La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 10 giugno
2014
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Cento anni fa moriva a Parigi Herman Frasch, il chimico
americano che ha distrutto l’economia mineraria siciliana dell’Ottocento. Dai
tempi antichi, e poi in tutto il Medioevo e nel corso dell’Ottocento la
Sicilia, con le sue miniere di zolfo, ha occupato la posizione di monopolista
di una delle più importanti materie prime industriali, qualcosa come i paesi
petroliferi oggi. Lo zolfo era già noto dall’antichità. I romani facevano
estrarre lo zolfo dalle miniere siciliane usando schiavi e prigionieri di
guerra, destinati a breve vita per le inumane condizioni di lavoro; i cinesi
avevano scoperto che lo zolfo era un ingrediente necessario della polvere da
sparo. Più tardi gli alchimisti hanno imparato ad ottenere dallo zolfo un
potente liquido corrosivo, il vetriolo, che sarebbe poi stato riconosciuto come
acido solforico, proprio quello indispensabile alla successiva industria
chimica europea per produrre detersivi e altre merci.
In molte zone della Sicilia lo zolfo si trova nel sottosuolo,
frammisto a solfato di calcio, il gesso, sabbie e altre rocce; all’inizio
dell’Ottocento, quando è aumentata la richiesta di zolfo da parte di Francia e
Inghilterra, i proprietari delle miniere sono stati investiti da un’ondata di
ricchezza, usata male; non sono stati fatti investimenti per migliorare il
processo di escavazione del minerale e di estrazione dello zolfo, operazioni
dannosissime per i minatori e fonti di inquinamento atmosferico. I prezzi
variavano capricciosamente destando la protesta degli importatori inglesi che
addirittura fecero arrivare una flotta militare per imporre al re delle Due
Sicilie di mettere ordine in questa produzione. Anche dopo l’avvento del regno
d’Italia la situazione dell’estrazione e del mercato dello zolfo siciliano
restò disordinata e turbolenta, una sorta di capitalismo selvaggio e
imprevidente.
Intanto dall’altra parte dell’Oceano Herman Frasch, un
giovane chimico di origine tedesca, nato nel 1851 e emigrato a 18 anni negli
Stati Uniti, aveva deciso di cercare una soluzione che permettesse di
recuperare lo zolfo che alcuni cercatori di petrolio avevano trovato nel
sottosuolo della Lousiana, lo stato che si affaccia nel sud degli Stati Uniti,
sul Golfo del Messico. Si trattava di uno strato di zolfo puro, qualche centinaia
di metri sotto sabbie e rocce e acqua; molti avevano tentato senza successo di
raggiungerlo e portarlo in superficie. Partendo dalla sua esperienza di
estrazione del petrolio, con la quale aveva già fatto una certa fortuna, Frasch
applicò la stessa tecnica e nel 1890 brevettò il processo che avrebbe
trasformato gli Stati Uniti da paese importatore di zolfo a paese esportatore
di questa materia strategica.
Lo zolfo è un metalloide giallo solido che fonde a circa 115
gradi Celsius, una temperatura di poco superiore a quella di ebollizione
dell’acqua, cento gradi. Il metodo Frasch consisteva nel far arrivare nel
giacimento sotterraneo di zolfo, due tubi concentrici; in quello esterno veniva
iniettato vapore a circa 150 gradi che faceva fondere, nel sottosuolo, lo
zolfo; la stessa pressione del vapore faceva salire, attraverso il tubo
centrale, lo zolfo fuso fino in superficie dove solidificava come zolfo
purissimo. Gli industriali siciliani ebbero notizia della scoperta di
giacimenti di zolfo negli Stati Uniti ma furono lenti a capire l’enorme
potenziale di questo concorrente; e fecero male perché nel 1905 lo zolfo
americano che sbarcò in Europa costava la metà di quello siciliano.
Frasch creò una sua società, la Union Sulfur Company, in un
paesino della Lousiana che prese il nome di Sulfur, zolfo, una delle poche
città del mondo che hanno il nome di un elemento chimico. Il giacimento di
Frasch si esaurì dopo alcuni anni ma molti altri furono sfruttati con lo stesso
processo. Frasch, ormai ricco, era celebrato come il “re dello zolfo”, uno dei
grandi inventori del Novecento. La produzione di zolfo americano col processo
Frasch aumentò subito rapidamente e invase i mercati mondiali e l’industria
zolfifera siciliana fu colpita a morte; sopravvisse durante il fascismo, grazie
alla politica autarchica, ma le miniere chiusero definitivamente negli anni
cinquanta del Novecento dopo aver raggiunto una produzione massima di mezzo
milione di tonnellate all’anno e aver causato innumerevoli dolori ai lavoratori
e gravi inquinamenti. Ma anche la produzione dello zolfo Frasch declinò fino a
scomparire, dopo un secolo, per la concorrenza dello zolfo ricavato dalla
depurazione del petrolio e del gas naturale, imposta dalle leggi contro
l’inquinamento atmosferico.
La storia di Frasch e dello zolfo insegna varie cose: la
produzione industriale dipende da materie prime che possono essere tratte
soltanto dalla natura; la natura è un “serbatoio” grandissimo di materie utili
per le necessità umane, ma le sue riserve non durano a lungo e sono destinate
ad esaurirsi. Un processo produttivo è esposto alla concorrenza di altre
innovazioni e una politica industriale deve stare bene attenta ai segni di
scoperte e innovazioni, all’inizio apparentemente insignificanti, ma che si rivelano
poi rivoluzionarie.
Infine la storia personale di Frasch mostra che il successo
arride alla mente preparata, a chi osserva attentamente il mondo naturale e
industriale circostante e i suoi mutamenti. Auguro a molti giovani chimici di
avere la stessa attenzione e successo del loro collega Frasch.