze; l’Istituto di Merceologia si trovava nell’attico del palazzo della Facoltà di Economia e Commercio, sul lungomare, e il laboratorio chimico aveva ancora le tracce dell’occupazione da parte dell’esercito inglese che lo aveva usato dopo la Liberazione di Bari nel 1943 per le proprie analisi.