mercoledì 13 ottobre 2010

Grazie, Perkin

2011 Anno Internazionale della Chimica

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

La natura è ricchissima, ma anche un po' avara, e anche un po' dispettosa. Mentre gli esseri umani, da sempre, hanno chiesto alla natura una parte delle sue ricchezze per soddisfare le proprie necessità --- per nutrirsi, per curare le malattie, per ottenere le fibre tessili per gli indumenti, per colorare i tessuti, per ricavare papiro e carta su cui depositare i propri pensieri, per fabbricare i metalli, eccetera --- la natura ha distribuito le materie necessarie in maniera bizzarra.

Il chinino per curare la malaria è presente solo in poche piante che crescevano nell'America centrale; un bel colore rosso è stato messo in molluschi che si trovavano lungo le coste siriane; un bel colore blu si poteva trarre dall'indaco ottenibile in poche piante dell'India o dell'Europa meridionale; le migliori fibre tessili erano rappresentate dal cotone indiano e africano; la gomma si poteva ottenere da poche specie di alberi brasiliani. Tante cose utili ottenibili, per secoli, soltanto attraverso traffici e commerci su scala intercontinentale, "globale" come si direbbe oggi.

Traffici che generavano monopoli, speculazioni, conflitti, al punto da spingere gli scienziati a cercare soluzioni alternative: si può ben dire che la scienza e la chimica moderne sono nate per capire come erano fatte le materie e gli oggetti del grande commercio internazionale e per riprodurle per via sintetica, in modo da liberare i paesi occidentali dalla "servitù" dei paesi lontani e coloniali e dall'alto prezzo delle merci di importazione o di monopolio.

La storia della lenta liberazione dalla dipendenza dalle materie naturali è ricca di personaggi, avventure, successi, insuccessi, sorprese. Talvolta i chimici cercavano una sostanza e ne trovavano un'altra, magari di ancora maggiore importanza.

Una delle pagine più affascinanti ha avuto come protagonista un giovanotto inglese, William Perkin (1838-1907) affascinato dalla chimica e dalle sue applicazioni merceologiche. Nei primi decenni dell'Ottocento l'industria era dominata dal carbone e dal ferro. Inghilterra, Germania e Francia erano potenze imperiali grazie alla loro grande produzione di acciaio. Nei primi anni dell'Ottocento era stato scoperto che la produzione di acciaio era migliore se i minerali di ferro erano trattati a caldo con il carbone coke, che si otteneva scaldando ad alta temperatura, in assenza d'aria, il carbone fossile naturale. Durante l'operazione si liberavano sostanze liquide e gassose che lasciavano un residuo sporco nero catramoso, di ben poca utilità pratica.

Con uno spirito che oggi chiameremmo ecologico, la volontà di ricuperare cose utile dalle scorie e dai residui inutili che nessuno sapeva dove mettere, i chimici del tempo avevano scaldato l'inutile catrame ricavandone numerosi prodotti chimici, fra cui anilina, piridina, naftalina, antracene, di struttura abbastanza semplice e suscettibili di trasformazione in moltissime altre sostanze. Gli allievi del grande chimico e cattedratico August Hoffman, a Londra, erano impegnati a trattare questi prodotti per vedere "che cosa succedeva" scaldandoli insieme, ossidandoli, trattandoli con acido solforico, o nitrico, o cloridrico. L'obiettivo era riprodurre sinteticamente le sostanze naturali e qualche volta l'operazione riusciva, altre volte saltavano fuori sostanze del tutto nuove. Fra queste ultime, talvolta alcuni dei prodotti sintetici "servivano"a qualcosa. In una delle sue manipolazioni il giovane Perkin, che stava cercando di ottenere la chinina, il prezioso composto naturale contro la malaria, ottenne una massa di colore nerastro, poi frazionata fino ad arrivare ad una sostanza che si fissava sul cotone e lo colorava in colore lilla molto meglio di quanto facessero i coloranti del tempo.

Tanto per cominciare brevettò subito la scoperta, nell'agosto del 1856, appena diciottenne, poi fece provare il nuovo colorante, che chiamò malveina perché aveva il colore dei fiori di malva, da una tintoria industriale di cotone, poi, costatato che il nuovo colorante era davvero buono, si mise a produrlo in proprio. Il grande Hoffman perse un assistente, ma la società mondiale guadagnò un grande chimico che per tutta la lunga vita, piena di soldi e di successi, continuò a lavorare e a fare scoperte nella chimica sintetica.

La affascinante storia è raccontata nel libro di Simon Garfield: "Il malva di Perkin: storia del colore che ha cambiato il mondo" (Garzanti, 2002), che si legge come un romanzo. La rivoluzione chimica del XIX secolo, cominciata con Perkin, ha cambiato il mondo anche in senso politico. I paesi che avevano il monopolio dei coloranti, della gomma, delle sostanze medicinali, tratti dalla natura sono stati investiti da profonde crisi economiche; la rivoluzione per l'indipendenza dell'India coloniale è stata provocata, fra l'altro, dal fatto che l'Inghilterra, il paese dominante, con le sue industrie sintetiche avevano gettato nella miseria i contadini che coltivavano le piante da indaco.

La storia di Perkin suggerisce anche un messaggio di speranza e di coraggio: la conoscenza, l'osservazione del mondo e della natura, le scoperte di cose utili per gli esseri umani, sono aperte a tutti, oggi molto più che in passato. Il progresso tecnico-scientifico è nelle mani dei cattedratici universitari, ma è accessibile anche a persone intraprendenti e coraggiose e la natura è oggi, ancora più che in passato, una inesauribile miniera di materiali che possono liberare gli esseri umani dalla fame, dalle malattie, dalla povertà. Ai più giovani lettori rivolgo un invito a guardare a Perkin e a chiedersi: "potrei essere anch'io come lui" ? Il mondo è così ricco di cose sconosciute che vi assicuro che la risposta è "si, potrei anch'io".

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