mercoledì 13 ottobre 2010

Stanley Miller (1930-2007): persone della chimica

2011 Anno internazionale della Chimica

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

L’ambiente è il grande palcoscenico in cui si svolge il dramma della vita. Ma che cosa è la vita ? Nessuno è in grado di dare una ragionevole risposta. Se ponete la domanda a biologi, fisici, sociologi, educatori, cultori di etica, religiosi, eccetera, avrete tante risposte differenti, ma nessuna definitiva. Se ponete la domanda a un chimico questi vi dirà che bisogna partire dagli elementi della tabella di Mendeleev: il primo è l’idrogeno, e questo c’è sempre in qualsiasi forma di vita, come ci sono sempre gli elementi che si trovano poco dopo: il carbonio e poi l’azoto e poi l’ossigeno e, più avanti, negli esseri viventi vegetali e animali, gli elementi sodio, zolfo, eccetera. Nelle infinite forme in cui si manifesta la vita si trovano tutti gli elementi noti. Ma il vero problema è come e perché questi elementi si sono aggregati “all’inizio”, formando qualcosa che fosse capace di riprodursi; “un giorno” qualcosa o qualcuno “deve” essere intervenuto a predisporre le prime sintesi chimiche, un dio o il caso o chi volete.

Di certo “all’inizio”, questa scheggia di rocce calde che chiamiamo Terra, quando è stata lanciata nello spazio, aveva forma e composizione del tutto diverse da quelle che conosciamo noi oggi. Nel 1924 un biologo russo, Alexandr Oparin (1894-1980), scrisse un libro intitolato: “L’origine della vita”, nel quale indicava che la Terra all’origine era circondata da una atmosfera ricca di idrogeno. Questa atmosfera “riducente” conteneva idrogeno gassoso e poi metano (cioè idrogeno combinato col carbonio), ammoniaca (cioè idrogeno combinato con azoto), vapore acqueo (cioè idrogeno combinato con ossigeno). Dai gas dell’atmosfera primitiva, per successive reazioni chimiche, si sarebbero formate molecole organiche e poi acqua liquida che avrebbe cominciato a “piovere” per milioni di anni, sulla superficie terrestre, raffreddandola e generando grandi mari; le piogge avrebbero trascinato le molecole organiche nei mari che si sarebbero trasformati in una specie di “brodo prordiale” e qui, attraverso innumerevoli altre sintesi chimiche, si sarebbero formate molecole capaci di autoriprodursi, cioè quella che noi chiamiamo “vita”.

Se le cose fossero andate così, ci sarebbe voluto solo un po’ di pazienza per assistere alla formazione di molecole sempre più complesse come quelle che si trovano nei chicchi del grano, nella carne degli animali, nelle ali delle farfalle, e poi l’ossigeno che troviamo oggi nell’aria insieme all’azoto gassoso. E la natura, in quattromila milioni di anni, avrebbe avuto a disposizione tempo e pazienza in abbondanza. Il libro russo di Oparin rimase sconosciuto in Occidente per molti anni, ma nel frattempo, indipendentemente il biologo inglese J.B.S. Haldane (1892-1964) aveva avanzato la stessa ipotesi. Ma sarà poi andato proprio così ?

La risposta è stata data dal chimico americano Stanley Miller (1930-2007) che, con un celebre esperimento in laboratorio, mostrò che le ipotesi di Oparin e Haldane avevano un fondamento reale, un “colpo” che qualsiasi chimico avrebbe desiderato fare almeno una volta nella propria carriera. Miller aveva 23 anni quando, da studente nel laboratorio chimico dell’Università di Chicago, ebbe l’incarico da parte del suo professore, il premio Nobel per la chimica Harold Urey (1893-1981), di condurre un esperimento per vedere se, trattando con scariche elettriche una miscela di gas come quella ipotizzata per l’atmosfera primitiva, si sarebbero formate davvero delle molecole organiche. Le scariche elettriche avrebbero simulato quelle che certamente attraversavano l’atmosfera primitiva sotto forma di lampi.

Miller pose, in un “pallone”, così si chiamano i grandi recipienti sferici di vetro usati nei laboratori chimici, una miscela di idrogeno, ammoniaca, metano e vapore acqueo e fece passare, attraverso questa miscela, per una settimana di seguito delle scariche elettriche a 60.000 volt. Il pallone conteneva acqua che simulava l’oceano primitivo e che raccoglieva e “lavava” i gas della reazione. La storia racconta che Miller vide formarsi, sulle pareti interne del “pallone” di vetro, una specie di patina solida che fu analizzata e che si rivelò effettivamente costituita da molecole “organiche”, cioè contenenti, combinati insieme, gli elementi carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto, alcune addirittura in forma di amminoacidi molto semplici (glicocolla, alanina, acido aspartico); gli amminoacidi sono le pietre costitutive fondamentali di tutte le proteine, cioè della vita. I risultati furono descritti nell'articolo "Production of Amino Acids Under Possible Primitive Earth Conditions", pubblicato dalla rivista Science, 117(3046), 528-529 (1953).

Non era “la vita”, le molecole non erano in grado di riprodursi, ma l’esperimento mostrò che, effettivamente, da pochi semplici gas, potevano formarsi i mattoni fondamentali delle molecole presenti in tutti i viventi. L’esperimento di Miller ebbe una enorme risonanza. Adesso si trattava di vedere se e in quali condizioni, le semplici molecole organiche formate dai gas dell’atmosfera primitiva avrebbero potuto “ingrandirsi”, trasformarsi, sempre con mezzi chimici; ne nacque una speciale disciplina, la “chimica planetaria”, che per alcuni anni mobilitò diecine di studiosi. Le molecole semplici furono sottoposte a reazioni a freddo, a caldo, in acqua, sulle rocce delle terre emerse dove forse il “brodo primordiale” avrebbe potuto trascinarle, in presenza di speciali minerali che certamente esistevano nei continenti primitivi.

Per alcuni anni queste ricerche ottennero finanziamenti dalle agenzie spaziali perché forse avrebbe potuto dare qualche indicazione sull’origine di alcune semplici molecole organiche che apparivano presenti in lontani corpi celesti; ospitavano anch’essi qualche forma di vita ? Gli esperimenti d’altra parte destarono violenti dibattiti; in questa direzione si poteva pensare ad una vita senza bisogno di “un creatore” al di fuori della chimica e dell’elettricità; i critici misero in evidenza che per via chimica non si otteneva niente che giustificasse la formazione di molecole complesse e comunque capaci di riprodursi. Poi l’attenzione è stata attratta da altre cose, ma ricordo che, a me laureato in chimica da poco, questi esperimenti fecero grandissima impressione e destarono un po’ di invidia per la bravura di un mio quasi coetaneo.

E Miller ? Ottenne una laurea in chimica nel 1951, un dottorato in chimica a Chicago nel 1954 e ha poi insegnato per molti anni chimica e biochimica nell’Università della California a San Diego. Il suo nome resta legato per sempre ai suoi esperimenti giovanili che costrinsero brutalmente gli scienziati e gli intellettuali a guardare in faccia un inedito aspetto del problema della vita.

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